AVANGUARDIE Una diecina d’anni dopo le mostre di Firenze e Milano, esposti da ieri a Roma oltre 40 quadri dell’artista russo
E Malevic indossò un quadrato nero
Scrisse il manifesto del Suprematismo con il poeta Vladimir Majakovsky
Sebastiano Grasso
Roma, Museo del Corso
sino al 17 luglio. Tel. 06 6786209
sino al 17 luglio. Tel. 06 6786209
Avete presente il periodo cubista di Braque e Picasso? Uno degli strumenti musicali più amati e ritratti allora è certamente il violino. Ed è proprio un violino che, assieme ad una vacca, campeggia nel dipinto di Kazimir Malevic (1878-1935) eseguito nel 1913. Sul retro della tavola, il pittore ha scritto: «Contrapposizione alogica di due forme come momento di lotta contro la logica, l'ordine naturale, il senso comune e il pregiudizio». La stessa lotta che, nel 1905, l'aveva portato a salire sulle barricate. Il quadro, assieme adc altri 40 (oltre ad alcuni oggetti di arte applicata, come una teiera e tre tazze di porcellana dipinta, qualche litografia, un paio di gessi e alcuni costumi realizzati per l'opera Vittoria sul sole, del 1913, di Aleksei Krucenyc, musicata da Mihail Mutjushin) fa parte della mostra inaugurata ieri a Roma, dedicata al teorizzatore del Suprematismo, il movimento artistico russo creato verso il 1913, da Malevic appunto, e concretizzato nel manifesto del 1915, scritto in collaborazione con Vladimir Majakovsky (all'inizio, infatti, il poeta russo si cimenta anche con la ricerca coloristica, tipica della «pittura sonora», tant'è che nel 1911, a Pietroburgo espone un Ritratto di Kogan ).
Malevic sosteneva la necessità di un'arte libera da fini pratici e descrizioni naturalistiche. Occorreva puntare sulla «supremazia - da cui il Suprematismo - della sensibilità pura» e delle «forme assolute», diceva.
Esempio di forme assolute? Quadrato nero (immagine simbolo del movimento, definita «lo zero delle forme»), Croce nera e Cerchio nero. Dipinti nel 1913, vennero scelti da Malevic per la XIV Biennale veneziana, e rappresentano la cosiddetta «fase nera» del Suprematismo, espressa con tre forme: quadrato, croce e cerchio.
I tre quadri, così come tutti gli altri esposti a Roma, provengono dal Museo di Stato di San Pietroburgo, che, assieme allo Stedelijk di Amsterdam, detiene la maggior parte delle opere di Malevic: un centinaio di tele, qualche decina di disegni ed alcuni oggetti di arte applicata. La selezione, a cura di Eugenia Petrova, direttrice del museo russo, dà una panoramica dell' iter creativo di Malevic: dal 1907 (con un paio di studi per affresco) al 1933, due anni prima della morte, toccando le varie fasi creative. Da un certo simbolismo iniziale al momento post-impressionista, dal neoprimitivismo di ispirazione fauve all'influenza che su di lui ebbe, anche se più giovane di tre anni, Fernand Léger.
Si tenga conto anche dell'interesse di Malevic per Cubismo e Futurismo (nel 1914, nel corso d'una manifestazione s'era appeso un cucchiaio di legno al bavero della giacca), dei suoi rapporti coi poeti Majakovsky e Krucenyc, col gruppo dei pittori del Fante di Quadri di Mosca e del Blaue Reiter di Monaco. La parentesi astratta non dura a lungo.
Con l'avvento del realismo socialista, nel '29 viene incarcerato per circa due mesi con l’accusa di avere dipinto opere «piccolo-borghesi». Negli anni successivi, con la nuova politica culturale di Stalin, Malevic torna al figurativo. Talvolta, di «ispirazione» rinascimentale, come testimoniano il Ritratto di Natalija moglie del pittore e l' Autoritratto. Più spesso sviluppando i temi cari all’ideologia ormai dilagante: il culto del lavoro, la retorica dell’Armata rossa, il nuovo mondo dei soviet. Triste epilogo per un grande interprete delle avanguardie europee che, per non soccombere come la maggior parte dei poeti e artisti contemporanei, ha dovuto piegarsi al «vento della Storia».
ibidem
Se tacere è un’arte ecco l’arte del tacere
S.Gr.
La mostra di Malevic presenta «una retrospettiva completa» di opere del Museo di San Pietroburgo. «Un comitato scientifico internazionale, mai raccolto prima, costituito da Bowlt a Marcadé, dalla Misler a Kiblisky, dalla Petrova a… ». Ed ancora: «Una selezione operata dalla direttrice del museo, Petrova, a ideale completamento dell'esposizione del 1959». Frasi enfatiche che lasciano perplessi. Non tanto per le cose dette, quanto per quelle taciute. Per esempio, non un minimo cenno all’antologica di circa 10 anni fa a Firenze e a Milano: 61 dipinti 1900-1934 contro i 41 attuali (di cui 23 presentati allora). Anche quella mostra era curata dalla Petrova. Inoltre, adesso, metà degli autori dei saggi in catalogo sono gli stessi (così come l’editore: Artificio). La Petrova e la Misler ne hanno scritti due nuovi; quello di John E. Bowlt è ristampato così com’era. Perché non riproporre lo scritto di Giovanni Carandente, pubblicato nel 1959, in occasione della rassegna alla Gam di Roma, di cui, appunto, la mostra dovrebbe essere «l'ideale completamento». Forse che con queste precisazioni sarebbe cambiato qualcosa? No. Bastava solo dirlo. Così, magari, qualcuno non avrebbe pensato che l'ultima mostra di Malevic in Italia risale al 1959. Furbizia o dimenticanza?