domenica 5 dicembre 2004

storia della Città Proibita

Corriere della Sera 5.12.04
Nella Città Pribita dell'Impero, costruita da un milione di operai
di Paolo Salom
NellA CORTE Edificata tra il 1406 al 1420 per volere dell’Imperatore Yongle della dinastia Ming, la Città Proibita era la sede della Corte e del Governo
MORTALI
La Città Proibita, jincheng in cinese, era così chiamata perché nessun «comune mortale» poteva entrarvi, pena la morte
MUSEO
Il complesso si estende su un’area di 720 mila metri quadrati e comprende 900 tra palazzi e templi: è il museo più imponente e importante della Repubblica popolare
Prima di tutto il colore delle sue mura, le più alte di Pechino, che nell’aria tersa del Nord della Cina veniva acceso dal sole in un trionfo purpureo. Poi il luccicare delle tegole in porcellana dei tetti dei suoi 900 palazzi: giallo-oro quelle dei padiglioni imperiali; glauche quelle dei templi. Infine il suono delle campane e i rulli dei tamburi, che a ritmi prestabiliti segnavano il passare dei giorni e delle ore. Nessuno che passeggiasse nei dintorni della Capitale del Celeste Impero poteva trattenere la meraviglia di fronte al cuore pulsante della nazione: la Città Proibita, ovvero il recinto del Palazzo Imperiale (Gu Gong) che si erge ancora perfettamente allineato sull’asse Sud-Nord al centro di Pechino. Il presidente Ciampi visita oggi il luogo che per cinquecento anni i «comuni mortali» non hanno mai potuto vedere dall’interno, pena la morte. Per questo è passata alla storia come la Città Proibita, jincheng in cinese.
Dimora di 24 Imperatori delle due ultime dinastie del Celeste Impero, la dinastia Ming (1368-1644) e la dinastia Qing (1644-1911), sorge su un’area di 720 mila metri quadrati e 9.999 stanze: il nove era il numero perfetto che indicava il Figlio del Cielo. A entrare oggi nella Città Proibita, non si può fare a meno di pensare al Milione di Marco Polo e alle descrizioni delle «maraviglie» del Catai. In realtà, la Pechino di Marco Polo era sì Capitale dell’Impero (allora dominato dai mongoli). Ma la Città Proibita non era ancora stata costruita. Ci avrebbe pensato il terzo sovrano dei Ming, la dinastia che aveva cacciato i mongoli: fu Yongle a immaginare e, secondo la tradizione, a progettare nei minimi dettagli il nuovo centro del potere.
Il complesso fu edificato da un milione di operai dal 1406 al 1420 quando la Corte fu finalmente trasferita da Nanchino (Nanjng: Capitale del Sud) a Pechino (Beijing: Capitale del Nord). Yongle fu il più grande degli Imperatori Ming. E il suo lascito più importante è ancora oggi davanti ai nostri occhi. Anche se i palazzi, i padiglioni, i templi, tutti in legno, marmo e preziose porcellane non sono quelli originari ma risalgono al Diciottesimo secolo. Il palazzo imperiale fu infatti distrutto numerose volte dagli incendi. Qualche volta fortuiti, come nel 1557 quando un fulmine mandò tutto in cenere; spesso per mano degli eunuchi o dei ministri che poi guadagnavano dagli appalti sulla ricostruzione. Nel 1664, i conquistatori Qing rasero al suolo l’intera Città Proibita per rifarla daccapo.
Ed eccola lì, ancora oggi al centro della Pechino moderna. Oggi nessuno rispetta più il divieto di innalzare costruzioni più alte delle sue mura (13 metri). Ciononostante, l’impressione di magnificenza rimane intatta. Si accede al complesso monumentale dall’immensa Piazza Tienanmen, diventata tristemente famosa per la rivolta del 1989. Attraversata la porta omonima (Porta della Pace Celeste) si raggiunge l’entrata principale: la Wumen, o Porta meridiana. Da qui si affacciava l’Imperatore per calare agli araldi stesi faccia a terra un cesto dorato che conteneva leggi ed editti che dovevano essere divulgati ai quattro angoli dell’immensa nazione.
Al di là della soglia, la Città Proibita vera e propria, dove diecimila tra eunuchi, ministri, monaci e guardie dedicavano la loro vita all’Imperatore, e qualche volta ordivano intrighi e colpi di Stato. Il palazzo, costruito su tre assi principali da Sud a Nord, è diviso in due lungo l’asse Est-Ovest: una corte esterna (dove si trova per esempio il Palazzo dell’Armonia Suprema, o del Trono, il cui restauro è stato curato dal ministero italiano dei Beni culturali); e una corte interna, dove si trovano gli appartamenti del Figlio del Cielo, dell’Imperatrice, e di tutte le altri consorti ufficiali oltre che delle concubine.
Ma se nessun «comune mortale» poteva entrare nella corte, l’Imperatore raramente la lasciava. Il protocollo lo esigeva in determinati momenti dell’anno, quando, al solstizio d’inverno, si recava al Tempio del Cielo (Tien Tan) per invocare, in assoluta solitudine, la grazia di un raccolto abbondante, unica garanzia peraltro di stabilità politica. Oppure quando andava a salutare le truppe in partenza per la guerra. L a Città Proibita si trasformò invece in una vera e propria prigione alla fine del 1911, quando la Rivoluzione repubblicana di Sun Yat-sen abbatté la monarchia. All’Ultimo Imperatore, Pu Yi (la cui storia è finita sullo schermo nel pluripremiato film di Bernardo Bertolucci), fu concesso di rimanere nella corte interna con il suo seguito. Almeno fino al 1924, quando ne fu scacciato da una rivolta militare. Il palazzo, privato del suo tesoro (un milione di pezzi di inestimabile valore: ori, argenti, quadri, bronzi, pergamene) da Chiang Kai-shek in fuga verso Taiwan, assisté all’ultima «cerimonia imperiale» l’1 ottobre 1949, quando Mao Tse-tung si affacciò dagli spalti della porta della Pace Celeste per proclamare la vittoria della Rivoluzione e la nascita della Repubblica popolare. Il ritratto del primo fondatore della «dinastia rossa» è ancora lì, a osservare con un sorriso enigmatico i visitatori diretti a quello che un tempo fu il cuore dell’Impero più potente del mondo.