venerdì 29 aprile 2005

sinistra

L'Unità 29.4.05
Bertinotti: facciamo il programma con i movimenti

ROMA L'Unione deve strutturarsi e darsi forme di democrazia stabili, soprattutto sul programma.
Lo strumento? un'assemblea composta per un terzo dai partiti, un terzo da rappresentati dei governi locali, un terzo da movimenti, associazioni e sindacati. Fausto Bertinotti indica questa necessità anche se non si impicca a un nome: le primarie sul programma? «Sto attentissimo a non usare termini su cui poi si discute per settimane. È una discussione fuorviante».
L'analisi del segretario del Prc è che- stante la crisi della cdl- «all'opposizione è richiesto un salto di qualità. L'Unione deve organizzare la democrazia al suo interno per costruire in maniera convincente delle proposte di programma». Secondo Bertinotti «la fabbrica di Prodi, che finora ha visto un'interessante partecipazione e confronto, ora deve organizzare la democrazia, riempirsi di democrazia». Bisogna, cioè, «costruire un'assemblea per la costruzione del programma che dia dei risultati trasparenti, in modo che la gente li possa consocere, e che su ogni proposta si possa avviare una discussione approfondita coinvolgendo esperienza come quella dei lavoratori impegnati nelle lotte contrattuali».

Corriere della Sera 29.4.05
IL FONDATORE DEL PDS
«Fausto non mi chiede abiure, lo apprezzo»

ROMA - (M.Gu.) «Bertinotti mi chiede di ammettere che la svolta ebbe esiti moderati? Non solo sono disposto a riconoscerlo, ma dico che tutto quello che sto facendo da un anno a questa parte altro non è che la considerazione razionale e fredda che la Bolognina ha avuto esiti moderati e non, come molti pensano, il frutto di chissà quale rancore». Ora Achille Occhetto parla la stessa lingua di Bertinotti, legge nell’intervista al Corriere «un’importante apertura» e chiede al segretario del Prc un incontro per la prossima settimana, come farà in seguito con Diliberto e Pecoraro Scanio. Qualcosa, a sinistra dell’Ulivo, si muove. «Bertinotti riconosce che quando fondai il Pds pensavo a una fuoriuscita da sinistra dal comunismo e non mi chiede abiure, come io non chiedo a lui di riconoscere che la mia svolta fu giusta. Questo per me è centrale, ma Bertinotti sbaglia quando dice che io non me ne rendo conto, perché il mio travaglio morale e politico nasce proprio da questa consapevolezza. L’importante è riconoscere la collocazione comune al di là degli errori e delle tragedie dello stalinismo». Il passato non lo abbandona mai, ma Occhetto ha ancora tanta voglia di guardare avanti e la sintonia con il partito nato contro di lui da una costola del Pci è il nuovo terreno di azione. Non chiedetegli se davvero aspira a entrare nel Prc, vi dirà che un’idea simile «non ha nessun senso», mentre ha senso lavorare insieme a un progetto culturale e politico: non una Fed radicale da contrapporre a quella moderata, quel che Occhetto vuole è mettere insieme pezzi di società, associazioni e movimenti per dar vita a una grande convenzione delle idee. «Il problema non è dare continue dimostrazioni di moderatismo per entrare nel salotto buono, ma ripensare le categorie della sinistra perché tre milioni di voti non vadano dispersi».

Corriere della Sera 29.4.05
LA LETTERA Folena:
Achille fa bene Ds lontani dalla Svolta
Pietro Folena

