giovedì 3 febbraio 2005

sinistra
un'intervista di Fausto Bertinotti sul Corsera

Corriere della Sera 3.2.05
Il leader del Prc: non voglio distruggerli, ma tra noi ci sono confini mobili
«La Quercia? Metodi da Dc. No a un loro vicepremier»
Bertinotti: c’è la Fed, questo sarà l’ultimo congresso ds
di Massimo Franco


ROMA - Boccia l’accoppiata fra Prodi e un diessino a palazzo Chigi. Prevede che oggi si apra a Roma l’ultimo congresso dei Ds. Annuncia un futuro con due sinistre alleate ma in competizione. E giura che lui, Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione comunista, non ha come obiettivo «delenda Carthago», e cioè la distruzione dei Ds. Ma non gli piace la «tentazione diessina a occupare tutta l’opposizione», con metodi da «vecchia Dc» . Comincia l’ultimo congresso dei Ds?
«Sì. Mi pare la tappa di un cammino magari non lineare, ma che ha come elemento prevalente la spinta verso la costruzione di un soggetto politico forte: una federazione che tendenzialmente si configura come un partito».
Lei ne farà parte, magari nel segno di Romano Prodi?
«Penso proprio di no. È un’ipotesi spiazzata dai processi in atto in tutta Europa. Ormai nascono forze che possiamo definire di sinistra radicale in diversi Paesi. E non più come avveniva nel dopoguerra, e neppure dopo la caduta del Muro di Berlino. Allora c’era l’Internazionale dei partiti socialisti e ciò che resisteva dei partiti comunisti. Oggi in Germania, Portogallo, Gran Bretagna, e qui in Italia, è in atto un’evoluzione di questi partiti. Il vero spartiacque è la nascita dei movimenti».
Non vale anche per il partito di Fassino?
«Direi di no. La linea di tendenza dei diessini è un soggetto federativo dotato di autorità forte, con una delega anche sulla politica internazionale. Ma bisogna ricordare che è sulla politica internazionale che nel movimento operaio sono avvenute scissioni e unificazioni: è un elemento fondativo. Per noi, tutto cominciò con il voto differenziato in Parlamento sulla prima guerra del Golfo, nel 1991: un voto che anticipò la rottura».
Prc nasce dopo il congresso nel quale il Pci cambiò nome, nel 1991. In seguito, i Ds sono stati accusati di avere favorito la scissione subìta dal suo partito. Può rassicurare Fassino che lei non cova vendette?
«Verso i Ds la mia non è una strategia da «delenda Carthago», non voglio distruggere niente. Dico solo che in Europa esistono da tempo due sinistre; e che questa realtà non ha come confine l’appartenenza ai Ds: sarebbe una visione statica e sbagliata».
L’impressione, segretario, è che la Cartagine diessina lei non voglia distruggerla, ma magari svuotarla.
«La storia delle due sinistre comincia al G8 di Genova. Da allora, c’è un ridislocarsi di forze che spostano lo spartiacque, lo rendono mobile. Non voglio distruggere i Ds, anzi. Ma le due sinistre si debbono liberare da uno dei paradigmi del Novecento: quello secondo il quale l’altro è o traditore, o provocatore. Al fondo, ha resistito la logica del "mors tua vita mea". La sinistra italiana non si è ancora emancipata del tutto da quel vizio antico».
Ma quando lei parla di un nuovo contenitore per la sinistra antagonista, pensa anche a pezzi dei ds?
«La risposta è impraticabile. Se rispondo sì, darei l’idea di una pulsione scissionista. Se dico no, sembrerei indifferente».
Provi a essere sincero.
«E allora rispondo: non lo so. Mussi ha detto - cito a memoria e potrei sbagliare - : "Se fosse quel tipo di partito, non ci starei". Dunque, non lo auspico. Auspico lo spostamento a sinistra dei Ds».
Saprà che Liberazione, quotidiano del Prc, paragona i Ds alla vecchia Dc. Dice che inseguono la centralità ed evitano di scegliere le scelte. Non è ingeneroso, come giudizio?
«Intanto, alla luce della Seconda Repubblica, i giudizi sulla vecchia Dc sottolineano che di quell’esperienza non tutto è da buttare, anzi».
Quello di Liberazione non sembrava un complimento.
«Credo sia vera una cosa: che i Ds spesso covano la tentazione di occupare lo spettro più ampio possibile nel campo dell’opposizione. E assumono una configurazione politica nella quale la discriminante programmatica è così sfumata da consentire diverse politiche. Hanno puntato a rivitalizzare il partito: operazione riuscita. Ma hanno ridefinito il campo riformista invece del profilo del riformismo. I diessini sono forti, grandi, ma è difficile dire quale sia il loro progetto di società. Questo fa emergere propensioni di una formazione liberale di sinistra, non di un partito riformatore».
Questo magari è un complimento.
«Magari per qualcuno di loro lo è. Ma la mia impressione è che i Ds seguano una scia da Anni 80 e 90 del secolo scorso, e non si confrontino con i problemi nuovi posti dal Terzo millennio».
Secondo certi suoi oppositori di Prc, anche lei è un po’ democristiano.
«Touché . In alcune cose, come sull’esigenza di ricostituire l’Iri, posso dire di essere un po’ democristiano: in quanto antiliberista, sì, lo sono. Ma in questo schema, invece, a mancare sono i Ds. Non ci stanno perché hanno subìto l’idea che per liberarsi dal bagaglio comunista bisogna approdare a ciò che il comunismo ha avversato, e cioè il mercato. Attenti, però: o col mercato fai i conti criticamente, o non esisti».
Non crede che anche sull’Iraq la vostra unità apparente sia un po’ una soluzione alla democristiana, con l’Onu come alibi?
«Non direi. Certo, riconosco che quella posizione non ha tutti i crismi della nitidezza. Ma ha il merito di essere una proposta aperta. Indica un’esigenza primaria: mettere fine alla guerra e far ritirare truppe».
Non è una risposta un po’ parziale?
«Forse. Ma dinamica, non si ferma al presente».
È evasiva. Glissa sulla data del ritiro delle truppe, e tace le divergenze sulle elezioni irachene.
«La data del ritiro non si cancella: ma nella gerarchia delle priorità si mette al primo posto l’essere tutti contro la guerra. E poi - so che non piace ricordarlo -, l’opposizione ha già votato il ritiro delle nostre truppe. Quanto alle elezioni irachene, la discussione è aperta. Solo nella sinistra alternativa ci sono tre opinioni diverse. È un campo di ricerca. Guardo con rispetto a chi ha preso la scheda malgrado la guerra».
Il governo Allawi è legittimato dal voto?
«Legittimato dal voto no. Non lo dico solo io: è opinione diffusa che ciò che è emerso dal voto non sia democrazia. Oltre alla guerra, pesa l’astensione dei sunniti».
Presenterete la mozione per il ritiro immediato o no?
«Già l’altra volta è stata presentata la mozione con il ritiro, che non era definito immediato. Si tratta di riproporre quella mozione».
Inutile chiederle se si candiderà alle primarie. Ma lei si sentirebbe più garantito se un diessino affiancasse Prodi come vicepremier?
«Non credo che un diessino sposterebbe molto. In sé, il cosiddetto ticket non è una garanzia. Non mi convincerebbe nemmeno Bertinotti. E poi, o i Ds scelgono di essere un elemento dialettico rispetto alla componente moderata, oppure scelgono di essere interni alla Federazione: ma in questo secondo caso non capirei la figura di un loro candidato vicepremier».

