lunedì 21 marzo 2005

Fausto Bertinotti
un'intervista sul Corriere e una sulla Stampa

Corriere della Sera 21.3.05
Bertinotti: Maastricht era una prigione, Prodi guardi avanti
Il leader del Prc: sarebbe stato suicida pensare di convivere ancora con politiche rigoriste in tempi di recessione
Monica Guerzoni

ROMA - Fausto Bertinotti giura di non aver gioito per le bacchettate di Eurostat, che non è «un tribunale indiscutibile». Si dice europeista ma sogna un’altra Europa, che butti a mare la «prigione» di Maastricht e il trattato costituzionale. E se gli dite che contro il Patto di Stabilità è sulla linea di Berlusconi (nelle premesse, almeno) vi risponderà di sentirsi in buona compagnia con Schröder, Chirac e Zapatero. Quanto a Prodi, la smetta di guardare agli anni della sua Commissione. Vuole ancora buttare a mare Maastricht?
«Sì e siamo in buona compagnia. Prodi definì "stupido" il trattato e ora anche i governi dicono che è una prigione».
La Cdl sospetta che dietro l’affondo di Eurostat ci sia la manina di Prodi .
«Questo non sta né in cielo né in terra».
Berlusconi ha parlato di burocrati, di ominidi...
«Non mi convince l’invettiva contro l’intervento dell’Europa quando è contrario alle proprie politiche. La critica al governo può anche appoggiarsi alle indicazioni di Eurostat, ma non lo consideri un tribunale indiscutibile».
Ha ragione chi definisce «ossessiva» la stabilità che l’Europa ci chiede?
«Maastricht è claudicante dall’inizio e noi l’abbiamo detto da sempre. Avrebbe dovuto definire parità di bilancio e, simmetricamente, occupazione e lotta alla povertà. Ma poi quella parte del trattato a cui Jacques Delors teneva molto fu depennata. La politica che ha ispirato il Patto è fallita».
Le piace il supereuro?
«È evidente che una politica di euro forte e dollaro debole indebolisce la competizione delle merci. L’Europa potrebbe fare invece politiche di sviluppo in grado di compensare e persino sormontare questo differenziale determinato dalla moneta. Una politica di accrescimento di salari e pensioni».
A Bruxelles in 60 mila hanno detto no alla direttiva che liberalizza i servizi. Cresce una critica da sinistra?
«Sta crescendo nella società una critica che, per la prima volta da sinistra, propone non una resistenza nazionalista ma un’altra Europa. La Sinistra europea dà voce a questa grande novità che incontra anche posizioni di governi nazionali. Chirac ha definito la direttiva Bolkestein inaccettabile».
E in Francia i no al trattato sono più dei sì.
«Non sarò così propagandista da dire che le diverse forme di opposizione sono tutte dello stesso segno, ma in Francia la maggioranza delle forze che si battono per il no alla Costituzione lo fa in nome di una critica da sinistra. Una parte importante del Partito socialista francese, il Pcf, la sinistra antagonista... Non è euroscetticismo, è una critica a un trattato senza democrazia, che non fa della pace un elemento costitutivo e che subordina i diritti dei lavoratori alla competitività».
Auspica la bocciatu ra?
«Sì, certo. Se in un grande Paese il trattato sarà sconfitto si aprirà, sia pure in maniera traumatica, la strada a una costituzione costruita dai popoli».
Lei sarà l’unico a sinistra a votare contro.
«In Italia sì. Mentre il trattato in un giudizio referendario si-no divide, la prosecuzione della battaglia per riformarlo unisce, perché lo schieramento dei critici è molto ampio».
Con Berlusconi che dà addosso alla vecchia Europa, Prodi avrà bisogno dell’intero centrosinistra per difendersi...
«Se prende le distanze Delors, che fondò Maastricht, non vedo perché non possa farlo Prodi. Restare inchiodati al passato è cosa intimamente contraddittoria con una cultura riformatrice».
Consiglia a Prodi di guardare avanti?
«Sì, assolutamente. L’esistente è Berlusconi, l’esistente è questa precarietà nel lavoro, questo disarmo del pubblico nell’economia, è la crisi delle grandi industrie nazionali. Questo è l’esistente e questo è Berlusconi, la cui chiusura conservatrice antieuropea esprime una crisi di prospettiva».
Questa Europa somiglia più a Berlusconi o a Prodi?
«Questa Europa è parte di questo esistente, naturalmente senza l’estremismo delle destre».
Berlusconi ha combattuto il Patto proprio come lei.
«Solo un suicida può pensare che in tempo di recessione debbano vivere politiche rigoriste. A partire dal fatto che uno non è suicida c’è poi una destra e una sinistra e su questo sono d’accordo, in forme diverse, Chirac, Schröder, Zapatero e Berlusconi. Tutti, perché non vogliono morire. Poi gli uni pensano di tagliare le tasse, gli altri di ridistribuire il reddito».
Se l’Unione andrà al governo potrebbe convenire anche a Prodi avere parametri più elastici .
«Avere parametri più elastici è la riduzione del danno. Quel che converrebbe a Prodi è un nuovo trattato sociale che dia obiettivi condivisi a tutti i Paesi».
Per governare col Prc, Prodi dovrà rivedere il suo europeismo?
«Nessuno gli chiede una conversione, dovrà mettersi nella condizione di poter dialogare con questo nuovo europeismo che cresce da sinistra. Un politico riformatore dovrebbe vedere in questo una grande occasione».

