venerdì 14 gennaio 2005

checché ne dica la tv
Mussolini non fu un "buon babbone"

Corriere della Sera 14.1.05
Uno speciale stasera su Rai Tre. Mussolini, che da Rachele aveva già avuto Edda, divenuto dittatore cancello un passato dannoso per la sua immagine
COSÌ IL DUCE DISTRUSSE LA FAMIGLIA SEGRETA
Fece intemare in manicomio il figlio naturale Benito Albino e la madre
di Sergio Luzzatto


Non più tardi di tre mesi fa, nella trasmissione «Porta a porta» di Bruno Vespa, è andata in onda per l'ennesima volta, in cinquant'anni di «servizio pubblico »televisivo, la favola del buonuomo Mussolini. Con il sollecito contributo del maestro di cerimonie, i discendenti diretti del Duce - a cominciare dal figlio Romano - hanno riscaldato e servito a qualche milione di italiani l'antica minestra del Mussolini faccia dura ma cuore tenero. Un uomo, il Duce, tanto carezzevole con i bambini quanto mite con gli adulti compresi i suoi numerosi amici ebrei... E poi, scappatelle erotiche a parte, che incantevole padre di famiglia!
La leggenda del buonismo ducesco non è meno falsa oggi di quando venne inventata, sessant'anni orsono. Il meccanismo è quello consueto - scoperto, eppure insidioso - che fa leva sulle qualità private per suggerire pubbliche virtù. Se un dittatore è capace di affetti, o addirittura di amore, non significa forse che è un dittatore dal volto umano? Quando si coniuga al passato, il buonismo psicologico sottointende quasi sempre un «buonanimismo» ideologico. Rappresentato negli ultimi dodici giorni della vita sua e di Eva Braun, puo sembrare commovente perfino l'Adolf Hitler sposo in extremis nel bunker berlinese.
Io non so quanti fra gli affezionati telespettatori di Bruno Vespa avranno il modo e la voglia di sintonizzarsi, alle 21 di stasera, sulla terza rete della Rai, quando verrà trasmesso un documentario di Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli intitolato Il segreto di Mussolini. In compenso,per avere avuto il privilegio di visionare in anticipo questo ottimo esempio di come si possa fare storia in televisione, mi sento di azzardare un pronostico. Se guarderanno il documentario da cima a fondo, non pochi cultori della favola intorno al buonuomo Mussolini si troveranno scossi nelle loro consolanti certezze. Perché qui, la petite histoire vale davvero a fare «Grande Storia»: è proprio scavando nella vita privata del Duce che emerge il contenuto intrinsecamente perverso della vita pubblica nell'italia del Ventennio. Il segreto di Mussolini, si fa prima a raccontarlo che a digerirlo. Nel 1915, quando il futuro Duce si era da tempo legato a Rachele Guidi e aveva avuto da lei la figlia Edda, un'altra suaa mante - la trentina Ida Dalser - glidiede il suo primogenito maschio: BenitoAlbino, che il bersagliere Mussolini legalmente riconobbe come proprio figlio naturale. Ma già negli anni successivi, ancora nel pieno della Grande Guerra, il Mussolini politico cercò di sottrarre il figlio alla madre, e tentò di far rinchiudere quest'ultima, cittadina austriaca, in una qualche patria galera. Quel che non riuscì all'ex leader socialista riuscì più facilmente al Duce del fascismo.
A partire dal 1926 Ida fu internata in manicomio, dapprima vicino Trento poi a Venezia, dove morì undici anni più tardi. Quanto a Benito Albino (cui mai più fu permesso di rivedere la madre), nel 1935 venne lui stesso dato per pazzo e rinchiuso nel manicomio milanese di Mombello, entro le cui mura si spense, nel 1942, a soli ventisei anni. Grazie alle ricerche degli autori in archivi pubblici e privati, segnatamente presso gli ex ospedali psichiatrici dove l'amante trentina e il primogenito maschio del Duce furono costretti a vivere e a morire, Il segreto di Mussolini restituisce questa tragedia familiare con una straordinaria vividezza di toni. Fra i documenti ritrovati, più di tutti colpiscono le lettere che per oltre un decennio Ida Dalser trovò il modo di trasmettere ai congiunti, nonostante