domenica 24 aprile 2005

«ciò che non si spiega»

Corriere della Sera 24.4.05
ELZEVIRO

Le poesie di Viviani
Frammenti di vite anonime

di Paolo Di Stefano
Una voce interiore capace di indagare nei labirinti dell'esistenza
«Il poeta - ha scritto Cesare Viviani - è colui che pone al centro della propria esistenza ciò che non si spiega». In effetti, Viviani ci ha abituati a un esercizio ostinato sull’indicibile che si traduceva agli inizi in una poesia libera da preoccupazioni di razionalità sintattica. La sua sperimentazione oggi non è più radicalità ludico-formale, ma inquietudine, «coraggio di non riposare in una comoda accoglienza». E infatti si tratta, incredibilmente, di un poeta che riesce a rinnovarsi senza mai ripudiare nulla delle esperienze passate. Così, dopo oltre trent’anni dagli esordi, ci troviamo con La forma della vita (Einaudi) a esiti allora imprevisti e forse imprevedibili: a una sorta di «romanzo» costituito di infiniti microintrecci, un poemetto di frammenti tenuti insieme da una voce sospesa e tenace, quella voce interiore, tipica di Viviani, capace di indagare nei labirinti dell’esistenza e dell’incomprensibile. A dire il vero, la tentazione narrativa era già ben riconoscibile in precedenti raccolte, come L’opera lasciata sola , racconto di un’amicizia perduta, e il viaggio spirituale di Silenzio dell’universo . Ma si direbbe che qui, sull’esempio del maestro Mario Luzi, anche Viviani abbia voluto battezzare i nostri frammenti. Sono frammenti di cronaca, di quotidianità, frantumi di vite anonime appena accennate, o con nomi e cognomi, macerie di voci raccolte in una portineria, nella metropolitana, per strada, resti di luoghi comuni, frasi apparentemente inerti che ritrovano come per miracolo, nel flusso della narrazione poetica, una loro capacità di rigenerazione. Viviani sfida e attraversa i paesaggi più consumati dalla comunicazione, accenna al lavoro, alla politica, al sindacato, alla globalizzazione, agli immigrati, alla moda, alle relazioni di coppia, alla violenza, all’università, ai telefonini, ai giovani, a Internet, insomma a tutti i nodi e gli oggetti della postmodernità, ai temi ricorrenti nei giornali, nelle tv, nelle cronache nere e rosa e bianche, quasi volesse offrir loro un’estrema chance di vitalità e di senso attraverso una continua interrogazione.
Così, nel flusso della narrazione è possibile imbattersi in accostamenti sorprendenti sul piano della visione ma anche sul piano dei linguaggi: dal marciapiede su cui cammina l’impiegato Franchini si passa senza soluzione di continuità alla «primordiale vicenda del Paradiso terrestre che si ripete in ogni esistenza». Dalla «scandalosa imparzialità del male» a Vanni, il pittore sessantottino nel suo studio-scantinato. Dal rassicurante rituale quotidiano al vuoto sospeso dell’interrogazione, dalla familiarità dei giorni e dall’inesausta attività umana all’enigma indicibile dell’universo. Frasi logore: «Mi interessa Internet / perché lì si possono creare cose». E pensieri sublimi, aforismi: «L’affidamento non è incoscienza, / ma è conoscenza». E invettive: «Questi pragmatici, lombardo-veneti, / che dicono di costruire e invece distruggono».
Trasparenza del racconto e densità del pensiero, flusso e coagulo. Basso e alto, fare e pensare, costruire e annientare. Attraversare i luoghi più vicini come fossero passaggi assoluti. Prestare ascolto ai rumori dell’oggi cercando di recuperarli al silenzio dell’universo. Seguire gli «intrecci di animo e materia». Preghiera verso l’assoluto e fedeltà alla terra (a quegli «ampi, dolci declivi», dove «legge il sole la terra», gli splendidi paesaggi collinari con cui si chiude il libro), devozione all’animo umano e alla materia, come quella che fu del padre di Viviani, bellissima figura cui il poeta dedica questa raccolta.