La Stampa 21 Marzo 2005
IL CAPO DI RIFONDAZIONE: NON MI CONVINCE IL RAGIONAMENTO DEL SEGRETARIO DELLA QUERCIA
Bertinotti: un grave errore avallare la politica degli Usa
«La democrazia non può essere portata con i carri armati
Così si finisce per appoggiare la tesi della guerra preventiva»

ROMA. La campagna elettorale ha le sue regole. E Fausto Bertinotti, che ovviamente le conosce, gira da giorni e giorni come una trottola. Il tempo, a volte, non è neanche sufficiente a leggere con attenzione i giornali. E tuttavia al segretario di Rifondazione comunista e leader della sinistra radicale non è sfuggita l’intervista sugli Stati Uniti, la guerra e la democrazia che Piero Fassino ha rilasciato a La Stampa. Non gli è sfuggita e non gli è andata giù. E così, tra una intemerata contro il Mose a Venezia e una stoccata contro Massimo Cacciari, non nega al cronista che lo intercetta prima di un comizio in Emilia Romagna qualche riflessione.
«Non sono assolutamente d’accordo con quanto sostiene Fassino. Non mi convince affatto il fondamento teorico del suo giudizio sul rapporto tra la politica di Bush e i processi di democratizzazione in Medio Oriente e altrove. Come non mi convincono le conseguenze del suo ragionamento, perchè temo che attribuendo una virtù “democratizzatrice” a una strategia fondata sui conflitti armati si finisca per configurare un appoggio alla tesi dell’utilità della guerra preventiva. Che invece è un’idea sciagurata, un’idea che si colloca al cuore di una teoria imperiale, quella dell’amministrazione Bush, di una visione che prevede un mondo unipolare e che, al limite, può condurre anche a un devastante scontro di civiltà».
Naturalmente, il segretario dei Ds non avalla la guerra preventiva. Anzi, parla esplicitamente di una «politica preventiva» da contrapporre all’uso delle armi. Però, obietta Bertinotti, offrire una legittimazione alla politica di Bush in Medio Oriente «è un grave errore». Perchè significa aprire un varco all’idea che i conflitti possano, in sè e per sè, fungere da levatrici di regimi democratici. «Il che non è. Non credo che che la democrazia possa essere un effetto collaterale della guerra. Perchè non credo che si possa sfuggire alla lezione del ‘900 sulla coerenza che deve esistere tra mezzi e fini. In altre parole, è difficile pensare che la democrazia portata con i carri armati o, come si diceva una volta, sulla punta delle baionette possa attecchire in maniera davvero feconda. Al contrario, se devo identificare un motore della diffusione di democrazia, lo vedo nel movimento per la pace. Non direttamente, senza alcun automatismo, ma nel senso che il movimento pacifista favorisce il diffondersi di rapporti di fiducia tra popoli e civiltà diverse e della rivendicazione dei propri diritti e dell’autogoverno». Non solo. Legittimare la politica dell’amministrazione americana e dei suoi ideologi neocon, secondo il segretario di Rifondazione comunista, è un grave errore anche perchè le si attribuisce una «nobiltà di intenti» che non trova riscontro nella realtà dei fatti: «Mi sembra che Fassino sbagli anche sulle motivazioni che hanno portato alla guerra in Iraq. Perchè quel conflitto non è stato intrapreso dall’amministrazione Bush per portare la democrazia in Medio Oriente, quanto piuttosto per eliminare armi di distruzione di massa che peraltro non sono state poi trovate. Fassino attribuisce perciò all’amministrazione americana una nobiltà di intenti che è invece una giustificazione del conflitto costruita ex post. Fra l’altro, che non sia centrale nel progetto di Bush un autentico processo di democratizzazione del Medio oriente come di altre aree del terzo mondo, è dimostrato dal fatto che quella amministrazione intrattiene rapporti, a volte molto stretti, con regimi autoritari grandi e piccoli. Trovo questa incoerenza rivelatrice».
Bertinotti non vuole parlare di “strappo” da parte di Fassino, nè ha alcun motivo per esasperare quella che è una profonda differenza di posizioni. Tantopiù durante una difficile campagna elettorale. Si limita, con la consueta pacatezza di ragionamento, ad osservare che non è proprio d’accordo. «Come non mi convince l’altra affermazione del segretario dei Ds secondo la quale l’Europa dovrebbe liberarsi dal relativismo culturale per poter prestare più attenzione ai diritti umani e alle libertà. Il vero vizio dell’Occidente, quello che ha favorito l’oppressione, non è stato il relativismo culturale. E’ stato il colonialismo».