sabato 9 aprile 2005

Ernesto De Martino

Il Mattino 9.4.05
Ernesto De Martino
Donatella Trotta

«Ernesto De Martino? È stato un grande riformatore: un pioniere dell’esplorazione di orizzonti ”altri” nell’indagine sull’uomo, un precursore di fecondi sconfinamenti disciplinari, ma anche un uomo dotato di un’insaziabile curiosità e di una cupiditas di sapere del mondo che ci ha donato intuizioni tuttora attuali, per le quali occorre oggi riconoscergli non tanto (o non soltanto) quello che ha fatto, quanto quello che ci ha stimolato a fare, che è poi la vera creazione». Il neuropsichiatra Bruno Callieri ha 82 anni e la memoria, le energie progettuali e l’entusiasmo di un ragazzo, corroborati dalla statura dello studioso di lungo corso considerato il padre della psicopatologia italiana, oltre ad essere decano dei consulenti-periti per il tribunale apostolico della Sacra Rota Romana e autore di saggi fondamentali nell’àmbito della psichiatria clinica contemporanea e del pensiero fenomenologico, di cui è uno dei massimi esponenti. Negli anni ’50, Callieri ha conosciuto De Martino, diventandone amico nell’ultimo decennio di vita del poliedrico studioso napoletano e collaborando con lui sul tema delle apocalissi culturali, al centro dell’ultima complessa opera demartiniana, incompiuta e pubblicata postuma nel 1977: La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali (poi ristampata da Einaudi nel 2002). Tema di recente oggetto di una riscoperta critica e di un’attenzione scientifica ed editoriale ai confini tra storia, religione e filosofia, antropologia e psichiatria: non a caso, Callieri sarà uno dei relatori della giornata di studi sul pensiero di Ernesto De Martino, dal titolo «Il ritorno del rimorso», in programma oggi a Napoli (ore 10, a Palazzo Serra di Cassano), a quarant’anni dalla precoce scomparsa del grande antropologo, e a mezzo secolo dalla spedizione etnologica di De Martino in Basilicata, celebrata tra l’altro da un volume collettaneo fresco di stampa, intitolato Dell’Apocalisse. Antropologia e psicopatologia in Ernesto De Martino (Guida, pagg. 157, euro 10,20) e curato da Bruna Baldacconi e Pierangela Di Lucchio nella collana Alchimie, diretta proprio da Callieri e da Mauro Maldonato, che interverrà al convegno napoletano con Stefano Carta, Iain Chambers, Stefano de Matteis, Rita Enrica Alibrandi, Sergio Mellina e Fausto Rossano. Durante l’incontro, promosso dal Dipartimento di salute mentale Asl Napoli 1, nell'àmbito della rassegna «Passaggi e confini», in collaborazione con l’università della Basilicata, l’Aipa (Associazione italiana Psicologia analitica) e l’Istituto italiano per gli Studi filosofici, sarà proiettato anche un documentario («Nei giorni e nella storia») che riproduce le immagini più significative delle spedizioni di De Martino in Basilicata. Immagini della memoria che riecheggeranno anche tra poesia e musica, nei versi della figlia di de Martino, Lia, che parteciperà all’appuntamento in omaggio al padre con alcune sue poesie. Ma come avvenne l’incontro tra De Martino e Callieri? «Fu propiziato dal mio direttore di allora, il piemontese Mario Gozzano» ricorda Callieri «a conoscenza del bisogno di De Martino di contattare uno psichiatra clinico che potesse fornirgli una casistica psicopatologica per le sue ricerche sulla fine del mondo, inizialmente confluite nel saggio Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche, poi pubblicato in ”Nuovi Argomenti” nel 1964 come sintesi introduttiva al libro al quale de Martino stava lavorando. Rammento la prima volta che andai a trovare De Martino a Roma, nella sua casa in via Caterina Fieschi 3. Fu un incontro travolgente per me, perché mi si dischiuse un orizzonte esistenzial-culturale fondamentale, incarnato da un uomo aperto, simpatico, disponibile all’ascolto e all’empatia. Al di là del profondo rapporto umano, che appartiene alla sfera intima del privato, fu un incontro tra due dimensioni: il mondo scientifico della psicopatologia e quello storico-antropologico e religioso del Sud magico di De Martino, dei contadini lucani, della povertà. La mia formazione biologica, incentrata sull’onnipotenza della mente neuronale, fu spiazzata da quell’intelligenza sovrana, geniale, che riusciva a capire l’essenza della ricerca psicopatologica che avevo condotto in tanti anni, trovando conferme alle sue intuizioni su altri piani interpretativi. Per me, De Martino diventava il perturbante, mi offriva la sponda per transitare verso un senso ulteriore. E il confronto con la sua etnologia riformata, con le sue riflessioni sui miti escatologici fu per me decisivo per esplorare altri mondi, per saggiare la rinascita dal valore della sofferenza attraverso il registro psichico con una potente visione creativa, insomma, esemplificata da quanto disse una volta una mia paziente illetterata: è questo mondo che finisce, ma nascerà un mondo nuovo, quello che io non ho mai potuto vivere». La sindrome della fine del mondo, l’apocalisse culturale e lo «spaesamento» come destino mondiale già ravvisato da Heidegger sono concetti che tornano con prepotenza nell’orizzonte contemporaneo di senso. In che consiste, a suo avviso, l’attualità di De Martino, approdato da un indirizzo storicista nel solco di Omodeo e di Croce ad una complessa prospettiva storico-religiosa ed etnologica radicata anche in un forte impegno civile, ideologico e sociale? «Di lui restano fondamentali alcuni passaggi, ancora fecondi di stimoli» aggiunge Callieri «il superamento dell’etnocentrismo dogmatico verso un etnocentrismo critico, che ha aperto la pista all’antropologia culturale; e il passaggio all’umanesimo etnografico, non limitato alle culture extraoccidentali, che oggi ritorna aprendosi ad una nuova, ulteriore prospettiva, quella dell’etnocentrismo emotivo, perseguito in vari ambiti: dalla psicologia della cultura di scuola milanese fino alla filosofia, con un testo paradigmatico come L’intelligenza delle emozioni di Martha Nussbaum. In questo, e non solo, De Martino è stato un grande precursore che vale la pena riscoprire».