Caro direttore, conosco Achille Occhetto da molto tempo. Sono stupito da quanti si stupiscono del suo avvicinamento alla sinistra radicale e, in particolare, della sua «simpatia politica» per il progetto di Fausto Bertinotti e di Rifondazione comunista.
Ho fatto parte del gruppo dirigente che sostenne la svolta dell'89. Anch'io vedevo due possibilità di uscita dalla crisi del comunismo. Una, quella che Achille definisce «uscita da destra» (diciamo l'opzione «liberale») prendeva semplicemente atto di una sconfitta storica ed è poi giunta ad un approdo che lo stesso Massimo D'Alema ha definito succube del neo-liberismo. Una volta perso il sistema di idee e valori del Pci, il Pds è rimasto sguarnito di idee-guida e ha pian piano assimilato una concezione riduttiva del ruolo di un grande partito socialista, limitandosi spesso alla mera selezione delle classi dirigenti. Ha sfidato il centrodestra sul suo terreno (le riforme istituzionali, la riduzione delle imposte, l'esportazione della democrazia) con un'impostazione non alternativa nell'impianto culturale e politico. Alla base di ciò la concezione dell'Italia come Paese moderato, tendenzialmente di destra.
L'altra via di uscita, quella «da sinistra», presupponeva non tanto il cambiamento di nome e simbolo del Pci, ma la fondazione di un nuovo soggetto politico del quale facessero parte pezzi significativi del «ceto medio riflessivo». Se la «svolta» avesse dato pienamente i suoi frutti, forse non ci sarebbe stata la stagione dei girotondi fuori e in una certa misura contro i partiti. I girotondi li avrebbero fatti i Ds. Così, se la stagione di rinnovamento avviata dalla segreteria di Walter Veltroni, con cui ho collaborato con grandi responsabilità, non si fosse interrotta, oggi forse i movimenti no-global non sarebbero tanto distanti dalla politica dei partiti.
Non voglio però rivangare il passato, ma guardare avanti. Occhetto, come molti, e tra questi il sottoscritto, è stanco di una sinistra che si divide ancora usando le vecchie categorie novecentesche. La crisi dei partiti è soprattutto qui: le primarie pugliesi hanno dimostrato la distanza tra gli elettori e il ceto politico. Al popolo del centrosinistra e della sinistra non interessano etichette e certificazioni. Interessa molto di più sapere cosa propone il centrosinistra su temi come la pace, le privatizzazioni dei servizi pubblici, la scuola, le pensioni...
Credo quindi che dovremmo smetterla di parlare del «riformismo» come spartiacque tra due sinistre. Nessuno propone la rivoluzione con annessa presa del palazzo d'inverno. Il tema è quali riforme. «Riforme di struttura» si diceva all'epoca del primo centrosinistra. Per me, socialista di sinistra, il vero riformismo o è radicale o non è. Elementi radicali (a partire dal pacifismo e dalla gestione pubblica dei cosiddetti «beni comuni») devono divenire patrimonio di tutto il centrosinistra. In Spagna il riformista Zapatero sta cambiando radicalmente il suo Paese. Ecco un esempio di riformismo radicale che nella nostra sinistra è pressoché inesistente.
Tutto ciò per dire una cosa semplice (a dirsi, non a farsi). In Italia serve costruire una sinistra post-novecentesca: pacifista, libertaria, comunitaria. Una sinistra che affondi le sue radici più nel movimento nato a Seattle e nel movimento pacifista, che non nella rivoluzione di Ottobre, o nella socialdemocrazia classica.
Mi rendo conto che è una cosa difficile e nuova. Qualcuno in Europa ci sta provando, pur tra ritardi e contraddizioni. In Italia l'unico partito che tenta un percorso del genere è Rifondazione. Ma non basta. Serve che altri si mettano a lavorare per costruire un solido ponte tra il metodo del riformismo e i contenuti della radicalità. Per quel che mi compete proverò a farlo insieme a molte compagne e compagni. Quanto dice Achille Occhetto mi conforta e scorgo molti punti di possibile ricerca comune che mi inducono a chiedere a lui e ai suoi compagni di unire i nostri sforzi. Più operai lavorano nel cantiere, prima il ponte sarà finito.

Aprileonline.info 29.4.05
Occhetto smuove le acque, Bertinotti vuole il programma e la Fed litiga sul listone
Rive gauche. Folena ad Akel: ''Lavoriamo insieme''. Mussi: ''Margherita e Ds sono diversi''. Rizzo: ''C’è una questione comunista''
G.I.

