domenica 5 dicembre 2004

donne di Bagdad

Repubblica 5.12.04
La casa segreta di Yannar e le ragazze della guerra
Le donne di Bagdad
di BERNARDO VALLI

Donne e bambini sono state le principali vittime della guerra in Iraq. È impossibile quantificare ma se fosse vera la stima peggiore 100 mila morti civili secondo Lancet calcolando che la quota femminile è del 55 per cento della popolazione, si tratterebbe di una vera ecatombe. Di recente Nicholas Kristof calcolava sul New York Times che il tasso di mortalità infantile è raddoppiato rispetto a quello precedente alla guerra. Non solo: «Se l'Iraq dovesse raggiungere livelli di mortalità da Somalia calcola l'editorialista si potrebbe arrivare a 203mila bambini morti e 9.900 donne che muoiono durante il parto ogni anno».
[...]

È uno stormire d'ali di corvo. L'immagine non è mia. È dell´irriverente ragazza musulmana che mi accompagna. L'usa indicando il fremito dei veli neri nel grande mercato di Sadr City. È primo mattino, l'ora della spesa, e nel quartiere sciita le donne, nascoste sotto ampi chador, o con il capo avvolto in più modesti foulard, si agitano attorno a cumuli di riso e a montoni smembrati, a montagne di legumi e di frutti. Alcune calzano anche guanti, neri come chador. Da lontano sembra una cerimonia funebre.
Secondo la ragazza che l'osserva rattristata e polemica, quel panorama umano, addobbato a lutto, è il trionfo delle moschee e dei partiti religiosi. Un agricoltore valuta con un'occhiata, dal loro biondeggiare, la maturazione delle messi da mietere: allo stesso modo, con uno sguardo al mercato affollato, i musulmani integralisti possono misurare la loro influenza, la loro autorità, dalla foggia e dal colore degli abiti femminili. Più sono neri, castigati e uniformi, più sono soddisfatti. Su certi quartieri di Bagdad è come se fossero stati rovesciati ettolitri di inchiostro.
I contrasti, le contraddizioni non mancano nel disordine iracheno. Nei negozi dei quartieri benestanti capita di trovare prodotti di bellezza che, se usati ed esibiti in pubblico, in certi luoghi e situazioni, sarebbero scandalosi. Cosi come accade di vedere sui teleschermi e sui giornali immagini di donne vestite e truccate all'occidentale che se comparissero in carne e ossa provocherebbero reazioni imprevedibili. Due modelli di società si scontrano in una mischia senza regole: da un lato affiorano esitanti libertà individuali, di cui fa parte quella elementare di mostrare i propri capelli; dall'altro pesa un rigore religioso al quale è affidato spesso il monopolio delle tradizioni.
Il fremito degli chador nel mercato di Sadr City sembra uno stormir d'ali di corvo. La macchia nera d'inchiostro è il colore dell'oppressione voluta dagli integralisti che sempre più spesso impongono la violenza nell'Iraq del caos.
In una villetta rifugio alla periferia di Bagdad un gruppo
di coraggiose prova a resistere. E a cambiar le cose
Le varie correnti di quest'ultimo, ossia i partiti islamici, sciiti e sunniti, potrebbero avere quasi il sessantacinque per cento dei voti, stando ai pronostici sulle prossime, incerte elezioni politiche di fine gennaio. Chi puntava su una democrazia irachena ha buoni motivi per dubitare della sua imminente nascita.
In un quartiere popolare, Al Husseini, a una ragazza senza velo è stata sfregiata la faccia. Era una cristiana. A Mossul spruzzano catrame sulle gambe femminili non nascoste fino alla caviglia. A Falluja, quando imperavano gli estremisti islamici, nessuna donna osava mostrarsi con i capelli scoperti. Le giovani, anche se avvolte nel velo, uscivano raramente di casa. Un uomo, profugo da quella città, adesso occupata dagli americani e dalle forze governative irachene, ha raccontato che dei maschi sono stati rapati a zero, in piazza, perché la loro capigliatura era stata giudicata troppo femminile.
A Sadr City, dove l'intolleranza diventa con facilità violenza, la mia guida, prima riluttante, alla fine cede e mette un fazzoletto sulla testa. Ma è grigio, più chiaro di quelli in cui sono avvolte le donne del mercato. In un quartiere popolare, quale è Sadr City, il colore forse conta. Serve, penso, a distinguersi, a non confondersi con la marea nera. Può essere un segno della classe sociale cui uno appartiene. Negli ambienti borghesi le tinte sono varie. Il nero non sommerge tutto come qui. La mia guida alza tuttavia le spalle a queste osservazioni. Importa, dice, che forme e lineamenti siano nascosti. O non risaltino.
Le varietà di quelli che chiamiamo sommariamente veli sono tante nell'Islam. Una arabista, Catherine Farhi, ne elenca alcune: jelbab, burnus, ferigee, haik, khimar, mandil, melaya, sefsari.... Il velo può essere più una protezione, gradita o no, che un segno di devozione o di sottomissione. Per chi lo indossa non ha sempre un valore religioso. Gli si può anche dare un significato antropologico. Può servire alla donna «per non essere offesa», come recita un versetto del Corano. Può diventare uno scudo dietro il quale trincerarsi. E le giovani hanno bisogno di difese. Ma affidare questo compito al velo, sarebbe come considerare la prigione un luogo in cui si è al sicuro. Le donne sono esposte a mille pericoli nell'Iraq d'oggi.
Sentono sul collo l'ansimare degli integralisti, le cui idee, spesso imposte come regole, attizzano il maschilismo. Il quale diventa licenza di aggredire o insultare le ragazze sorprese in pubblico senza velo. Deboli, indifese, sono in balia dei delinquenti comuni che le rapiscono per ottenerne il riscatto. Una volta liberate, sono poi possibili vittime dei familiari, degli stessi genitori, mariti o fratelli, incapaci di sostenere l'onta, se durante il sequestro sono state violentate, come accade il più delle volte. Rischiano, in questo caso, di essere ripudiate, cacciate di casa, o segregate. Per le adultere la punizione può essere la morte. La legge è indulgente quando è in ballo l'onore.