l'occhiuta sorveglianza cui la donna venne sottoposta da un manicomio all'altro. Molte altre missive Ida inoltrò alle autorità fasciste, al papa Pio XI, a Mussolini in persona, chiedendo pietà per se stessa e per il figlio. Non una lucida follia, piuttosto una folle lucidità la accompagno durante i vent'anni intercorsi fra la nascita di «Benitino, il nostro piccolo grande amore» (come Ida lo definì in una lettera al Duce) e la morte (in crudo linguaggio burocratico) della «demente Dalser». La quale - dopo una rocambolesca fuga dal manicomio di Venezia, e l'immediata reazione della polizia fascista - si congedò dal figlio che le era stato rapito per sempre con parole tutt'altro che insensate: «Benito non piangere, porto il tuo cuore nella tomba».
Il documentario contiene materiale straziante, cui corrisponde peraltro una rara, quasi anglosassone asciuttezza nel commento. Ma di là dal registro piu immediatamente emotivo, il programma offre un contributo propriamente storiografico, nella misura in cui illustra la varietà di personaggi cui il regime fascista dovette fare ricorso perché il segreto di Mussolini potesse rimanere tale: così da preservare l'immagine oleografica di un uomo che alle quotidiane fatiche di Palazzo Venezia alternava l'incanto familiare di Villa Torlonia. Non solo il fratello del Duce, il potentissimo Arnaldo direttore del Popolo d'Italia; non solo il prefetto di Trento, i gerarchi della provincia, il buon fascista del luogo- tale Giulio Bernardi - che si rese disponibile ad «adottare» Benito Albino dopo il ricovero coatto della madre: tutta una pletora di medici compiacenti, di poliziotti senza scrupoli, di solerti vicini di casa lavorarono alla riuscita del complotto manicomiale. In questo come in infiniti altri casi che lo riguardavano meno direttamente,quello messo a punto dal buonuomo Mussolini si rivelò un sistema tanto capillare quanto efficace di intrusione nella vita privata e pubblica degli italiani: fu una macchina distruttiva di sentimenti, appartenenze, identità. Lo impararono a proprie spese la sorella, i cognati, le nipoti di Ida Dalser, intimiditi dal regime al punto di dover nascondere l'amore che continuavano a portare alla presunta pazza e al suo sfortunatissimo figlio. E lo imparò a proprie spese Giacomo Minella, la più toccante fra le diverse figure che gli autori del documentario hanno saputo ritrovare e intervistare. Collega di Benito Albino al corso telegrafisti della Scuola Navale di La Spezia, tale nipote di Giulio Bernardi si vide investito del ruolo di compagno-controllore del figlio naturale di Mussolini. Da marinaio, nei primi anni Trenta fu con lui nella lontana Cina, sforzandosi di soccorrerlo nel suo dramma identitario. Ma ancora oggi egli piange - con la suprema dignità con cui può piangere un novantenne - per essere stato usato dal fascismo come cane da guardia del suo migliore amico. Se potesse accomodarsi nel salotto televisivo di Bruno Vespa, anche Benito Albino sarebbe oggi un vegliardo di novant'anni. Al cospetto del maestro di cerimonie, chissà quali parole troverebbe per raccontare questa terribile storia dell'Italia mussoliniana: l'amante giovanile del dittatore ripudiata comeuna povera demente, il figlio primogenito separato con la forza da entrambi i genitori, il manicomio come un lugubre cimitero dei vivi, altrettante scene da Urss staliniana... Ma le spoglie del telegrafista Benito Albino riposano da sessant'anni nella fossa comune del cimitero di Limbiate, mentre i nottambuli spettatori di «Porta a porta» si lasciano cullare dalle facili melodie del suo fratellastro, il jazzista Romano Mussolini.
• Il documentario «Il Segreto di Mussolini» andrà in onda stasera alle 21, su Rai Tre. E' stato realizzato da due filmmaker italo-americani, Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli, in coproduzione con «La Grande Storia» di Rai Tre e con la partecipazione della Provincia Autonoma di Trento