lunedì 21 marzo 2005

il referendum sulla fecondazione e la ricerca sulle staminali

L'Unità 21 Marzo 2005
Singolare posizione del quotidiano cattolico: la ricerca sulle staminali è inutile e illusoria mentre il referendum è «inappropriato» perché la materia è troppo complessa per i cittadini
Le Tesi infondate dell’Avvenire
Pietro Greco

Sono almeno tre le tesi infondate che ci ha proposto, due giorni fa, l’Avvenire nel presentare in prima pagina, come notizia d’apertura, un’intervista al professor Bruno Dallapiccola sulle ultime novità offerte dalla ricerca scientifica sulle cellule staminali.
La prima tesi, dell’Avvenire, è che i giornali italiani, con fare omertoso, tacciono sulle ottime prospettive di cura di molte malattie degenerative offerte dalle ricerche sulle cellule staminali somatiche (adulte) che non comportano la distruzione di embrioni. Mentre concentrano la loro attenzione in modo esclusivo sulle cellule staminali embrionali, il cui utilizzo comporta la distruzione di embrioni.
La seconda tesi, sempre dell’Avvenire, è che i fautori (scienziati, politici, mass media) della ricerca sulle cellule staminali embrionali tendono a presentare questi studi come taumaturgici e, quindi, illudono i cittadini ignari.
La terza tesi, espressa dal professor Bruno Dallapiccola, è squisitamente politica e riguarda direttamente il referendum sulla legge che regolamenta la procreazione assistita. Il professor Dallapiccola, genetista di grande vaglia, sostiene che i cittadini italiani sono disinformati su temi come le staminali, l’eterologa, la diagnosi preimpianto. Che «non si può chiedere al cittadino di esprimere un voto competente su temi di questa complessità». Che il referendum sulla legge 40 «è uno strumento inappropriato, nella rudimentalità dei suoi quesiti, per ridisegnare una legge delicata come quella sulla procreazione assistita». E che pertanto è meglio non andare a votare.
La prima tesi è infondata. Non perché sia falso l’assunto (ha ragione l’Avvenire: i media parlano più delle staminali embrionali che delle staminali adulte). Ma perché il quotidiano della Conferenza episcopale italiana (Cei) nel proporre la sua tesi, sembra accreditare l’idea della sostanziale equivalenza scientifica tra ricerca sulle staminali adulte e ricerca sulle staminali embrionali. L’idea della sostanziale equivalenza, a sua volta, porta a una scelta scontata: poiché la prima funziona senza distruggere embrioni, mentre la seconda distrugge embrioni e non sappiamo neppure se funziona, è la prima - quella sulle cellule staminali somatiche (adulte) - l’unica pista di ricerca razionalmente oltre che eticamente possibile. Mentre, al contrario, la ricerca sulle staminali embrionali sarebbe razionalmente, oltre che eticamente, immotivata.
Ebbene è questa idea della sostanziale equivalenza scientifica tra ricerca sulle staminali adulte e ricerca sulle staminali embrionali che non è fondata. Le due piste di ricerca, come ha ribadito ieri su l’Unità Carlo Alberto Redi, non sono affatto completamente sovrapponibili. Il loro rapporto è molto più complesso. Da un lato abbiamo una pista di ricerca - quella sulle staminali adulte - che si fonda su una solida tradizione (di quasi quarant’anni), e che offre prospettive relativamente concrete. Dall’altra abbiamo una pista di ricerca - quella sulla staminali embrionali - che è stata aperta solo di recente (un lustro o giù di lì) e che non offre ancora prospettive concrete. Le prospettive (relativamente concrete) dell’una, però, non sono le medesime prospettive (ancora lontane dall’essere concrete) dell’altra.
Entrambe, inoltre, hanno dei limiti tecnici. Ma, ancora una volta, i limiti tecnici relativi all’utilizzo sull'uomo di terapie fondate sulle staminali adulte non sono i medesimi relativi all’uso delle staminali embrionali.
Da un punto di vista strettamente scientifico conviene battere, con pari determinazione, entrambe le piste. Perché è lecito attendersi non solo che entrambe daranno buoni risultati. Ma anche che i buoni risultati che darà l’una saranno, almeno in parte, diversi dai buoni risultati che darà l’altra.
Certo, c’è un’ulteriore differenza tra la ricerca con le staminali somatiche e quella con le embrionali. La prima non solleva problemi etici, la seconda sì. E questo è già un primo motivo che spiega perché i media parlino più della seconda che della prima pista.
