Liberazione 26.2.05
Tra padri, giudici e Corano
la Primavera delle donne marocchine è in cammino
Un anno di "eguaglianza" in un Paese ancora patriarcale e maschilista
Lucia Manassi
E' passato un anno, in Marocco, da quando il Parlamento ha votato all'unanimità la riforma della legge sulla famiglia (Moudawana), una legge che pone le fondamenta dell'eguaglianza tra uomo e donna nel diritto. Il Marocco è il secondo paese arabo, dopo la Tunisia, a sancire questo principio e lo ha fatto dopo decenni di battaglie delle associazioni di donne, attraverso un cammino tortuoso che è arrivato a conclusione per volontà del re Mohammed VI, sovrano assoluto e capo dei credenti, ma espressione di una nuova generazione di leader del mondo arabo.
Gli ostacoli all'applicazione reale della riforma restano ancora molti, legati alla mancanza di una serie di misure che dovevano accompagnarne il varo e alla mentalità maschilista e patriarcale che tutt'oggi prevale soprattutto nelle campagne. Ma un passo storico per le donne marocchine è stato compiuto. Dispongono ormai di uno statuto legale identico a quello degli uomini: hanno il diritto di avviare una procedura di divorzio senza perdere la custodia dei figli e il domicilio coniugale, la famiglia è sotto la corresponsabilità di entrambi gli sposi, la donna non è più sotto tutela, la regola dell'obbedienza al marito è stata abolita, i bambini nati fuori dal matrimonio hanno diritto alla paternità.
Certo, i compromessi sono stati accettati. La poligamia non è abolita, ma sottomessa a condizioni che la rendono quasi impossibile e la donna può rifiutarsi di accettarla. Così il ripudio, prima diritto esclusivo del marito, non scompare ma è sottoposto all'autorizzazione preliminare di un giudice.
A distanza di un anno, una delle propugnatrici della riforma, Leila Rhiwi, coordinatrice del Collettivo Primavera dell'Eguaglianza costituito nel 2000 mettendo in rete le associazioni che si battevano per il cambiamento, insiste sul ruolo che svolgono i giudici, nella maggior parte conservatori e tutti uomini, nell'interpretazione del testo. E il fatto che una guida di procedura non sia ancora stata redatta lascia aperta la possibilità che si allarghino le maglie, per esempio, alle ragioni dei mariti che vogliono prendere una seconda moglie. Per di più la nuova legge è poco conosciuta nelle aree rurali del paese, dove le donne sono ancora all'80% analfabete. Radio e tv ne hanno parlato raramente e in arabo classico, non facile da capire per chi non ha studiato. Una riforma perfettibile dunque, che dovrà affermarsi su una mentalità ancorata alla tradizione, ma il cui spirito e la cui filosofia sono essenziali.
Il cammino che ha portato alla revisione della Moudawana è stato burrascoso. Un progetto precedente e più complesso (1999 - Piano per l'integrazione delle donne nello sviluppo), che comprendeva anche iniziative per aumentare l'inserimento delle donne nel mondo della scuola e del lavoro, fu bloccato dal Ministro degli Affari Islamici del precedente governo a guida socialista. Il dibattito si fece infuocato, le decine e decine di associazioni di donne che dai primi anni 90 erano nate nel paese organizzarono una manifestazione a Rabat per sostenere la riforma il 12 marzo 2000. Arrivarono tra le 100.000 e le 200.000 persone. Rispose una immensa manifestazione organizzata dagli islamici di Al-Adl Wal-Ihsan (Giustizia e Carità). La folla contestava il piano come anti-musulmano e il progetto di riforma venne accantonato. Il nuovo re, in carica allora da solo un anno, nominò quindi una commissione di quindici membri (tra cui tre donne) per conformare il testo alla legge islamica. Mohammed VI ha fortemente voluto la riforma, in un momento di delicato equilibrio del paese, stretto tra l'alleanza con gli Usa e una popolazione, abituata al dibattito politico e attratta da un movimento islamico in crescita, critico verso gli eterni difetti del sistema e pronto al canto delle sirene identitarie.
