sabato 9 aprile 2005

Carlo Michelstaedter

La Stampa TuttoLibri 9 Aprile 2005
Michelstaedter:
dentro il male
di vivere c’è la via alla salute

Marco Vozza
«Sfugge la vita», taccuini e appunti del filosofo goriziano autore di «La persuasione e la rettorica», fra i capolavori della filosofia primonovecentesca: la leggerezza, la grazia, (o fatuità o artificio effimero), contrapposte
alla indefinita protensione al tempo futuro.
HO trascorso la Pasqua leggendo il libro di Carlo Michelstaedter Sfugge la vita, confidando nella resurrezione di un barlume almeno di vita persuasa, quella inappropriabile e forse inconfigurabile in nome della quale il filosofo goriziano ha sacrificato a 23 anni la sua esistenza, sottraendosi alla corrente che ci spinge tutti a desiderare qualcosa per affermare ostinatamente la nostra volontà di vivere.
Non paia iperbolico o blasfemo questo afflato di religiosità laica: quando un frammento di persuasione riesce a incunearsi nella struttura compatta della rettorica (governata da quel sapere astratto in cui Dio potrebbe morire di noia), è come se il trascendente (l'istanza etica o l'Altro da sé) si aprisse un varco nel cuore dell'immanenza, portandone alla luce il senso nascosto o negato. Questo bagliore è l'istante kairologico, l'illuminazione profana, forse l'eccellenza del destino, che non sappiamo o non possiamo cristallizzare in una condizione permanente.
Come già sapevano i tragici greci e poi Nietzsche, soltanto l'esperienza del dolore dischiude la possibilità di tale catarsi, poiché la «sorda voce dell'oscuro dolore» è parola eloquente nel modo dell'imperativo e segna il limite della supponenza umana. Soltanto la sofferta permanenza entro il male di vivere apre la via della salute, della gioia e della pace, promuove il «coraggio dell'impossibile», per usare un'espressione cara ad Angela Michelis, simpatetica quanto competente curatrice di questo prezioso volume.
L'individuo che ha fatto esperienza del dolore tesaurizzando la grande ragione che si annida nel corpo, respingendo il richiamo di ogni forma di datità esistenziale e di adattamento sociale (quello che genera la «comunella dei malvagi»), può finalmente assaporare la gioia di un presente più pieno: «solo, nel deserto egli vive una vertiginosa vastità e profondità di vita; ogni suo attimo è un secolo della vita degli altri, finché egli faccia di se stesso fiamma e giunga a consistere nell'ultimo presente». Auto da fè, persuasione luminosa, degna di un mistico della modernità.
La persuasione e la rettorica nasce come tesi di laurea, giudicata dallo stesso autore inopportuna e sconveniente, poi diventata uno dei capolavori della filosofia primonovecentesca, apprezzato anche per le rilevanti novità stilistiche. In questi taccuini d'appunti (trascritti e corredati di note da Rinaldo Allais) scopriamo uno stupefacente zibaldone di pensieri, alcuni analiticamente argomentati, altri espressi in forma rapsodica o aforistica, come schegge che scalfiscono la corazza delle nostre abitudini mentali; essi sono l'emblema di un pensiero non accademico, talvolta poetante (memore di Antistene e Schopenhauer, Empedocle e Leopardi): «vana cosa è la filosofia se esce dalla vita», compiaciuta erudizione.
Quella che Michelstaedter chiama «vita persuasa» attesta la sovranità di chi ha piegato l'apparente necessità della consecutio temporum, la consueta schiavitù del presente in rapporto al futuro. Michelstaedter identifica in Aristotele, nella sua enciclopedia di schemi astratti, l'origine della degenerazione cui è incorso il sapere filosofico dopo l'inizio presocratico e il pensiero del giovane Platone, il quale credeva ancora che «ogni uomo debba ritrovare in sé quest'anima nuda che soffre per le sovrapposizioni delle passioni e dell'amore di ciò che è contingente». Nel dominio della rettorica, la vita è simile a un peso che pende da un gancio e soffre di non poter scendere ulteriormente, di non poter saziare la sua fame di gravità; in esso perdura l'anelito a una condizione futura che ripropone incessantemente la mancanza da cui è generata: «la sua vita è questa mancanza della sua vita».
La leggerezza sembra l'unica metafora adeguata a rappresentare la modalità di esistenza della vita persuasa: leggerezza, grazia, non fatuità o artificio effimero. La rettorica è invece la soggezione alla contingenza del voler essere, la pesantezza del vivere in funzione del continuare a vivere, della indefinita protensione al tempo futuro, del non poter consistere nella pienezza del tempo presente. L'uomo vive per lo più nel mondo della discordia, nell'indigenza del valore e nell'inquietudine del desiderio, in una vana aspettativa di realizzazione di sé, di un piacere a venire, nella sterile proiezione di un io illusorio verso il «prossimo istante».
Per l'uomo persuaso la vita appare come un dono generosamente elargito da un dio pudìco, un beneficio che invoca ulteriore oblazione e non petulante richiesta di essere amato, secondo la mirabile indicazione della prediletta Nadia: «T'avrei amato se tu fossi stato tale da amare senza chieder d'essere amato». L'esperienza d'amore appare così come l'experimentum crucis della vita persuasa: «bisogna amare finché si vive», senza mai desiderare l'appropriazione dell'altro, trasformando la necessità del bisogno nella gratuità del dono. L'etica insita nel gesto oblativo, liberato dall'economia ristretta della reciprocità, potrebbe così formularsi: «tutto dare e niente chiedere: questo è il dovere»; in questa attività etica è infine riposta anche un'istanza di libertà e una speranza di giustizia, a cui la vita persuasa tende asintoticamente, per effetto della traboccante esuberanza della sua iperbolica consistenza.
IL DOLORE
ULTIMO ANELLO
«Sono orribilmente stanco, la mente è rotta per questo vano sforzo di suggestione. Tutto inutile, le impressioni non fan presa nell’animo, mi svaniscono appena avvicinatesi. Il loro svanire mi dà un tormento infinito. Tutto passa davanti al mio cervello vertiginosamente. O il mio cervello passa?
Mi sembra d’esser un altro ad ogni istante, ho perduto il sentimento della continuità del mio «io». Solo il dolore tenace profondo mi congiunge al passato. È il dolore l’ultimo anello che mi lega alla vita. Io credo che impazzirò.
E tutto questo popolo che mi passa davanti ridente e festoso mi sembra schernirmi. Io lo odio, odio il sole, l’aria, il mare vasto, infinito solenne, odio la natura e l’arte che non hanno più la forza di rialzarmi.
Ma all’improvviso nel suggestivo misticismo della p.\ s.\ m.\ s’innalza\ i concenti poderosi di Wagner e l’anima mia errante sosta e s’allarga in una calma sublime; vado presso il mare oscuro e il palpito dell’onde trova un riscontro nell’animo mio rinovellato. Un grido di gioia parte da ogni mia FIBRA».
Carlo Michelstaedter

Carlo Michelstaedter Sfugge la vita Taccuini e appunti Aragno, pp.294, €14