martedì 25 gennaio 2005

depressione post-parto,
e altro

La Stampa 25.1.05
LO PSICHIATRA
«Le famiglie devono vigilare»
di Marina Cassi


Torino. Stanche, assonnate, stressate. I mesi successivi al parto spesso sono irti di ansie, paure, insicurezze e talvolta, in particolarissimi casi, una soluzione estrema appare come l’unica possibile.
Filippo Bogetto, responsabile della Psichiatria universitaria delle Molinette, avverte: «Non facciamo allarmismi, non induciamo ogni madre comprensibilmente stanca a ritenere di avere problemi seri. Però neppure alcuna disattenzione».
Professore, la depressione post partum è molto diffusa, quando può diventare grave?
«Indubbiamente è una realtà clinica con percentuali importati. Si va dai “blues”, cioè momenti o giornate di tristezza e smarrimento, a casi di depresssione lieve fino a quelli più drammatici di tipo psicotico caratterizzati da senso di lontananza nei confronti del figlio, sensazione di inadeguatezza affettiva».
Questa ultima situazione rischia sempre di evolvere in tragedia?
«No. E’ però complessa da individuare persino per i tecnici perchè la donna si spaventa, si vergogna, si chiude. Se ha già precedenti patologici psichiatrici di depressione o altro, come gravi disturbi della personalità, può arrivare anche a manifestazioni deliranti cioè a ritenere che il mondo porti solo tormenti e a scegliere gesti estremi per sottrarre il figlio alle pene del mondo».
Che cosa si deve fare per intuire se la donna può essere a rischio ed è possibile curarla?
«Ci sono i casi con precedenti che vanno trattati come tali. Poi bisogna riconoscere che oggi più che nel passato l’arrivo di un figlio scatena una rivoluzione nella vita delle coppie e che cresce l’angoscia di fondo delle giovani madri. La depressione post partum non curata di solito dura qualche mese, raramente cronicizza. Se curata dà buone risposte».
E per la prevenzione?
«Non dico che ogni neo madre debba andare dallo psichiatra o che ogni donna stanca e un po’ ansiosa perchè non dorme la notte stia manifestando sintomi di malattia. Però esorto le famiglie a tenere gli occhi aperti. Se si notano particolari chiusure o perplessità nello stare con il figlio allora è bene intervenire, aiutare e anche suggerire una visita specialistica».

Repubblica Torino 25.1.05
LA PSICOLOGA
"Quel male dell´anima che colpisce le mamme"
"Un disagio crescente ma ancora poco valutato"
Ne è afflitto il 15-18 per cento delle puerpere
di SARA STRIPPOLI


Sara Randaccio, esistono dati sull'incidenza della depressione post-parto?
«Una recente ricerca che abbiamo svolto al Sant'Anna, dove coordino il servizio di psicologia, indica che la percentuale di donne a rischio di sviluppare una depressione dopo la nascita del figlio è del 15-18 per cento. I dati della letteratura sull'argomento parlano del 12-15. Esiste poi una forma molto più lieve chiamata maternity blues, fra il 20 e il 60 per cento dei casi».
Ci può chiarire le differenze?
«Quest'ultima si esaurisce di solito in breve tempo, una tendenza alla tristezza, stanchezza. Nulla a che vedere con la depressione post-parto che è una patologia seria, spesso da affrontare anche con farmaci».
La depressione post-parto arriva in soggetti che in genere hanno già dato segnali di predisposizione a fenomeni depressivi?
«In genere sì, magari non una depressione diagnosticata ma una sofferenza percepita ma non affrontata».
Avete la percezione che eventi così drammatici siano in crescita?
«Sì. Non so dare una spiegazione netta. Forse perché adesso tutto sembra facile, anche la gravidanza e il parto. E in realtà è così, ma poi alcune donne, le più fragili, si trovano in difficoltà. Scatta la paura, il senso di inadeguatezza. E chi è vicino non si rende conto, minimizza senza affidarsi a specialisti. Donne che di fronte al figlio dimostrano freddezza, mamme che piangono sempre, che si sentono non all'altezza perché non riescono ad allattare. I segnali ci sono».
Quante donne si rivolgono a voi?
«Da qualche tempo i ginecologi sono molto più sensibili, più attenti. Adesso si rivolge a noi la metà delle neo-mamme».

Yahoo Salute 25.1.05
Psichiatria, Psicologia e Neurologia
Madri che uccidono i figli, dossier ad un convegno
Il Pensiero Scientifico Editore
di David Frati


Nuove ricerche per migliorare la terapia degli attacchi di panico, combinando farmaci e psicoterapia; introduzione della “fototerapia” quale cura naturale con la luce, senza farmaci, per alcune forme di depressione; ricerche su una dimensione nascosta di rabbia e aggressività come possibile causa di suicidio e atti violenti; conoscenze di psicopatologia nel panorama mondiale della ricerca con studi multicentrici in Italia; violenze domestiche, disturbi d’ansia e dell’umore, schizofrenia, disturbi dell’alimentazione, criminologia e psichiatria forense, psicoterapia e modelli organizzativi.
Sono alcuni dei contenuti del primo convegno “La mente nella ricerca”, organizzato dal dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica de “La Sapienza” che si è svolto al Policlinico Umberto I di Roma. L’incontro ha offerto a studiosi e operatori di discipline psichiatriche e psicologiche, un’approfondita panoramica sulle più avanzate ricerche condotte nel settore dal dipartimento. Nel simposio su “Criminologie e psichiatria forense”, tenuto da Vincenzo Mastronardi, si è discusso del crescente allarme sociale per condotte violente in ambito domestico. Attraverso dossier clinici, filmati e percorsi giudiziari, sono state analizzate le personalità di 20 madri filiicide internate nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere (MN) e di 1500 alunni di scuola media nel territorio romano. Identificate le “condotte-sintomi” che diventano fattori scatenanti del reato per fornire, così, gli strumenti preventivi efficaci nella riduzione del rischio e del danno.
“C’è stata un’ampia ed entusiasta partecipazione”, spiega Massimo Biondi del Dipartimento Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica dell’Università “La Sapienza” e uno degli organizzatori, “al primo convegno che dopo tanti anni riprende il tessuto universitario nell’ambito della psichiatria clinica e della psicoterapia. Nella mia idea dovrebbe diventare un appuntamento annuale o addirittura semestrale, allargando il gruppo di lavoro anche ad altri Dipartimenti universitari o ad altre strutture territoriali dell’area psichiatrica e psicologica. Per fare dell’Università “La Sapienza” il centro di un fecondo dibattito e di un confronto culturale, di ricerca medica e di esperienza clinica”.