Il ritorno di Akel. Nei Ds Achille Occhetto è vittima di un ostracismo da anni. Ha lasciato il partito che ha fatto nascere oramai da tempo, ma la “sua” Quercia non lo riconosce come fondatore. Forse per questo, oggi, guarda con attenzione alla sinistra radicale. O forse perché lui radicale lo è sempre stato. Sul “Corriere della Sera” ha lanciato un appello: “Occorre un progetto di rinascita, di rifondazione della sinistra” in cui far confluire non solo i partiti ma soprattutto “associazioni e movimenti”, la galassia “pacifista, nonviolenta, ecologista”. Appello raccolto, pur con qualche prudenza sugli sbocchi organizzativi, da Fausto Bertinotti, che ieri, sempre sul Corriere, riconosceva all’ex segretario del Pds di aver tentato di uscire “da sinistra” dalla crisi del comunismo.
“Le sue posizioni di oggi non sono una novità – ci dice Fabio Mussi, coordinatore del Correntone – e sono interessanti perché puntano a stabilire ponti, relazioni, reti, tra le componenti della sinistra”. Un’attenzione, quella del Correntone, che si ferma un passo prima delle scelte organizzative: “La dialettica interna dei Ds sarà molto interessante nei prossimi mesi”, prevede Mussi.
Chi invece fa un passo in più è Pietro Folena che ha recentemente lasciato la Quercia proprio per andare verso la sinistra radicale. “Serve che mettersi a lavorare per costruire un solido ponte tra il metodo del riformismo e i contenuti della radicalità – dice il deputato indipendente di Rifondazione - per quel che mi compete proverò a farlo insieme a molte compagne e compagni. Quanto dice Achille Occhetto mi conforta e scorgo molti punti di possibile ricerca comune che mi inducono a chiedere a lui e ai suoi compagni di unire i nostri sforzi. Più operai lavorano nel cantiere, prima il ponte sarà finito. E la svolta del Prc riapre la possibilità di una rifondazione della sinistra”.
E’ ben comprensibile che, dalle parti di Rifondazione, si guardi con attenzione alle mosse dell’ultimo segretario del Pci. Dopo l’iscrizione di Ingrao e la scelta di Folena, un collegamento con il “Cantiere” di Occhetto sarebbe un fatto di straordinaria portata. Ma Bertinotti non vuole precipitare gli eventi, lavora più sul lungo termine. Per ora niente liste comuni della sinistra fuori dalla Fed, ma un lavoro sulla “Sinistra Europea” che si candida a divenire, almeno in Italia, il contenitore di quanti non vogliono stare dentro Rifondazione ma guardano con interesse alla “svolta” del segretario comunista. E Bertinotti pare insistere su due punti: il programma dell’Unione e la “formazione di una cultura politica della sinistra radicale”.
Un percorso non condiviso dal Pdci, che invece rilancia la Camera di consultazione di Asor Rosa ed è guardingo rispetto ai movimenti di questi giorni. Marco Rizzo, capogruppo dei Comunisti Italiani al Parlamento europeo è esplicito: “Mai come oggi in Italia il «mondo dei lavori» ha avuto una così scarsa rappresentanza politica. La questione del lavoro, unita alla questione comunista, si ripropone sia di grande attualità. Questa è la falsariga su cui porsi”, ci dice. Nodi complicati da sciogliere prima delle elezioni politiche.

La Fabbrica. Ieri Bertinotti è tornato a chiedere un percorso partecipato per la formazione del programma dell’Unione. Non gli piace il metodo della “Fabbrica”, troppo chiuso, troppo elitario, poco democratico. Per Mussi “la Fabbrica è stata una bella idea che ha fatto un utile inventario di questioni”. Anche per il leader della minoranza diessina però serve molto di più: “Ora bisogna definire una procedura per far quagliare analisi, principi e risposte programmatiche – ci dice. E aggiunge: “Vedo altri soggetti in moto: il 3 maggio Italianieuropei(la fondazione di D’Alema e Amato) tiene un convegno sul ‘programma riformista’. Il 6 e 7 le riviste della sinistra (Aprile, Carta, Alternative, Ecoradio, Quaderni Laburisti e altre, ndr) promuovono un seminario con Prodi, anch’esso con vocazione programmatica”. Anche il Correntone avrà il suo momento di elaborazione il 13 e 14 maggio, a Firenze. “Ora – sostiene Mussi - bisogna trovare forme partecipate per stringere”. E, facendo un po’ il verso a D’Alema, sottolinea che “c’è solo un anno” prima delle elezioni (al presidente Ds pare molto, a Mussi poco).
Bertinotti propone una convenzione programmatica formata in parti uguali da partiti, movimenti e eletti nelle amministrazioni locali. Folena è d’accordo: “La formazione del programma non può essere elitaria e decorativa per il candidato premier. Tempo fa avevo avanzanto anch’io l’idea di una convenzione che elaborasse il programma e poi, sui punti più importanti, occorrerebbe fare delle primarie-referendum per far scegliere agli elettori. Se non facciamo così può venir meno la coesione della coalizione quando sarà al governo”.
Rizzo, invece, mette le mani nel piatto dei contenuti: “Parto da un presupposto: discontinuità rispetto a Berlusconi”. E abbozza un programma dei primi 100 giorni: “Bisognerà promuovere una seria legge sul conflitto di interessi e abolire (non modificare) la legge Moratti, la legge 30 sul mercato del lavoro e la Bossi-Fini. Su questo il programma prende fiato. E agli elettori bisogna che lo diciamo prima”. Chissà se il convegno di “Italianieuropei” avrà le stesse conclusioni…