APCOM 3.2.05 - 14:35
"Sicuro di portare tutto il partito su questa posizione"


Roma, 3 feb. (Apcom) - "Il passaggio del Governo per Rifondazione è obbligatorio in un paese governato da Berlusconi". Lo sottolinea il segretario del Prc Fausto Bertinotti in un'intervista all'Espresso, in edicola domani. In vista del sesto congresso nazionale a marzo, il segretario del Prc si dice "certo di portare tutto il partito su questa posizione perché non cambia la nostra priorità: il cambiamento della società".
Con i Ds "siamo alleati impegnativi - dice Bertinotti -. Le discriminanti programmatiche sono la nostra stella polare. Non siamo il residuo di un'altra storia per cui stare al governo o la presa del palazzo di inverno era un valore in sé. Andare al governo non sostituisce il nostro obiettivo: il cambiamento della società".
Bertinotti non si esprime alla domanda se questo sarà il suo ultimo congresso da leader. "Ho il dovere morale di non fare annunci prima del congresso. Ma non è vero che nella direzione politica l'età sia irrilevante. Ci sono leggi fisiche alle quali non voglio sottrarmi. Anzi, intendo assecondarle". Del resto, continua il segretario di Rifondazione, "a Palermo, a Napoli, a Firenze, in Puglia i segretari di federazione hanno meno di trent'anni. Sta facendo esperienza di direzione la generazione che si è formata attorno a Genova. La prima generazione interamente di Rifondazione Comunista: non di ex del Pci. Una generazione che deve rapidamente prendere il testimone".
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