La discussione riprese e gli intellettuali e le organizzazioni femminili elaborarono argomenti di sostegno alle loro tesi fondandosi sui riferimenti musulmani, dimostrando che la via del diritto delle donne non è in contraddizione con il patrimonio culturale arabo musulmano. Il cambio di tattica è stato vincente. In Parlamento ha votato a favore della riforma anche il Pjd (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), partito islamico conservatore all'opposizione uscito molto rafforzato dalle elezioni del 2002 e prossimo possibile vincitore nella tornata elettorale del 2007. Alcuni analisti hanno letto il suo via libera al progetto di riforma del codice della famiglia come una delle conseguenze degli attentati terroristici del 16 maggio 2003 che a Casablanca uccisero 45 persone. L'ondata di arresti (5.700 persone interrogate e 1.300 messe sotto accusa) e di sdegno ha messo sotto pressione gli ambienti islamici anche ben lontani dalla dottrina del Takfir salafita, diffuso quasi esclusivamente nelle bidonville delle città, da dove provenivano gli attentatori. Da qui la volontà di segnare la distanza dalle dottrine radicali da parte del PJD, tradizionalmente vicino agli apparati governativi.
Se le associazioni non governative di donne in Marocco sono tante e vive, molta attrazione esercita anche sulle donne il movimento islamista Giustizia e Carità dello sceicco Abdessalam Yassine, la cui portavoce è la figlia Nadia. Le militanti islamiche approvano la riforma pur criticandola: "La nuova legge dovrebbe accordare alle donne il diritto di decidere a quali condizioni accettare la poligamia e il ripudio", è stato il commento di Nadia Yassine. Accordano la priorità ad una battaglia identitaria, accettando la complementarietà dei ruoli e escludendo una rivendicazione di genere. Ma occupano sempre più lo spazio pubblico.
Nella vicina Algeria la pressione dei gruppi terroristici sta finalmente allentando la morsa, mentre il Gia è già dato in rotta, il Gruppo Salafista per la Predicazione e il Combattimento, autore delle azioni più recenti e sanguinarie, in un documento del 27 dicembre 2004 si sarebbe dichiarato abbastanza favorevole al progetto di amnistia generale che il presidente Abdelaziz Bouteflika vuole mettere a referendum entro l'anno. La società civile ricomincia a respirare e le associazioni di donne possono tornare con vigore a combattere la loro battaglia contro il Codice della famiglia, emanato nel 1984 e subito giudicato retrogrado e iniquo, molto simile nei contenuti a quello marocchino precedente la riforma. Per questo è nata una rete di associazioni dal nome significativo: Collectif 20 ans Barakat! - Collettivo 20 anni sono abbastanza! - che ha trasformato il 2004 in un ventennale di rivendicazioni. La risposta è arrivata dall'alto e non ha soddisfatto le richieste delle donne: il testo finale presentato dal governo a novembre, ancora oggi allo stadio di progetto, è il frutto di infinite mediazioni. Segna un solo avanzamento reale: la garanzia per la madre, dopo il divorzio, ad avere diritto ad un alloggio. Per il resto il tutore matrimoniale è mantenuto, pur diventando volontario, la poligamia resta, pur con più limiti, così come il divieto di adozione, l'autorità genitoriale della madre è riconosciuta, ma solo nel caso di divorzio. Per il Collettivo ce n'è abbastanza per respingere in blocco le "riformette" (cfr. intervista), che non rispecchiano la realtà della società algerina, molto più avanti rispetto alle leggi: la poligamia per esempio riguarda soltanto l'1% della popolazione.
I codici della famiglia nei paesi musulmani, da cui dipende la vita, le scelte, il futuro di milioni di donne, sono oggetto di dibattito e scontro tra riformisti e conservatori, un conflitto in cui la presenza delle associazioni femminili e femministe dà un apporto determinante, soprattutto per la conclusione a cui queste battaglie sono destinate. Uno dei primi paesi musulmani a prevedere la monogamia è stato per esempio l'Egitto, in cui dall'inizio del secolo scorso si sviluppò un pensiero femminista endogeno. Ma anche in Egitto il perpetuarsi di usi ancestrali e di tradizioni maschiliste porta ad una applicazione parziale della legge. Per quanto riguarda il divorzio, nel dicembre del 2004 Human Rights Watch ha denunciato in un rapporto le ingiustizie a cui sono sottoposte le donne dai magistrati che devono giudicare le loro richieste di separazione. Il sistema della giustizia resta nelle mani degli uomini.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»