Ma di causa ce n’è un’altra, ancora più vistosa. Non c’è nessuno - né in Italia, né all’estero - che ostacoli in maniera preventiva la ricerca sulle cellule staminali adulte. Mentre c’è chi - in Italia e all’estero - in virtù di una visione etica legittima ma non universale, chiede e (in Italia) ottiene di bloccare per legge la ricerca sulle cellule staminali embrionali. In altri termini chiede e (in Italia) ottiene, di imporre per legge la sua visione etica, legittima ma non universale. E questo è un fatto eclatante. Che fa, per fortuna, discutere. Che fa, per fortuna, notizia.
La seconda tesi forte proposta dall’Avvenire riguarda il problema, non banale, delle illusioni. I fautori della ricerca sulle cellule embrionali, sostiene il quotidiano della Cei, illudono la gente, facendo credere che battendo questa pista - e solo battendo questa pista - sarà possibile curare malattie gravissime, come l’Alzheimer o il Parkinson. Ora, chi propaganda le virtù taumaturgiche delle cellule staminali embrionali si macchia effettivamente del peccato, gravissimo, di illudere la gente. Non sappiamo se, quando e in che misura queste ricerche otterranno dei risultati che i medici potranno utilizzare per curare gravi malattie. Quindi nessuno può legittimamente vantare le proprietà taumaturgiche delle staminali embrionali. Ma la domanda (all’Avvenire) è: chi, tra gli uomini di scienza (ma anche tra i politici), ha mai vantato queste capacità taumaturgiche? Nessuno. La verità è che tutti gli scienziati e la gran parte dei politici che chiedono di poter studiare le staminali embrionali dicono che non vogliono spegnere una fiammella, magari tenue, di speranza. Non che vogliono accendere il faro delle certezze. Al contrario, chi nega per legge la possibilità di studiare le staminali embrionali impone ad altri di spegnerla in via preventiva quella fiammella, magari tenue, di speranza.
Veniamo, in ultimo, alla questione - quella del voto consapevole - sollevata in maniera esplicita dal professor Bruno Dallapiccola, secondo cui la materia fecondazione assistita è troppo complessa per poter essere risolta con un referendum. Ora, non c’è dubbio che i cittadini italiani siano poco informati su cellule staminali, fecondazione eterologa, analisi preimpianto. Ma come ci si deve porre di fronte al problema del voto consapevole in una società sempre più informata dalla scienza e dalla tecnologia: restringendo o ampliando gli spazi di democrazia? Cedendo alla seduzione elitaria e chiedendo che ad assumere decisioni in materie complesse come la biomedicina (ma anche l’ecologia, il clima, l’energia e l’intera materia tecnoscientifica) siano gruppi ristretti di esperti o non piuttosto chiedendo che aumenti il grado di consapevolezza critica di tutti i cittadini?
Questa domanda, in un regime democratico, ammette una e una sola risposta. Tutti hanno il diritto - costituzionale e inalienabile - di partecipare alle scelte. Sia perché nella nostra società l’intera materia tecnoscientifica è ormai una parte notevole e persino decisiva della vita sociale e individuale di tutti. E nessuno può - deve - rinunciare a prendere decisioni in merito a una parte così grande della sua vita individuale e sociale. Sia perché la complessità intrinseca della materia (ove si intrecciano e si interpenetrano le fila della scienza, dell’etica, della religione, della politica e, come ricorda lo stesso Dallapiccola, dell’economia) esclude la possibilità di discernere in maniera netta e trasparente chi è esperto e chi no. Chi è in grado di compiere scelte consapevoli e chi no. D’altra parte il professor Bruno Dallapiccola è un esperto di grande valore quando parla di biologia. Ma è un cittadino come gli altri quando si pronuncia sulla legittimità democratica di un referendum.
Cosicché l’unica strada - forse stretta, ma senza alternative - è quella della partecipazione di massa. Che, nel caso specifico, significa partecipare, col voto, al referendum. E chiedere al sistema dei media - in particolare al sistema pubblico radiotelevisivo - di rompere davvero l’omertà, quella intorno ai temi referendari, e di aumentare la quantità e la qualità dell’informazione (scientifica, culturale, sociale) in modo da rendere più consapevole il nostro irrinunciabile voto.