L'Unità 26 Febbraio 2005
Embrioni e false credenze
Carlo Flamigni
L’ho sentita dire tante volte, e da parte di persone così autorevoli che ci avevo creduto. Ho qualche attenuante: sono romagnolo, di origine contadina, si sa, noi siamo fatti così, creduloni, ingenui.
La frase, ricorrente in molti giornali, “trasversale” se volete usare un “quasi neologismo” era sempre la stessa: non è un conflitto tra i laici e i cattolici.
Di più: ci meravigliamo (siamo stupiti, ma come si fa a dire certe cose) che qualcuno sostenga che è un conflitto tra laici e cattolici.
Beh, non sarà un conflitto, tra laici e cattolici, ma ci assomiglia molto. Consentitemi di fare riferimento solo a quello che sta capitando a me (ho molta comprensione ma poco tempo per gli altri) ed ecco che cosa vi posso raccontare dopo mezza giornata di letture: su Internet, nel sito del Movimento per la vita, un carneade (almeno si fosse trattato di Carlo Casini) che parla come le vecchie barzellette della Domenica del Corriere, mi insulta in una successione di articoli; su Medicina e Morale, ci sono ripetute allusioni ai miei convincimenti privati, che hanno, secondo gli autorevoli autori dell'articolo, uno dei quali è un vescovo, lo scopo di imbrogliare la gente (il colto pubblico) e il Parlamento (l'inclita guarnigione); sull'Avvenire, paginone dedicato alla legge 40, ci sono almeno due articoli che mi prendono a male parole (proprio così, niente fioretto, spadone e neanche tanto affilato).
Lasciamo stare cose futili come l'educazione e il rispetto della legge: per certi versi ci penserà la magistratura, e io mi accontento di questa garanzia. La mia curiosità riguarda le ragioni di un tono tanto bellicoso, proprio quel tono da “guerra di religione” che la maggior parte degli osservatori neutrali temeva sarebbe stato utilizzato dai laici. Guerra preventiva?
Secondo me, fare la voce tanto grossa, scegliere l'insulto invece del dialogo, prendersela con le persone invece che con le loro idee, è atteggiamento, diciamo così, preculturale: assomiglia tanto a quello dei gorilla che si battono grandi pugni sul petto, certamente per spaventare l'altro, ma anche perché sono spaventati essi stessi e non sono del tutto sicuri delle proprie forze (si può dire “dei propri argomenti”?). Perché, sempre secondo me, il problema è proprio qui, negli argomenti traballanti, fragili, spesso insostenibili. E nel convincimento che battere il pugno sul tavolo, fare la voce grossa, li potrebbe trasformare in solidi, inattaccabili principi, degni di attaccarci sopra un bel dogma, e così sia.
Vediamoli insieme, questi argomenti. Prima di tutto, lo statuto dell'embrione. Lasciatemi enunciare punti di vista, espressi in campo cattolico (quindi vi risparmio il parere - o i molti pareri - degli altri). Chiedo a chi venga colto dal desiderio di trattarmi da bugiardo di avere un po' di pazienza, sto andando in tribunale troppo spesso: pubblicherò tra non molto un libro nel quale questi temi saranno trattati in extenso, con tanto di voci bibliografiche, aspettino almeno di averlo letto.
Dunque, se capisco bene cosa sta accadendo, l'ipotesi che piace di più ai bioeticisti cattolici è quella che riconosce l'inizio della vita personale nell'ovocita attivato. Ma, sempre dal mondo cattolico, sono uscite anche queste proposte:
- l'inizio della vita personale ha inizio con la formazione di un genoma unico (cioè dopo 24 ore);
- con la perdita della totipotenza dei blastomeri (cioè dopo 2-3 giorni);
- con la formazione della linea embrionaria e la fine della possibilità di formare gameti (cioè dopo 14 giorni);
- con l'inizio dell'impianto in utero (cioè dopo 4-5 giorni);
- con la formazione della prima cellula nervosa (dopo 5-6 settimane);
- con la formazione di un “corpo attuale” (e qui debbo confessare che i miei amici ilomorfisti non mi hanno fatto date o, se le hanno fatte, io non le ho capite).