Le finestre sbarrate
A venti minuti d'automobile da piazza Tahrir, il centro di Bagdad, in una villetta a due piani, simile a tante altre in quel quartiere abitato da funzionari di grado medio, un tempo da ufficiali subalterni della polizia e dell'esercito di Saddam, si incontrano le vittime, spesso adolescenti, dei vari tipi di violenza cui sono sottoposte le donne. L'indirizzo è segreto. È conosciuto soltanto da un ristretto numero di militanti dell'Organizzazione per la Libertà delle Donne in Iraq (la sigla inglese è Owfi). Nessun altro iracheno vi ha accesso. Lo si capisce. Le finestre sono sempre chiuse, come del resto lo sono quelle delle case vicine, per evidenti ragioni di sicurezza. Capita infatti che nei dintorni si accendano aspri combattimenti notturni, trovandosi la villa su una sponda del Tigri, in prossimità di una periferia infiltrata da guerriglieri e terroristi sfuggiti alla battaglia di Falluja. Anche in pieno giorno i posti di polizia sono presi d'assalto. Non sto dando indicazioni utili per individuare la località. Bagdad è una metropoli di più di sei milioni, piatta, costruita sul deserto. L'abitato si stende per decine di chilometri. Alcuni quartieri spuntano come oasi, dopo ampi spazi vuoti. Insomma, si può parlare di un ago nel pagliaio.
Al primo piano ci sono tre stanze e in ciascuna tre giacigli, più che veri letti. Al pianterreno una cucina e un dormitorio con tante coperte e materassi accatastati contro le pareti, per far spazio alle attività quotidiane. In particolare alle riunioni "per la psicologia di gruppo". L'arredamento è povero La pulizia meticolosa. Al momento le pensionanti sono una decina. Ognuna è protagonista di un dramma.
C'è chi, a poco più di vent'anni, con il volto più segnato di quel che dovrebbe essere a quella età, è reduce da un amore proibito. L'espressione non è mia. Cosi viene chiamata una relazione extraconiugale. Se scoperta la donna è espulsa dalla famiglia, dopo essere stata picchiata. E spesso minacciata di morte da un numero imprecisato di congiunti ansiosi di cancellare la vergogna.
Per inquadrarmi questi casi, e illustrarmi i rischi che essi comportano, Yannar Mohammed mi ricorda un celebre precedente. Yannar è una donna minuta, con i capelli neri e crespi, non ancora quarantenne, sprizzante energia. È turcomanna, del Kurdistan; e ha vissuto per qualche anno in Canada, Paese in cui ha imparato tante cose sull´uguaglianza tra maschi e femmine. Yannar è adesso presidente dell´Organizzazione per la Libertà della Donna e mi racconta come Saddam Hussein esaltò il delitto d'onore, al punto da farne un gesto eroico.