Repubblica ed. di Napoli 9.4.05
L'ANTROPOLOGO DELLA SVOLTA
MAURO MALDONATO

Sarà ospite la poetessa Lia de Martino, figlia di Ernesto, che reciterà poesie da una sua recente raccolta accompagnate al violino da Aldo Jonata. Il convegno coincide con la pubblicazione di un volume a più voci dal titolo "Dell´Apocalisse. Antropologia e Psicopatologia in Ernesto de Martino" (Guida editore). Il libro reca, tra gli altri, saggi di studiosi come Ernesto Galli della Loggia, Giovanni Jervis e Bruno Callieri. Come è noto, gli ultimi due hanno intrattenuto con de Martino intensi rapporti umani e intellettuali. Fu, tuttavia, Callieri, a segnare profondamente la cultura psicopatologica di Ernesto de Martino. Non si comprenderebbe la genesi e il senso del concetto di "apocalissi psicopatologiche" in de Martino senza gli studi di Callieri del 1954-1955 sull´esperienza schizofrenica di fine del mondo. Naturalmente, non è questo il luogo per una discussione accurata su simili questioni. Basti qui osservare che Calleri divenne il riferimento costante del grande antropologo napoletano nelle sue esplorazioni psicopatologiche. Più in generale, la lezione di Ernesto de Martino è stato un perfetto paradigma di una ricerca della verità che si compie solo nel cercarla ancora. Il cuore teorico della sua analisi è stato il "discorso dell´altro". Ma è impossibile qualsiasi discorso dell´altro se non tramite il discorso sull´altro. L´altro, infatti, è la cifra e il limite necessario che caratterizza la psichiatria e l´etnografia come scienze umane. Per de Martino, una scienza non è "scienza umana" perché ha per oggetto l´uomo, ma per le relazioni che istituisce, per il suo modo di instaurare non una separazione oggettivante e statica, ma una distanza (che è insieme prossimità) che vive in un rapporto di alterazione reciproca. Il corpo e la parola che dice l´altro - che si vorrebbe dominare attraverso il lavoro di comprensione e attraverso l´arma (tipicamente europea) del senso - investono e alterano il soggetto della scienza. Nel suo raffinato atteggiamento epistemologico vivono non solo un rigore documentario inedito, ma anche passioni straordinarie, rappresentazioni simboliche, forme di mentalità, l´inconscio collettivo. La sua ricerca dà voce a un silenzio, ma muta anche l´ideale metodologico dell´oggettività documentaria. Non ci sono, infatti, documentazioni neutre e innocue sui fatti, ma solo rappresentazioni istituite. Dunque, là dove vi sono testimonianze è necessario chiedersi chi deteneva, in una società del passato, il compito di produrre testimonianze e oblio. Ma questo non è forse il tema essenziale del "mondo dei vinti"? Non è forse questo, ancora oggi, drammaticamente, il tema cruciale della nostra "terra del rimorso"?