È evidente che tutte queste teorie sono nel vero, proprio perché il “vero”, a proposito dell'inizio della vita personale, non è accessibile a nessuno di noi, e la verità è sostituita da una convenzione. Tutto bene, naturalmente, fino al momento in cui qualcuno non si rende conto di possedere solo una verità relativa e decide di imporre agli altri il suo atto di fede.
Secondo esempio: il problema della donazione di gameti.
Qui l'”imbroglio” sta nel definire la genitorialità secondo un modello biologico, dimenticando che il concetto è puramente simbolico. Non voglio disturbare gli infiniti esempi di genitorialità diversa da quella tradizionale alla quale si fa continuo riferimento, né citare i molti differenti esempi che convivono nel nostro modello. Mi limito a ricordare che esiste - lo sappiamo bene - un modello di paternità e di maternità che è basato sull'etica della responsabilità, oltretutto molto apprezzato socialmente: sono tuo padre, sono tua madre, perché sarò vicino a te ogni qual volta avrai bisogno di me, ogni qual volta mi chiamerai. Un modello di genitorialità sociale che chiede solo di affiancarsi a quella biologica e che esiste già nella nostra cultura, basta pensare all'adozione.
Penso che concedere alle coppie che vogliono una donazione di gameti il diritto di dimostrare di essere in grado di assumersi questa responsabilità nei confronti del figlio, non dovrebbe rappresentare uno scandalo, come non è scandaloso approvare l'atto puramente oblativo dell'adozione. Insomma, non ci dovrebbe preoccupare il “come” viene concepito un bambino, ma il “come” viene amato ed educato, ed è solo per questo che abbiamo il diritto/dovere di chiedere garanzie alle coppie. Ultimo argomento, almeno per oggi: l'eugenetica.
È una eugenetica nuova, ben diversa da quella “old style” che aveva a che fare con improbabili e fantascientifici interventi sui geni, e che indica invece la possibilità di “selezionare in nome di un vero o presunto paradigma di salute genetica”.
Il timore è quello, ripetuto fino all'ossessione, della china scivolosa: se diamo il via all'ingegneria genetica, non ci fermeremo più e dopo aver curato cancro e anemia a cellule falciformi alterando il corredo genetico degli individui (o impedendo agli embrioni malati di procedere nello sviluppo) finiremo per applicare le stesse regole al daltonismo o alla tendenza alla calvizie.
Ho letto una bella e persuasiva critica di Demetrio Neri a queste posizioni, la condivido, ma non la riporto qui, perché credo che un lettore di buon senso sia già sufficientemente stupefatto da quanto ho riportato. Ripensateci: niente cura - nè selezione embrionaria - per la Corea di Huntington, sennò finiremo per discriminare i mancini. Siamo dunque così stolti, così stupidi, così inumani?
Ebbene, se lo siamo e abbiamo bisogno di proibizioni legali per evitare lo slippery slope, il pendio scivoloso, forse abbiamo fatto il nostro tempo - come specie, intendo - meglio lasciare il campo agli insetti.
Trovo incredibile questa assoluta mancanza di fiducia nelle capacità dell'uomo di stabilire regole logiche e civili al proprio comportamento, senza bisogno di strutture religiose e di ricorso alla morale derivata dal trascendente. Solo per le persone di buon senso, mi piace ricordare che numerose società scientifiche avevano proposto di far fare ai genetisti un elenco delle malattie genetiche nelle quali si poteva ritenere necessario eseguire una diagnosi pre-impiantatoria sull'embrione, in modo da escludere le cosiddette “zone grigie”, quelle che corrispondono a quadri morbosi compatibili con una accettabile qualità di vita.
Concludo: mai, a mio avviso, una prepotenza tanto grande è stata giustificata con argomenti tanto futili. Mai, a mio ricordo, una prevaricazione così solenne è stata accompagnata da un clangore di trombe altrettanto assordante.
E l'uscita di un romanzo a puntate sulla bioetica in uno dei maggiori quotidiani italiani è il segnale della nascita di un nuovo modulo culturale, il Bignami della metafisica popolare. Tutto per una società inaffidabile, incolta, atassica, pericolosamente in bilico sul ciglio di un pendio scivoloso.
Non ci dovrebbe preoccupare il «come» viene concepito un bambino, ma il «come» viene amato ed educato, ed è solo per questo che abbiamo il diritto/dovere di chiedere garanzie
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»