La bambina bastonata
Nel 1990, ai tempi dell'invasione del Kuwait e dell'imminente reazione americana, l'allora raìs aveva bisogno dell'appoggio dei capi tribù, per i quali negli anni precedenti non aveva avuto molti riguardi. Al fine di ingraziarseli decise di premiare un uomo che, adeguandosi alla tradizione tribale, aveva ucciso la nuora accusata di adulterio. Saddam andò di persona nella casa del giustiziere e gli appuntò al petto una medaglia. Fu un gesto propiziatorio anche nei confronti dei religiosi favorevoli alla sharia, la legge islamica, con i quali in quanto capo di un partito laico, come si dichiarava il Baath, non era mai stato tenero. Per sottolineare l'avvenimento fu emendata la legge che già prevedeva una pena insignificante (da tre a sei mesi) per il delitto d'onore. Con l'articolo 409 fu abolita anche quella. Non costerebbe dunque neanche un giorno di carcere uccidere una donna infedele.
I drammi delle altre ospiti della villa-rifugio, sulla sponda del Tigri, illustrano i rischi di essere donna in questo Paese. I racconti si ripetono tragicamente. L'adolescente fuggita da casa perché picchiata di santa ragione, ogni giorno, fino a spezzarle le braccia, affinché rinunciasse a incontrare un coetaneo sgradito ai genitori. Un'altra giovane, ancora più infelice, rapita, sembra stuprata, e per questo, una volta liberata, cacciata dalla famiglia disonorata. In reazione a tante miserie e ingiustizie si è creata una solidarietà femminile che consente a Yannar Mohammed di disporre, oltre alla modesta villa a due piani, di tanti altri rifugi segreti in case private disperse nella capitale. Una rete clandestina che merita il nobile nome di resistenza, negato ai terroristi.
L'Organizzazione di Yannar Mohammed denuncia la disperata situazione delle donne e spara accuse in tutte le direzioni. Definisce oppressivo e fascista il regime di Saddam Hussein; regressivi i cambiamenti politici originati dalla guerra americana; e altrettanto negative le azioni dei movimenti nazionalisti e islamici. «Al Qaeda ci ha minacciato più volte», dice Yannar. In un documento rivendica diritti che suonano bestemmie alle orecchie dei fondamentalisti. Ma che sono altrettanto inaccettabili da Iyhad Allawi, capo del governo proamericano. Il quale, pur essendo alla testa di un partito laico, non può ignorare i partiti religiosi alleati. La sua sopravvivenza politica dipende da loro. Nelle riunioni pubbliche, tenute all'ombra dei carri armati americani, laici e religiosi sostengono la presenza di una donna ogni quattro candidati, alle prossime elezioni. Ma che tipo di donna? Nessuno osa pensare che sulle liste possa apparire il nome di chi si oppone all'assoluzione degli assassini di mogli o sorelle infedeli. Di chi considera un'ignominia l'impunità dei delitti d´onore.

