martedì 25 gennaio 2005

domani a Firenze
Alberto Asor Rosa

Repubblica, cronaca di Firenze, 25.1.05
Domani a "Leggere per..." presenta la raccolta di saggi: "Nel decennio finale lo scrittore scrive in presa diretta, è più labile il confronto con i classici"
L'ultimo Novecento di Asor Rosa
Il critico aggiorna i suoi studi sul secolo letterario
"Primarie: l'ennesimo pasticcio provocato dall'incapacità di pensare in prospettiva"
di BEATRICE MANETTI


Nel secolo breve, che a ben vedere tanto breve non è stato se è vero che la sua fine coincide con sangue e col fuoco dell'11 settembre, è toccato alla letteratura chiudere per prima il bilancio di un'epoca tragica. Almeno in Italia, «dove ho l'impressione che il Novecento in letteratura finisca negli anni Ottanta. Non vedo riflessi clamorosi degli avvenimenti storici contemporanei nella produzione recente. Mi pare anzi che oggi, curiosamente, gli scrittori tendano a collocarsi in caselle elaborate, più che da loro stessi, dai funzionari dell´industria editoriale». Per Alberto Asor Rosa il Novecento è come un personaggio pirandelliano: organico e lacerato, uno e centomila. L´idea è evidente già nel titolo del suo ultimo libro, "Novecento primo, secondo e terzo", la raccolta di saggi che aggiorna agli anni Novanta il volume "Un altro Novecento" e che lo storico della letteratura presenta domani a "Leggere per non dimenticare" (ore 17.30, Biblioteca Comunale di via S. Egidio 21, introducono Giovanni Falaschi, Enzo Golino e Rita Guerricchio).
Il suo Novecento è un organismo la cui unità consiste paradossalmente proprio nelle fratture. Sta in questa contraddizione la sua idea del secolo?
«Diciamo che distinguo abbastanza nettamente fra tre diversi Novecento, che naturalmente sono incastrati l'uno nell'altro ma al tempo stesso si pongono in forte alternativa rispetto al momento precedente. Se un giorno verrà inserito un quarto Novecento, che comincia a delinearsi nelle pagine finali della raccolta, si vedrebbe che questo ragionamento funziona fino alla fine del secolo».
Eppure i suoi autori prediletti, di ieri come di oggi, danno un'impressione di continuità: per tutti, da Calvino a Tabucchi la letteratura non è stata soltanto un problema "letterario", ma anche una questione etica e ideologica. Che cosa è cambiato, allora, negli ultimi decenni?
«È cambiato il rapporto con i classici. I tre autori che chiudono la fase precedente - Pasolini, Fortini e Calvino - dispiegano la loro nozione di modernità in un confronto continuo con i classici. Direi che oggi questa necessità, a parte rare eccezioni, è quasi inesistente. Come è ormai molto labile l'idea che lo scrittore debba approfondire i fondamenti teorici della propria attività. Prevale una ricerca in presa diretta che cerca di andare alle cose senza una riflessione culturale».
Lei è un critico, un uomo politico, da alcuni anni un romanziere. Come dialogano fra loro queste sue tre anime?
«Questi tre aspetti esprimono diversi livelli dell´esistenza e dell´esperienza. È naturale che ci sia qualcosa che le fa comunicare, ma nel caso mio non in maniera condizionante. Sono passioni diverse, forti tutte quante, ma autonome».
La sua anima politica che idea si è fatta della scelta delle primarie da parte del centrosinistra?
«Quando si è parlato per la prima volta di primarie ho pensato subito che fosse una strada sbagliata, anomala rispetto all'esperienza italiana. Ma è stata scelta perché Prodi non ha ritenuto che fosse sufficiente a dargli un'investitura senza condizioni l'accettazione unanime dei partiti del centrosinistra. Nel frattempo sono emersi gli inconvenienti e le sorprese, come in Puglia, e abbiamo assistito, in ritardo, a un improvviso drammatico ripensamento sulla loro utilità. Siamo di fonte, secondo me, all'ennesimo pasticcio, provocato dall'incapacità di pensare in prospettiva e non nel contingente».