sabato 9 aprile 2005

Veronica Lario, in Berlusconi

L'Unità 9.4.05
La Scelta di Veronica
Lidia Ravera

Se Silvio Berlusconi voleva, da quel furbo comunicatore che è, guadagnare qualche punto in un momento di disfatta, usando il biondo candore di sua moglie, il suo delizioso buon senso, ha fatto “bingo”. Veronica Lario, trascinata dal marito nel maschio agone della baruffa politica, “non fatemi litigare con mia moglie sulla data del referendum che lei è dalla vostra parte”, ha rilasciato alla sua graziosa biografa Maria Latella, un'intervista da premio. Con sapienza ha intrecciato modestia, coraggio, intelligenza e umanità.
Il tutto senza nuocere al consorte cui la lega, evidentemente, un solido patto di non belligeranza (”La sua parabola conclusa? Forse, se fosse un politico tradizionale, ma non lo è”). Modestia: “Sul tema delle biotecnologie e della procreazione assistita dibattono da tempo personaggi ben più illuminati di me”. Coraggio: “Ho avuto un aborto terapeutico, molti anni fa. Al quinto mese di gravidanza ho saputo che il bambino che aspettavo era malformato e per i due mesi successivi ho cercato di capire che cosa potevo fare, che cosa fosse giusto fare”. Alla fine ha deciso di non farlo nascere quel bambino, dopo averlo avuto dentro di lei da sette mesi. Ha fatto bene, ma ci vuol un bel coraggio ad ammetterlo mentre ferve il dibattito sui diritti dell'embrione, sull'anima del feto e magari anche sulla psicologia dell'ovocito. Intelligenza: “Se da noi, in Italia, certe tecniche fossero proibite, si andrebbe all'estero e mi spaventa l'idea che altri Paesi, meno scrupolosi, potrebbero consentire qualsiasi cosa”. Inappuntabile: perché non immaginare che nascano, come sono nati quelli fiscali, un paio di paradisi eugenetici, dove una latitanza di regole consenta di soddisfare, lì sì, capricci consumisti da catalogo dell'onnipotenza, come i bimbi biondi su ordinazione o le maternità ottuagenarie? C'è sempre un accesso al “regno delle libertà” per i ceti privilegiati. È per quello che si legifera con tanta leggerezza? Perché sottoposti a restrizione sono sempre i senza-potere? Umanità: “Ancora oggi è doloroso condividere pubblicamente quell'esperienza, ma in un momento in cui tanti di noi si sentono immaturi, impreparati, rispetto alla conoscenza della legge 40… ecco, sapere come andavano le cose venti o trenta anni fa, quando la scienza non era così avanti come oggi, potrebbe essere utile”. Lo è, infatti, ed è esattamente quello che dobbiamo fare tutte noi, noi che quella legge la vorremmo abrogata: parlare con le altre donne, spiegare loro come era la situazione prima, com'è adesso, come potrebbe diventare, se noi riusciremo, per una volta, a far rispettare il nostro corpo e i nostri desideri, la nostra angoscia e i nostri diritti. Una donna ha diritto a non mettere al mondo un essere umano destinato a vivere una vita di sofferenza, se può farlo prima che prenda forma, la ferita sarà meno profonda, sia psicologicamente che fisicamente. Lo sa Veronica, lo sappiamo tutte. Per essere, come ha detto di sé, “una dilettante allo sbaraglio”, questa strana first lady, che il suo “first lord” cerca di tirare fuori dal cappello come tanti altri conigli magici (una moglie saggia e carina conquista più simpatie della promessa di diminuire le tasse e pesa meno sui bilanci dello Stato), se la cava piuttosto bene. Parla la lingua delle donne, quella che le donne maneggiano con più sicurezza, la lingua dell'esperienza. Non capisce, si rifiuta di capire, finché non ha riportato l'idea - la regola - la legge sul terreno domestico della vita vera, quella che si dipana fra piccoli orrori quotidiani e normali celesti aspirazioni… essere madre, essere amata, essere sana. Amare. Dare e ricevere. Riflettere e poi giudicare. “Come guarda alle biotecnologie?” chiede Maria Latella: “Con speranza”. È la risposta. E con speranza noi guardiamo a te, Veronica Lario Berlusconi, perché un referendum su temi che, ti cito, “riguardano la vita e la morte”, è una faccenda delicata. È giusto che siano i cittadini a decidere se abrogare, riformulare o accettare una legge che tocca così intimamente la loro carne, la loro emotività, la loro affettività. Nello stesso tempo non si può abbandonarli al freddo abbraccio della politica, con le sue trappole e le sue alleanze occulte, con le sue lobby e i suoi machiavellismi. C'è bisogno di parole più chiare, di un timbro più autentico, di un dialogo meno verticistico, più orizzontale. C'è bisogno di raccontarci le nostre paure e le nostre speranze… per esempio che si possa usare la scienza perché tutti si soffra di meno. C'è bisogno di una catena infinita di conversazioni fra donne, sincere e un po' impudiche come sono sempre state, fin dai tempi del “piccolo gruppo”, ai tempi della rivolta femminista. C'è bisogno di situarsi lontano dai comizi e dai proclami, dalla propaganda e dalle mistificazioni, per arrivare, serene e convinte, a dire il “Sì” che cancellerà i quattro punti più brutti di questa brutta legge. E allora, anche se il referendum dovesse essere, per una spiritosaggine estrema del “sindacato degli embrioni”, spostato nel giorno di ferragosto, non saremo certo noi ad andare al mare invece di andare a votare. Non noi di sinistra, ma nemmeno i radicali, e nemmeno gran parte dei cattolici, neanche se la gita gliela organizza il cardinal Ruini in persona. Non io. Ma neppure Veronica Lario.