lunedì 14 febbraio 2005

adolescenti

Repubblica 14.2.05
La generazione del "non è colpa mia"

I ragazzi in una ricerca americana: non sostengono le responsabilità
Accusano il destino, i genitori, la scuola, la società, mai loro stessi sempre vittime di qualcun altro
Il domani è incerto forse perché quando erano piccoli sono stati troppo protetti e resi poco autonomi
CATERINA PASOLINI

ROMA - La chiamano la generazione del «sì, ma non è colpa mia». Sempre più ragazzi sono convinti che il loro destino non sia nelle loro mani, ma che i loro insuccessi siano da addebitare a genitori, scuola, governo o sfortuna. A tutti, insomma, ma non a loro. A dirlo non sono mamme e papà esasperati e incapaci di comunicare con i figli in crisi. Ma una approfondita indagine dell'università americana di San Diego che ha analizzato e comparato le risposte, di 18310 studenti di college e 6554 bambini nel corso degli ultimi 40 anni, a test studiati per stabilire quanto le persone si assumono le loro responsabilità.
Il risultato? Dal '60 ad oggi le nuove generazioni si sentono sempre più «vittime», sempre più ostaggio del mondo esterno e quindi meno responsabili della loro vita, persuase come sono di non avere possibilità di incidere sulla realtà e costruirsi il futuro. Incerti e dubbiosi come quel 33 per cento di giovani italiani, secondo l'indagine dell'Istituto Iard, sicuri solo che il loro domani sarà pieno di rischi e incognite. Tanto da «eternizzare il presente vista la difficoltà di immaginarsi il futuro», sottolinea lo psicologo Gustavo Charmet .
«Negli anni '50 si pensava che chiunque avrebbe avuto successo se si fosse impegnato, poi le cose sono cambiate», dice la dottoressa Jean Twenge, autrice della ricerca dove le statistiche raccontano la fine delle illusioni e la sensazione di impotenza che potrebbe spiegare la crescita dei livelli di ansia e depressione tra i giovani. Se infatti nel '69 il 58% degli intervistati era convinto che lavorare duramente ripagava degli sforzi, nel '76 si era ridotto al 43%. Anche in Inghilterra, sottolinea lo psichiatra Raj Persaud, «cresce la sensazione di incidere poco sulla propria vita e ogni generazione dagli anni '50 è diventata sempre meno pronta a dilazionare la gratificazione, proprio perché persuasa di non controllare il proprio futuro». Di non esserne quindi in parte responsabili.
Il dilemma della nostra società, secondo lo psichiatra, è come portare le persone a farsi carico di loro stesse «visto che incolpare gli altri e forze esterne di ciò che ti accade porta al disgusto di se stessi e all´apatia. «Perché infatti educare tuo figlio quando puoi incolpare del suo comportamento la sindrome da iperattività? Perché mettersi a dieta se puoi fare causa alle catene di fast food per essere ingrassato»?