martedì 25 gennaio 2005

dal Domenicale de Il Sole 24ore

dal Domenicale de Il Sole 24ore 23.1.05
Gli scienziati italiani rispondono alla domanda di John Brockman: cosa credo che sia vero anche se non posso provarlo?
Credenze che muovono il mondo

La biologia sposerà la fisica
di Giorgio Parisi (fisico)


Io credo che in questo secolo molte idee, che oggi sono patrimonio della fisica teorica, si integreranno con la biologia e porteranno a una comprensione più profonda di cosa è la vita e di come si è evoluta.
Ovviamente non lo posso provare. La biologia è una scienza dominata dalla storia e dalla contingenza. Possiamo osservare solo quello che è avvenuto per caso su questo pianeta e non sappiamo come si sarebbe evoluta la vita altrove: l'esistenza di sistema immunitario nei vertebrati è un dato di fatto. La fisica invece è il regno della necessità: partendo da un piccolo numero di leggi si possono calcolare le orbite non solo dei pianeti del sistema solare ma anche quelle di qualsiasi pianeta di qualsivoglia. Peggio ancora, in fisica le argomentazioni sono principalmente di tipo quantitativo e il ragionamento matematico è cruciale, mentre in biologia la matematica gioca un ruolo irrilevante o ausiliario e i discorsi sono prevalentemente di tipo qualitativo.
Tuttavia, più aumentano le nostre conoscenze della materia vivente, più i biologi si trovano a studiare sistemi in cui moltissimi "agenti" diversi interagiscono tra di loro e danno luogo a comportamenti d'insieme che non sono facilmente deducibili dall'analisi del singolo agente. Per esempio migliaia o decine di migliaia di geni (o proteine) differenti formano una cellula, un numero astronomico di cellule che si scambiano messaggi forma un vertebrato, miliardi di neuroni formano il cervello umano... fino ad arrivare, salendo di scala, agli ecosistemi e all'evoluzione della vita.
Descrivere una per una tutte le interazioni che esistono tra i trentamila geni umani è utile per curare malattie, ma queste analisi producono è una massa enorme di dati dei quali non possiamo avere una visione sintetica senza utilizzare metodi statistici.
In cosa può aiutare la fisica? Lo studio teorico dei comportamenti collettivi emergenti è iniziato in fisica un secolo e mezzo fa con la meccanica statistica di Boltzmann e si tratta di una tematica di interesse vitale. Infatti tutti i cambiamenti di fase (per esempio la trasformazione di un solido in un liquido e di un liquido in un gas) si possono osservare solo quando moltissimi atomi interagiscono tra di loro. Questi cambiamenti sono l'esempio più semplice di comportamento collettivo emergente dall'interazione di molti agenti.
Negli ultimi venticinque anni i fisici hanno approfondito in moltissimi campi questa problematica, non solo in sistemi che si comportano in modo relativamente semplice come l'acqua, ma anche in casi molto più complessi. Lo studio dei sistemi complessi è diventato oggi una sotto disciplina. Le metodologie sviluppate in questi studi trovano una naturale applicazione anche in sistemi biologici. In alcuni casi più semplici, come nella spiegazione dei meccanismi della memoria, hanno avuto un pieno successo; in altri casi più difficili, come nell'analisi delle interazioni fra i diversi geni, gli studi sono cominciati solo recentemente e i lavori sono ancora in corso. I risultati ottenuti finora sono molto promettenti e io sono convinto che questo tipo di approccio diventerà sempre più importante nel futuro.
Si tratta di una strada ancora in salita. Quest'unione tra discipline tanto diverse potrà avvenire solo se la fisica diventerà più qualitativa e la biologia più quantitativa e per ora c'è solo un fidanzamento. Se il matrimonio si farà sul serio, solo il tempo ce lo potrà dire.

ll Big Bang è una teoria sbagliata
di Patrizia Caraveo (astrofisica)


Non appartengo al club del non-è-vero-ma-ci-credo. Per credere a qualcosa devo essere convinta che le evidenze sperimentali siano solide o, per usare un orrendo anglismo, robuste. In effetti, passo la mia vita a cercare prove a favore, o contro, questa o quella teoria. In mancanza di prove, non sono insensibile al fascino della statistica.
Per esempio, non ci sono prove che esista vita al di fuori della nostra Terra, tuttavia sarebbe molto strano se qualcosa di simile non si fosse sviluppato in altre parti dell'Universo che andiamo via via esplorando con un dettaglio sempre maggiore. Parlando di Universo, devo confessare che non mi riesce facilissimo accettare gli ultimi risultati in campo cosmologico. Interpretando i dati del satellite Wmap della Nasa secondo i dettami della cosmologia basata sul Big Bang, si arriva alla conclusione che l'Universo è fatto per il 4% di materia ordinaria mentre il restante 96% è diviso tra materia oscura (che non sappiamo cosa sia) ed energia oscura (sulla quale sappiamo ancora meno).
Ho difficoltà ad accettare come un grande successo una teoria che spiega appena il 4% di quello che ci circonda. Possibile che non sia possibile fare di meglio? È un vero peccato che il grande Fred Hoyle ci abbia lasciato. Lui, che aveva coniato il termine Big Bang per ridicolizzare la teoria propugnata dai suoi avversari, avrebbe trovato sicuramente un modo altrettanto mordace di stigmatizzare le forze oscure che sembrano dominare l'Universo. Ricordiamo tuttavia che ogni volta che parliamo del Big Bang tributiamo un piccolo omaggio a colui che ci ha spiegato come le stelle riescono a sintetizzare il carbonio, che è alla base della nostra vita. È sempre bello pensare che noi (e tutto il resto della materia ordinaria) siamo polvere di stelle.

