Corriere della Sera 8 aprile 2005
Sparò sulla folla, condannati i suoi medici
Condanna in primo grado per lo psichiatra e il medico che diedero l'ok al rilascio del porto d'armi. L'uomo uccise 2 persone e ne ferì 3
Andrea Calderini (Torres)
MILANO - Avevano autorizzato il rilascio del porto d'armi ad Andrea Calderini, il trentatreenne che nel maggio 2003 aveva ucciso la giovane moglie, una vicina di casa e poi sparato sulla folla dal balcone della sua casa milanese ferendo in maniera grave altre tre persone prima di rivolgere la pistola contro se stesso e togliersi la vita. Erano imputati di concorso in omicidio e lesioni colpose e ieri sono stati condannati in primo grado dal tribunale di Milano.
Lo psichiatra Massimiliano Dieci, che doveva rispondere anche di falso ideologico per avere dichiarato nei certificati che Caldarini non soffriva di turbe psichiche (cosa poi rivelatasi falsa), è stato condannato a due anni; di un anno e dieci mesi, invece, la condanna per il medico militare Fortunato Calabrò. A entrambi il giudice ha concesso la sospensione condizionale della pena, ma solo a patto che risarciscano le parti lese entro un anno. L'indennizzo è stato fissato nella cifra totale di 750 mila euro.
Calderini era affetto da sindrome ossessiva compulsiva, ma ciò nonostante aveva l'autorizzazione a circolare armato. Nel pomeriggio del 5 maggio 2003, in preda ad un raptus, uccise la giovane moglie, la ventiduenne Helietta Scalori. Poi scese al piano di sotto e uccise una vicina di casa. Infine risalì nel suo appartamento e dal balcone si mise a fare il tiro a segno, sparando contro i passanti: tre furono colpiti e feriti gravemente. Una delle persone raggiunte dai proiettili, Daniela Zani Boni, che oggi ha 44 anni, è rimasta paralizzata e i giudici le hanno riconosciuto una provvisionale di 200 mila euro.
Al termine della carneficina Calderini aveva compiuto il gesto estremo, appoggiandosi la canna della pistola alla tempia e premendo il grilletto. Ma solo in tarda serata si scoprì che il giovane si era ucciso: per tutto il pomeriggio la zona era stata circondata dai reparti speciali di polizia e carabinieri, che temevano che l'uomo fosse asserragliato nell'abitazione e pronto a fare nuovamente fuoco. Quando gli uomini del Nocs decisero di fare irruzione, lo trovarono riverso sul pavimento in una pozza di sangue.
Il pm Marco Ghezzi che si è occupato del caso aveva subito deciso di aprire un inchiesta nei confronti dei due medici che gli avevano rilasciato i certificati necessari per ottenere il porto d'armi. Le indagini dimostrarono che Calderini era affetto da anni da problemi psichici e non avrebbe pertanto mai dovuto ottenere il permesso di circolare armato, tantopiù che sulla sua fedina penale gravava una condanna in via definitiva per furto. Una sentenza, questa, registrata in ritardo nel casellario giudiziario, tanto che al momento del rilascio del porto d'armi il giovane risultava incensurato. Gli stessi poliziotti del commissariato Fiera erano stati indagati per quell'autorizzazione poi risultata incauta, ma per loro è stata chiesta l'archiviazione.
Al termine della sua requisitoria, il pm Ghezzi aveva definito Calderini «persona disturbata che faceva uso di sostanze stupefacenti, soffriva di paura dellabbandono e di altri problemi di natura psicologica». Dopo avere elencato alcune testimonianze sulla sostanziale irregolarità della prassi seguita dai due medici per il rilascio dei certificati, l'accusa aveva sottolineato la pericolosità di un atteggiamento che aveva portato ad armare una persona alterata. «Se in questa vicenda tutti avessero fatto nel loro piccolo il proprio lavoro - ha sottolineato Ghezzi - non ci sarebbero stati tre morti e tre feriti». Una spiegazione che evidentemente ha convinto anche igiudici.
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