giovedì 3 febbraio 2005

referendum sulla fecondazione
il professor Vescovi si asterrà

Corriere della Sera 3.2.05
IL PROFESSOR VESCOVI
«L’embrione è vita ma pensiamo all’uso di quelli congelati»
«Ipotizziamo un arco di tempo oltre il quale considerarli donabili alla scienza»
di Franca Porciani


Angelo Vescovi, 42 anni, biologo, ricercatore di punta sulle cellule staminali nervose, condirettore dell’Istituto di ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele di Milano e docente all’Università Milano-Bicocca, approva - anzi sottoscrive - le posizioni espresse da don Luigi Verzé nell’intervista di ieri al Corriere. L’embrione non si tocca, la vita è tale fin dal concepimento e la ricerca deve accettare questo limite invalicabile. Propone, però, una possibile strada per l’impiego degli embrioni congelati, dimenticati nei centri di fecondazione assistita (circa 30.000 in Italia, 300.000 nel mondo). Dottor Vescovi, il rapporto fra Chiesa cattolica e scienza è sempre stato difficile. Senza scomodare il fantasma di Galileo, basta ricordare l’opposizione alla contraccezione e, ora, quella alla ricerca sull’embrione. Due punti di vista inconciliabili?
«Che nel passato ci siano state frizioni pesanti è innegabile. Ma se guardiamo al percorso storico degli ultimi decenni, da parte della Chiesa certe rigidità sono andate scemando. Ricordo, ad esempio, la posizione di apertura del Papa nei confronti degli Ogm. E’ ovvio che la frizione diventa muro contro muro quando è in gioco l’embrione. Si minaccia qualcosa di essenziale, la vita stessa. E, badi, io sono un ricercatore e, soprattutto, un laico».
E come ricercatore laico qual è il suo punto di vista riguardo all’impiego degli embrioni per la ricerca, soprattutto per ricavarne cellule staminali?
«Per me l’embrione è vita fin dal momento della fusione dei due gameti, maschile e femminile. E lo è proprio sotto il profilo biologico, indipendentemente da considerazioni religiose o filosofiche. Noi ricercatori dobbiamo essere onesti e rifuggire da ragionamenti semplicistici che riducono l’embrione nei primissimi stadi di sviluppo a "un grumo di cellule", sacrificabile all’altare della ricerca. E’ un’opinione diffusa nel mondo anglosassone, ma i nostri presupposti culturali ed etici sono diversi. Le teorie, in voga oggi, che cercano di portare acqua all’idea che prima di un certo momento - quando si profila l’abbozzo degli organi - l’embrione sia solo una vita potenziale, una non-ancora-vita, sono mistificatorie, soprattutto sotto il profilo scientifico».
Per lei non è lecito nemmeno sacrificare l’embrione per curare malattie gravi come l’Alzheimer, il Parkinson o la sclerosi multipla?
«Come ha detto don Verzé, lo sarebbe se fosse possibile estrarre da lui cellule staminali senza distruggerlo o ferirlo. Ma per ora questo non riusciamo a farlo. Diversi gruppi di ricerca nel mondo stanno tentando di produrre queste cellule senza "scomodare" l’embrione. Ian Wilmut, il padre della prima clonazione, quella della pecora Dolly, sta lavorando sulla partenogenesi (senza il seme maschile, si stimola artificialmente la cellula uovo a dividersi come se fosse stata fecondata, n.d.r ) che sicuramente non dà luogo a un embrione capace di sopravvivere, ma può essere una fonte di cellule staminali. Si tratta di ricerche, comunque, ancora lontane da risultati tangibili. Possiamo continuare a lavorare sulle staminali adulte, quelle del midollo osseo, ad esempio, o della pelle, con le quali sono stati già raggiunti risultati importanti. O su quelle estratte da feti abortiti spontaneamente».
È contrario anche all’utilizzo degli embrioni che giacciono abbandonati nei centri di fecondazione assistita?
«Devo premettere che sono contrario al congelamento degli embrioni e approvo, quindi, l’impostazione della legge 40. Ne abbiano creati a migliaia in tutto il mondo: è ora di dire basta. La vita umana, lo ripeto, merita rispetto. Esiste la possibilità di congelare gli ovociti: dobbiamo lavorare in questa direzione. Resta il fatto che gli embrioni congelati ormai esistono. Si potrebbe ipotizzare un arco di tempo "soglia" dal congelamento oltre il quale considerarli morti, donabili alla ricerca. Ma quest’ipotesi può essere presa in considerazione solo dopo aver raggiunto un accordo sul fatto che non si producano più embrioni in sovrannumero».
Come voterà al referendum?
«Sono per l’astensione».
La legge le va bene così com’è?
«No. Credo che sia migliorabile in due punti: il primo, come ho appeno detto, è l’impiego degli embrioni "scartati". Il secondo riguarda la fecondazione eterologa, che dovrebbe essere ammessa. Ad una condizione, però: che le banche del seme non siano anonime e il figlio possa, se vuole, conoscere l’identità del padre genetico. Mi rendo conto che si aprono problemi giuridici e psicologici complessi, ma la ritengo l’unica strada corretta».
L’ipotesi dell’astensione non sembra condivisa dalla maggior parte dei ricercatori in Italia. Una voce fuori dal coro, la sua?
«Molti dei miei colleghi voteranno a favore dei referendum perché la passione per la ricerca è più forte di tutto. Per me non è così: la scienza deve porsi dei limiti».