I diritti "impossibili"
Le rivendicazioni di Yannar riguardano diritti elementari e al tempo stesso irraggiungibili nel futuro scrutabile: l'uguaglianza tra uomini e donne; la separazione tra Stato e religione; la fine dell'imposizione del velo e la libertà nel disporre del proprio abbigliamento; la punizione della violenze contro le donne e in particolare pene appropriate per i delitti d'onore. Yannar Mohammed sa di non avere alleati, né nella opposizione armata, percorsa da un forte integralismo islamico, né nel governo, in cui sono presenti i partiti religiosi. La sua forza sta nella spontanea partecipazione di alcune migliaia di donne alle manifestazioni di piazza, organizzate tra gli attentati dei terroristi e le repressioni americane. Il suo più grande successo è stata la riassunzione di cinquanta impiegate di banca accusate di importanti sottrazioni di denaro, licenziate e arrestate in massa. Yannar ha avviato indagini per provare la loro innocenza, infine riconosciuta, e ha ottenuto che riprendessero i loro posti di lavoro. I cortei di protesta per le strade di Bagdad, nel frattempo dilaniate dalle autobombe dei kamikaze, si sono protratti per settimane, nella primavera scorsa.
Molte, coraggiose femministe del mondo musulmano, nel passato tenaci nell'affrontare mullah e dittatori, si sono ritirate davanti all'offensiva fondamentalista. Sul campo di battaglia iracheno, schiacciata tra due schieramenti a confronto, in diverso modo a lei entrambi ostili, Yannar, la turcomanna, continua imperterrita la sua lotta solitaria. Hai una stretta al cuore quando l'incontri in un ufficio buio, una vera topaia, invasa dalla puzza proveniente da una traboccante fogna vicina. Seduta su un divano sfondato, col computer in bilico sulle ginocchia, racconta con accenti epici la recente manifestazione a Bassora. Vi hanno partecipato centinaia di donne. All'improvviso adocchia la mia giovane guida, che a Sadr City metteva di malavoglia il fazzoletto grigio sulla testa per distinguersi nella marea nera dei chador. Yannar apprezza che indossi dei pantaloni, come lei. In Iraq oggi per una donna è un segno di coraggio. Pensa di reclutarla. Le chiede: «Non vuoi lavorare con me?».

La storia di Zainab
La femminista contro il raìs

Dalla sparizione di Nawal imparò la lezione opposta a quella che il regime voleva insegnare. Quella sua compagna di classe di 9 anni era colpevole di aver detto che, dopotutto, l'Iran non doveva essere uno Stato così cattivo. Ma era il Paese con cui l'Iraq era in guerra e dopo pochi giorni la bimba e tutta la sua famiglia sparirono. «Sapevamo tutti che erano state uccise» racconta l'adesso trentatreenne Zainab Al-Suwaij alla Harvard Gazette, «volevano che imparassimo a stare zitte e a non sfidare Saddam». Che è esattamente ciò che ha fatto per tutta la vita. Dopo essere stata una guerrigliera contro il raìs durante Desert Storm, dalla fine del regime cerca di mobilitare le donne irachene per recuperare i diritti perduti. Come fondatrice dell'America Islamic Congress è stata ricevuta anche da George Bush: «La mia famiglia era scioccata. Sono la prima donna che non resta a casa». E insieme a un'altra ex esiliata, Ala Talabani, è riuscita a far sancire nella costituzione provvisoria la parità tra i sessi oltre a raccogliere 50 mila firme affinché il 40 per cento dei ruoli politici nel nuovo governo siano affidati a donne. (r. sta.)

Shamia, in fuga dalla famiglia
La prostituta perseguitata

Cinque anni fa Shamia (il nome è di fantasia, la storia no) si innamorò del vicino di casa della sua famiglia. Chiese al padre di poterlo sposare: fu cacciata via e si trovò in mezzo alla strada. Aveva 19 anni. Oggi ne ha 24 e nel frattempo è diventata una prostituta. La liberazione dell'Iraq non l'ha aiutata. Anzi, l'esplodere dei delitti d'onore ha peggiorato la sua situazione. Suo fratello minore ha ricevuto dal padre l'ordine di ucciderla per restituire rispettabilità alla famiglia. Lo scorso giugno il ragazzo ha incontrato Shamia in una via di Bagdad e le ha puntato un coltello alla gola. Nelle vicinanze c'era però un poliziotto: «Un altro agente, informato dei fatti, mi avrebbe messo nuovamente nelle mani di mio fratello», ha spiegato la giovane al Time. «Ma per qualche ragione il poliziotto mi ha fatto da scudo. Non spero di essere così fortunata la prossima volta: mio fratello mi dà ancora la caccia». Shamia adesso vive aspettando la morte del padre. L'ultima possibilità per tornare a una vita normale: «Mia madre - confida - potrebbe prendermi nuovamente con lei».