venerdì 14 gennaio 2005

crimini cattolici
interviene di nuovo lo storico Alberto Melloni

Corriere della Sera 14.1.05
DIFFERENZE & COINCIDENZE
La «nota» e il «dispaccio» sui bambini salvati dai cattolici
di ALBERTO MELLONI


Su una nota del 23 ottobre 1946, che presenta gli ordini del Sant’Uffizio relativi ai bambini ebrei salvatisi in case cattoliche, la disputa non si placa. Un dispaccio del Sostituto della Segreteria di Stato Tardini al nunzio a Parigi datato 23 ottobre 1946 (cui alludeva un mio intervento) è stato pubblicato martedì dal Giornale . Questi due documenti - la nota e il dispaccio di ottobre, conservati entrambi a Issy - furono usati in quell’autunno e poi inviati al cardinale Gerlier il 30 aprile 1947. Andrea Tornielli è convinto che questo inoltro faccia di essi un solo atto «completo», taciuto dal Corriere della Sera perché più favorevole a Pio XII. Il dispaccio Tardini dice: 1) di non rispondere alle richieste dei rabbini o di farlo solo a voce; 2) di precisare che sono necessarie inchieste; 3) che gli orfani battezzati andranno cresciuti da istituzioni cattoliche; 4) che gli orfani non battezzati non possono essere «abbandonati o consegnati a chi non ne avesse diritto», ma che «altra cosa» sarebbe se i bambini fossero richiesti dai congiunti; 5) che «la decisione e i criteri» esposti hanno avuto l’augusta approvazione di Pio XII. Al di là di qualche sfumatura verbale, il dispaccio si nutre della stessa gelida burocrazia teologica del Sant’Uffizio che si riscontra nella nota.
Anche sul punto 4, che per me non si isola dal resto. La nota dispone di ridare i bambini ai genitori «ammesso che i bambini stessi non abbiano ricevuto il battesimo». Il dispaccio afferma che sarebbe «altra cosa» se i bambini non battezzati fossero richiesti dai parenti o dai genitori sfuggiti al genocidio, anziché da coloro che si apprestavano a fondare lo Stato d’Israele.
Il Sant’Uffizio di Pio XII rimase convinto di questa posizione (basta leggere la lettera che il cardinal Pizzardo manda il 23 gennaio 1953 sul caso Finaly, pubblicata da Germaine Ribière), mentre fra i vescovi si cercarono soluzioni più umane.
L’atteggiamento che presiede alle decisioni romane, per arrivare al 1946, supera interrogativi angoscianti (il 10 ottobre 1942 Pio XII domanda al suo delegato apostolico ad Istanbul «se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male») e riformula una diffidenza dura verso la fede d’Israele, verso il sogno di una terra, verso l’infinito dolore della Shoah. Non è uno scoop, ma un dovere, comprendere questo atteggiamento per come è stato, anziché occultarlo con casi e distinguo così sottili da far pensare (lo mostrano tre articoli a discolpa di Pio XII sul numero appena uscito della Revue d’Histoire Ecclésiastique ) alle esigenze di una beatificazione. A meno di dover credere che il mea culpa di Giovanni Paolo II sia stato pronunziato su un equivoco.

Papa Pacelli e la causa di beatificazione

LA CAUSA
Le polemiche suscitate dalla scoperta della direttiva con cui Pio XII ordinava che i bambini ebrei battezzati durante il nazismo non fossero restituiti alle famiglie ha riaperto la questione della beatificazione di papa Pacelli. E’ stata infatti fissata per la prossima primavera la prima discussione davanti alla Congregazione per le cause dei santi presieduta dal cardinale Josè Saraiva Martins.
I DOCUMENTI
«È assolutamente falso sostenere che la Santa Sede abbia bloccato la causa di beatificazione» ha detto padre Gumpel, il gesuita tedesco che ricopre la carica di postulatore nel processo canonico. «Tutto il materiale è stato raccolto e stampato ed è già nella disponibilità della Congregazione».
CORRIERE.IT
Tutti gli interventi apparsi sul «Corriere della Sera» intorno al caso dei bambini ebrei battezzati e papa Pacelli sono disponibili sul nostro sito www.Corriere.it