Panpsichismo, ovvero l'anima è nella materia
di Roberto Casati (filosofo)


Essendo un fisicalista (o materialista, come si diceva quando si aveva un'idea meno chiara di che cos'è la materia), penso che la coscienza qualitativa sia una proprietà del mondo fisico. Fin qui niente di strano; molti fisicalisti lo pensano. Alcuni hanno anche proposto che la coscienza sia una proprietà precisa; per esempio oscillazioni a 40 hertz nella corteccia cerebrale. Ma fermiamoci un attimo: perché 40 hertz sono la luce della coscienza, e a qualsiasi altro valore corrisponde solo buio?
Non è solo l'apparente irrazionalità del fatto bruto a lasciarci perplessi. La coscienza ha un certo qual valore adattivo, e sappiamo che i picchi isolati nei paesaggi adattivi sono molto problematici: come ha fatto l'evoluzione a scoprire i vantaggi del 40 hz nello spazio infinito delle frequenze possibili? Si aggiunga a ciò il fatto che la tesi fisicalista va letta anche nel senso inverso. Se si accetta che tutto ciò che è coscienza è fisico, si dice che almeno qualcosa di fisico è coscienza. Ma messa in questo modo la tesi appare strana. Veramente il fisicalista pensa che ci siano delle proprietà fisiche che non siano un semplice e cieco distribuirsi di valori nello spaziotempo, ma siano gioiose sensazioni di color porporino, qualia di piacere e dolore, gradevoli passaggi musicali? Eppure deve ammetterlo.
Se si unisce l'implausibilità di una coscienza confinata a una sola proprietà fisica, e il riconoscimento dell'aspetto qualitativo della realtà fisica, ci si ritrova con una tesi che assomiglia al panpsichismo. Ogni singola manifestazione di quantità fisica sarebbe in realtà anche un episodio di coscienza qualitativa. Forse Leibniz pensava a qualcosa del genere con la teoria delle monadi. È un'idea che può piacere o non piacere, ma che i fisicalisti devono prendere in seria considerazione in quanto discende da alcuni assunti della teoria. E l'intuizione dietro quest'idea, con la quale ogni tanto mi trovo a lottare, potrebbe da un lato renderci amico il mondo delle cose considerate fin qui inerti e stupide, le cose materiali, ogni parcella delle quali conterrebbe un tesoro di qualia; e dall'altro potrebbe ridimensionare la pretesa per cui la nostra differenza dalle cose materiali sarebbe nel possesso di una coscienza qualitativa.
Per questo scommetterei senza prove empiriche su una forma (moderata e non connotata religiosamente) di panpsichismo. Sono fisicalista; non c'è altra realtà che la realtà fisica; ma la realtà fisica è qualitativa. Non serve un supplemento d'anima.

Cellule adulte che ridiventano embrionali
di Lucio Luzzatto (biologo)


Le conoscenze attuali sugli organismi superiori fanno ritenere che la sequenza del Dna, che contiene l'informazione genetica ed è chiamata perciò il genoma, sia uguale in tutte le cellule. Eppure le cellule dell'organismo sono estremamente differenziate: basti pensare alle cellule del fegato, della cute, del sangue o del cervello. La spiegazione quasi obbligata di questo fenomeno è che le varie cellule usano il loro identico genoma in modo diverso: in altre parole, tutto dipende da quali geni sono attivi e quali inattivi; e per ciascun gene, qual è il livello di attività. Ma rimangono due questioni importanti. Uno: come fanno le figlie di una cellula del fegato a essere ancora cellule del fegato? Due: che cosa induce in una cellula indifferenziata quel tipo di regolazione genica che la fa diventare cellula di fegato?
È quasi certo che la cellula del fegato è diventata tale a causa di modificazioni (epigenetiche) del Dna, che non ne alterano la sequenza, ma che sono tuttavia fedelmente replicate quando la cellula si divide. Queste modificazioni sono quasi irreversibili, e pertanto non c'è pericolo che la figlia di una cellula di fegato si ritrovi cellula nervosa. Ma il quasi è importante, perché significa che il ritorno di una cellula differenziata a cellula indifferenziata non è impossibile. Io credo che se trovassimo specifiche opportune condizioni sperimentali potremmo riuscire a ottenere da qualunque cellula viva una cellula indifferenziata — qualcosa di molto simile a una cellula staminale embrionale —, e da quella cellula indifferenziata indurre il differenziamento verso il tipo cellulare originario, o verso qualsiasi altro tipo cellulare.
Perché non posso provare questa nozione in cui credo? Perché non ne sono ancora capace; o per carenza di tecniche necessarie, o per carenza mia. Per la maggior parte delle ipotesi di lavoro in campo biologico (evoluzione a parte), io penso che prima o poi le prove si troveranno.
Le implicazioni pratiche di quanto credo sono evidenti; le implicazioni etiche sono un po' più complesse. Se una cellula differenziata può diventare equivalente a una cellula staminale embrionale, e se questa può dare una morula, vuol dire allora che ogni cellula differenziata umana è una persona?