lunedì 21 marzo 2005

Liberazione: «dare un nome alle cose»

una segnalazione di Sandro Belloni

supplemento libri di Liberazione di domenica 13/3/05

La parola patria? È realista: di destra
di ALDO NOVE

Il dibattito filosofico europeo, alla fine del medioevo, verteva su una questione oggi per noi di difficile recezione, eppure ancora valida, nella sua impostazione, per comprendere temi di stretta attualltà. E' la disputa tra "realisti” e "nominalisti" che animò e portò alla ribalta della storia del pensiero intellettuali dei calibro di Ockham e Bacone. La lettura, durata secoli, dei "testi sacri" di Aristotele, anche attraverso la loro determinazione in chiave teologIca operatala dai padri della Chiesa, aveva spinto a considerare delle realtà fondamentali per la conoscenza della struttura del mondo che oggi sussistono in altra maniera, occultate da altri fini. Si tratta degli "universali".
Prima di Ockham, I filosofi "reallsti" sostenevano che alle parole corrispondono delle entità reali, gli "universali", appunto, di cui le cose sensibili sono una sorta di pallido riflesso. E' la concezione ultramondana della vita, quella che aveva caratterizzato i secoli precedenti. I nominalisti, invece, sostenevano semplicemente che gli "universali" non esistono. Esistono le cose e non gli altissimi concetti spirituali che le cose e le parole che li manifestano esibiscono in tono minore. Sembrano questioni lontane e bizzarre, come quelle sulla transustanziazione o sulla natura una doppia o trina del Cristo che oggi sentiamo (e sono) lontane ma che hanno invece una sconcertante attualità.
Oggi, aggiornando i termini della questione, potremmo tranquillamente dire che i realisti erano (sono) di destra, i nominalisti di sinistra. I realisti fondano il linguaggio sul mito («Mito vuoi dite parola - sosteneva Roland Barthes - ed ogni parola è espressione di potere. Il mito è una parola ''gonfiata" di significato»). I nominalisti fondano il linguaggio sulla necessità di dare un nome alle cose. Insomma due concezioni del linguaggio, e del mondo che esprimono, opposte.
Ma veniamo al presente. Chi si appella a parole "mitiche" come "patria" è realista in senso medioevale. Cosa significa "patria" se non "territorio di provenienza" gonfiato però di valori aggiunti di tipo teologico, di un teologismo residuale che si è trasformato in oculato marketing politico? Se nel medioevo si vendevano indulgenze e ossa dei santì come feticci di un altrove evocato da cose e nomi, ma comunque altrove, oggi si vendono (svendendo il linguaggio in toto) parole che evocano grandi e gonfiate realtà che, nel 1300, un filosofo come Ockham avrebbe vanificato.