venerdì 17 dicembre 2004

storia
nel quarantesimo della morte di Togliatti

La Stampa 17 Dicembre 2004
STUDI DISCUTIBILI E CONCLUSIONI AFFRETTATE DEMONIZZANO IL SEGRETARIO DEL PCI
Togliatti, tutto il male vien per nuocere
Angelo d'Orsi

AL recente convegno della Fondazione Gramsci su Palmiro Togliatti, come in estrema sintesi in un pezzo per questo giornale, ho raccontato la storia di una laurea presa dal futuro leader comunista non con Luigi Einaudi, come si era sempre creduto, ma con Achille Loria, il discusso «Marx italiano», messo sulla graticola da Engels, Croce, Labriola e infine Gramsci. Un frammento non irrilevante di una biografia - quella di Togliatti - che per tanti aspetti, nonostante l'opera di tanti studiosi, a cominciare da Aldo Agosti, è da arricchire e precisare. Lo scoop è stato subito «buttato in politica», e molti vi hanno letto una conferma dell'ormai proverbiale «doppiezza togliattiana», e v'è chi si è spinto ben oltre, addirittura tirando in campo Orwell, la cancellazione della memoria, la contraffazione della storia e via imprecando.
Del resto, sul finire di questo anno di celebrazioni (quarantesimo della morte), caratterizzato nell'insieme da valutazioni serene - emblematica la testimonianza intelligente e spiritosa come sempre di Giulio Andreotti a conclusione del Convegno di Roma - sulla figura complessa e sull'opera ricca di drammatici chiaroscuri, ma decisiva per la lotta al fascismo prima, per la creazione della Repubblica democratica poi, sono usciti due libri che, pur affrontando due personaggi diversi, il primo Giovanni Gentile, l'altro Antonio Gramsci, finiscono per essere accomunati da una conclusione, ferrea, quanto, documenti alla mano, insostenibile.
La conclusione cui arrivano entrambi gli autori, Francesco Perfetti per Gentile, Luigi Nieddu per Gramsci, è che Palmiro Togliatti fu un personaggio orribile, autore, per via diretta o indiretta, delle «peggio cose» della storia italiana.
Stando a Perfetti, allievo di De Felice, esponente di un revisionismo oltranzistico, attraverso la sua rivista Nuova Storia Contemporanea, l'esecuzione di Gentile a Firenze da parte di una squadra dei Gap fu «la pagina più nera della storia della resistenza (rigorosamente scritta sempre con la minuscola) italiana». Libro deliberatamente a tesi, quello di Perfetti, che pretende di dimostrare, che Gentile fu ucciso non per una motivazione politica che voleva eliminare, a torto o ragione, chi stava in quei giorni incitando gli italiani a schierarsi compatti con il Duce e il Führer, invitando a dare la caccia ai «traditori», bensì per una ignobile «ragion di partito»: ossia il PCI, che per meschini interessi di bottega, voleva eliminare quella grande figura di intellettuale, per potere poi facilmente dar corso a una strategia gramsciana tesa a costuire l'egemonia, in vista della conquista del potere. Una storiografia ipotetica, di cui a Roma ha dato prova, a mio vedere, anche Elena Aga Rossi, sostenendo che Togliatti nel ‘64, alla vigilia della morte, in Urss era andato non in vacanza ma per far cadere Kruscev!
Del progetto contro Gentile, manco a dirlo, fu Togliatti il "deus ex machina", con la stolta collaborazione degli azionisti, che pure erano figli (infedeli) di Gentile, e che in tal modo, stando alla elucubrazione di Perfetti, Togliatti metteva in crisi, egemonizzando e insieme ponendo da parte. E dunque quando, da Dionisotti a Bobbio, furono espressi giudizi severi su Gentile e la sua filosofia, o, nel caso di Dionisotti (che poi avrebbe opportunamente spiegato e contestualizzato quel giudizio), anche di approvazione della sua esecuzione, gli azionisti rivelarono, secondo Perfetti, la loro pochezza morale, nonché la loro stoltezza politica.
Togliatti è il grande nemico di un Antonio Gramsci che, nell'altro libro, Luigi Nieddu addita alla pubblica ignominia, sulla base delle supposizioni più azzardate - ma bisogna riconoscergli di aver fatto qualche utile precisazione, qua e là, nella biografia gramsciana, pur ignorando deliberatamente tanta parte della storiografia evidentemente a lui non gradita. Addirittura vede in Gramsci (per lui solo un modesto giornalista, che diventa leninista senza aver conosciuto Marx, attraverso Croce e Gentile…), un ingenuo, ma non incolpevole agente dei bolscevichi fin dall'immediato indomani della Grande guerra, mentre dell'Ordine Nuovo (1919-20) si avanza il sospetto che venisse pagato dal solito «oro di Mosca», e ciò quando la Russia era in piena guerra civile, assediata dalle potenze imperialistiche, con problemi gravissimi di sopravvivenza…! Il Comintern, sempre lui, insomma, a pagare quattro ragazzotti sconosciuti torinesi (Tasca, Terracini, Togliatti, oltre Gramsci), per farne propagatori della sovietica Falce e Martello…
Ma c'è un Gramsci due, quello in prigione, circondato da agenti del PCI e del KGB (a cominciare da sua moglie, dalle cognate, e da quel figuro di Piero Sraffa, presentato come una macchietta stalinista…), che Togliatti non vuole libero (sciocchezza più volte smentita in sede storica), e che preferisce lasciar morire, anzi accelerandone la fine, con la complicità di parenti e del solito Sraffa. Per poi, subito dopo la morte di Gramsci (per la quale l'autore sostanzialmente scagiona il regime fascista!) costruirne il mito sempre al fine di edificare l'egemonia a sua volta finalizzata alla conquista del potere.
Insomma, Togliatti un genio del male, che - come ha sostenuto Ernesto Galli della Loggia al convegno romano - occorre finalmente portare davanti al «tribunale dell'etica». Finora noi storici avevamo creduto che il solo tribunale per i seguaci di Clio fosse quello della Filologia e della Metodologia, ma prendiamo atto della novità.
Mi permetto soltanto, a questo punto, di suggerire a Galli della Loggia di reclutare Perfetti e Nieddu come giudici a latere.