sabato 26 febbraio 2005

gasp!
il testo originale
dell'intervista di Panorama a Bertinotti

Panorama 25.2.05
CONFESSIONI - FAUSTO BERTINOTTI E LA RELIGIONE
Il rosso e la fede
di Stefano Brusadelli

http://www.panorama.it/italia/politica/articolo/ix1-A020001029518

Alla vigilia di un congresso che consacrerà la scelta pacifista e non violenta, il segretario di Rifondazione parla per la prima volta del suo rapporto con il Cattolicesimo. Rivelando che se vent'anni fa poteva dirsi ateo, oggi in quella definizione non si riconosce più
Chi l'ha visto, qualche giorno fa, mentre discuteva di pace, e di fede, con il teologo Carlo Molari nelle stanze della Comunità di San Paolo a Roma, racconta di un uomo molto coinvolto, persino emozionato. A 64 anni, e alla vigilia di un congresso (a Venezia, dal 3 al 6 marzo), dove la sua Rifondazione consacrerà la sua nuova vocazione pacifista e non violenta, Fausto Bertinotti ha deciso, per la prima volta, di affrontare con Panorama il tema del suo rapporto con la dimensione religiosa.
Segretario, è vero che è sempre più attratto dal problema della fede?
Questo interesse per me c'è sempre stato. Da 30 anni, nella mia mazzetta, c'è l'Osservatore romano. Ricordo che una volta, alla fine degli anni Settanta, fui invitato in un paesino dell'Appennino all'assemblea nazionale dei preti operai. Io dovevo tenere la relazione sulla militanza politica mentre Bruno Manghi, un sindacalista cattolico della Cisl, doveva farla sulla militanza religiosa. Andando su in macchina insieme ne parlammo, e alla fine, scherzando ma non troppo, Manghi mi disse che forse avremmo fatto bene a scambiarci le relazioni.
Suo padre era cattolico?
Mio padre era un socialista d'antan, ateo e anticlericale. Come molti della sua generazione, in trincea aveva visto i preti benedire la guerra. Ma rispettava chi credeva, e mi trasmise questo rispetto.
Ma in lei c'è più che un rispetto...
Per la mia formazione due letture sono state fondamentali: la Lettera a una professoressa di Don Lorenzo Milani e le Lettere di Paolo di Tarso.
Perché San Paolo?
Lui ci insegna la critica all'ordine vigente, la necessità di trascendere l'esistente: «Siamo uomini in questo mondo, non di questo mondo».
Dove ha cominciato ad apprezzare i cattolici in carne e ossa?
Nel sindacato, e nelle Acli, che quando ero in Cgil avevano un rapporto intenso con noi. Ricordo con emozione alcuni momenti di dialogo. Per esempio, una piccola organizzazione che riuniva i giovani operai cattolici, si chiamava Gioc; e, soprattutto, il confronto che nell'atmosfera conciliare ci fu a metà degli anni Sessanta tra marxisti e cattolici, entrambi eterodossi nei loro schieramenti. Personaggi come Pietro Ingrao e Lucio Lombardo Radice da una parte, padre Ernesto Balducci e Raniero La Valle dall'altra. Poi fui affascinato anch'io da dom Franzoni, e dall'esperienza della sua Comunità di San Paolo negli anni Settanta.
Con le gerarchie, invece, c'era minore simpatia?
Non dimenticherò mai un episodio accaduto a Torino nel Natale del 1969. I metalmeccanici in lotta avevano messo su una tenda davanti alla stazione di Porta Nuova. Faceva un freddo polare. A sorpresa, arrivò ed entrò nella tenda a portare la sua solidarietà l'arcivescovo, Michele Pellegrino.
Lei si è sposato in chiesa?
Mi sono sposato in chiesa per omaggio alla famiglia di mia moglie. Ma nostro figlio non è battezzato.
E lei, è battezzato?
Sì, sono battezzato.
A chi dà l'8 per mille?
Allo Stato.
Frequenta le chiese?
La logica di quel rispetto reciproco che mi ha insegnato mio padre ha avuto uno sviluppo: frequento le cerimonie religiose. E non senza un coinvolgimento emotivo.
Lei si definisce ateo?
Sarei così prudente da evitare una risposta conchiusa. Se me lo avesse chiesto a venti oppure a trent'anni, avrei risposto senza esitazioni: sì.
E oggi?
Oggi, pur non essendo credente, eviterei risposte così definitive.
È il segno di un'incertezza?
Non è il segno di chi ha oggi un'incertezza, ma di chi non vuole negarsi la ricerca.
Le è capitato, come a Ingrao, di sentire il fascino della scelta monastica?
Sì. Per citare ancora Ingrao, poiché ho un atteggiamento di ricerca molto simile al suo, bisogna saper stare nel gorgo, cioè fare, e lottare; e nello stesso tempo saper prendere le distanze da quel che si fa. Per vedere con distacco, dubitare, riflettere sui destini ultimi. Questa è la tentazione monastica rispetto alla militanza, in questo senso anche io ne avverto il fascino.
Quanto pesano, nel suo fare politica, i valori religiosi?
Premetto che per me la politica deve avere una fondazione laica, mondana. E deve essere aconfessionale, legittimata solo dal popolo. Ma questo non vuol dire che non debba interrogare altre dimensioni. Come, appunto, quella religiosa.