giovedì 3 febbraio 2005

donne
un dibattito

Corriere della Sera 3.2.05
Corpo e libertà: a confronto le riflessioni di Silvia Vegetti Finzi, Anna Bravo, Lea Melandri, Chiara Valentini, Franca Fossati
Le donne di sinistra e i limiti del desiderio
di Cristina Taglietti


Il corpo e la maternità, la vita e la morte, la libertà e il diritto. Le donne tornano a riflettere su se stesse e sui loro territori, ripensano al percorso, rivedono gli esiti delle loro battaglie, stimolano riflessioni sul presente. È un dibattito che si svolge su giornali di vari schieramenti, stimolato dalla discussione sulla procreazione assistita a cui si lega, fatalmente, il tema dell’aborto. Sul terreno della fecondazione artificiale, superata la scontata dicotomia tra laici e cattolici, emergono posizioni problematiche che vanno oltre anche la roccaforte de «il corpo è mio e lo gestisco io», costringendo le femministe storiche e di nuova generazione a distinguo e precisazioni. Così Silvia Vegetti Finzi sul Corriere di ieri, pur partendo da un netto rifiuto dell’attuale legge sulla procreazione assistita, invita a una riflessione sulla necessità di porre dei limiti al desiderio personale e di confrontare l’urgenza del singolo con la sensibilità morale della collettività, con l’idea condivisa del bene comune: «La psicoanalisi ha messo in guardia dall’onnipotenza dell’inconscio - scrive - che spinge le donne a chiedere un figlio a tutti i costi e la tecnica a offrire un figlio in qualsiasi modo».
E la storica Anna Bravo, con un passato da militante di Lotta continua, in un saggio sul numero di Genesis , la rivista della Società delle storiche, di cui dà conto Simonetta Fiori su Repubblica di ieri, parla dell’«immaturità» con cui negli anni Settanta le donne si misuravano sulla questione dell’aborto. Una posizione che, lungi dal mettere in discussione la legge sull’interruzione di gravidanza («in Italia gli attacchi contro l’aborto hanno toni non meno odiosi di trent’anni fa» dice), fa notare come allora si tendesse a sorvolare su molte cose, per esempio sulla «sofferenza del feto», sul fatto che fosse non vita ma comunque «materia vivente» o sul fatto che «non sempre la donna era una vittima» e poteva scegliere l’aborto «per rifiuto della maternità, perché non si sentiva pronta, per ostilità alla propria madre, perché c’erano altre possibilità». Una riflessione, quella della Bravo, che lega questa omissione a un’altra di cui si sono a suo parere rese colpevoli le femministe e cioè una certa indulgenza nei confronti della violenza.
Una posizione che non piace a una femminista storica come Lea Melandri, animatrice, insieme ad altri, su Liberazione e sul sito www.universitadelledonne.it, del dibattito sulla fecondazione assistita: «Viene fuori un’immagine a effetto di un femminismo violento che non corrisponde alla realtà. Mi sembra un falso storico: tende ad appiattire i movimenti femminili su posizioni schematiche dove tutta la sinistra degli anni Settanta era colpevole di un atteggiamento ambiguo sulla violenza. Sull’aborto in particolare c’è sempre stata un’analisi approfondita che teneva conto sia della violenza insita in una sessualità coattivamente procreativa sia della violenza connaturata a un atto, l’interruzione della gravidanza, che si esercita proprio sul corpo della donna».
Il corpo, il desiderio sono oggi il terreno su cui si gioca la partita del confronto: «Non sono d’accordo sull’idea che si debbano porre dei limiti al desiderio di maternità - dice Chiara Valentini, autrice di un vera inchiesta sul campo, La fecondazione proibita (Feltrinelli) -. Mi sembra un discorso pericoloso dove l’altra faccia della medaglia è l’aborto e il rischio di rimettere tutto in discussione. Oltretutto lo trovo anche un po’ anacronistico, un atteggiamento che mette la donna sotto libertà vigilata. Ci devono essere delle regole, naturalmente, proprio per evitare che la donna venga spossessata della maternità, che venga usata come cavia. Oggi semmai la sfida più interessante è capire quali percorsi si possono affrontare, quali spazi si possono creare. Per esempio sull’adozione, che per anni è stata vista come una doppia vergogna, da parte di chi era sterile e da parte di chi era stato abbandonato».
Ciò che è chiaro è che la discussione non può che avere come protagoniste le donne e proprio su una loro eccessiva ritrosia a entrare in gioco si è interrogata sul Foglio Nicoletta Tiliacos qualche tempo fa, dando vita a un lungo dibattito che continua ancora oggi: «Più che ripensamenti, sulla fecondazione assistita forse c’è stata un po’ di autocensura, una paura, ingiustificata, di affrontare temi che possono essere oggetto di strumentalizzazione. L’intervento di Anna Bravo mi sembra positivo da questo punto di vista. Quello della fecondazione è un tema che coinvolge moltissimi aspetti e soggetti. Lo rappresenta bene un libro come Un’appropriazione indebita (Baldini Castoldi Dalai, ndr ), composto da moltissimi contributi che propongono un pensiero molto complesso. Le donne non possono chiamarsi fuori».
Non si è sottratta neanche Franca Fossati, che è stata la direttrice del giornale femminista Noi donne: «Mi fa arrabbiare la tracotanza con cui gli uomini parlano di queste cose, come se appartenessero solo a loro, senza tener contro del nostro vissuto, della nostra esperienza. Forse la colpa è stata anche della nostra generazione che non ha tenuto conto dell’esperienza delle più giovani, che non ha saputo prendere in mano e gestire il dibattito. Ci siamo limitate alla nostra esperienza. In questo senso anche il saggio di Anna Bravo mi sembra un filo di riflessione intelligente, che si può portare avanti. Quanto al desiderio, è una componente fondamentale della maternità e non mi sembra un vero pericolo, anzi forse il rischio è la sua demonizzazione. Insomma non vedo tutto questo delirio di onnipotenza, i casi estremi, tipo la madre di settant’anni, sono avvenimenti isolati».