La Fed in ambasce. Che il presidente della Margherita non voglia la lista unitaria alle politiche è cosa nota. Chiediamo a Fabio Mussi se si può ipotizzare un asse Mussi-Rutelli su questo punto. “Asse Mussi-Rutelli? – domanda divertito – Ma quale asse!”. Mussi sposta abilmente la conversazione su un altro piano: “Rutelli dice cose legittime ma da me niente affatto condivise sulle politiche economiche, sul welfare e sulla politica estera”. E aggiunge sarcastico: “Ciò che dice mi tocca da vicino: è uno degli esponenti della Fed a cui noi Ds abbiamo ceduto sovranità, non è più solo il presidente della Margherita”. Il coordinatore del Correntone fa le pulci al progetto del listone: “Noto che dopo le elezioni regionali si è riaperta competizione tra Ds e Margherita e una competizione al centro tra Margherita e Udeur. Non mi sorprende. Nella società italiana Margherita e Ds sono partiti diversi. Adesso, senza l’angoscia che c’era rima delle elezioni si vedono meglio le straordinarie difficoltà approdo riformista”. “Sarà interessante seguire il dibattito interno dei Ds”, conclude con un sorriso sotto i baffi.


Corriere.it 29 aprile 2005
«I conflitti si risolvono con la democrazia. Altrimenti coalizione a rischio»
Bertinotti: sul programma sentire gli elettori

Il segretario del Prc rilancia la proposta di un'assemblea allargata. E sulla leadership dell'Unione dice: «Prodi non è in discussione»
ROMA - Lo aveva detto nell'intervista al Corriere della Sera. E lo ha ribadito per tutta la giornata: per varare il programma con cui l'Unione si presenterà agli elettori alle politiche del prossimo anno è necessaria «una grande assemblea allargata e coordinata da Prodi». Un vertice di tutte le forze politiche e sociali che ruotano attorno al centrosinistra, che tracci una sintesi delle diverse posizioni e delinei la strategia con cui lanciare la sfida alla Casa delle libertà.
Fausto Bertinotti ribadisce la fedeltà al Professore: «Romano Prodi sarà il candidato, la sua leadership è assolutamente fuori discussione». Ma sui contenuti il segretario di Rifondazione comunista fa sapere che non accetterà scorciatoie o impostazioni predefinite. Serve un'impostazione democratica nell'impostazione dei programmi, sottolinea, perché la domanda di partecipazione è alta. «Finora - precisa Bertinotti - la Fabbrica del programma di Prodi si è riempita con la presenza di diverse espressioni sociali: perfetto! Ma questa cosa deve poter incontrare un’elaborazione programmatica e lo può fare solo un’assemblea. Serve un impianto condiviso e che sia la base di una consultazione più ampia».
Tramontata l'idea delle primarie per la scelta del candidato premier, Bertinotti rilancia l'idea di un coinvolgimento degli elettori nella scelta delle linee strategiche del futuro governo. Perché è chiaro che in uno schieramento che va dal Prc all'Udeur delle divergenze ci sono, ma «un buon modo per risolverle sarebbe organizzare forme di partecipazione con regole definite in modo che gli elettori del centrosinistra possano pronunciarsi». Il segretario di Rifondazione su questo punto è fermo e avverte gli alleati: «Se i conflitti dentro un’alleanza così necessariamente larga si producono senza democrazia e partecipazione, si mette a rischio la coalizione». Bertinotti chiarisce meglio con un esempio: «Se io e Fassino ci mettiamo intorno a un tavolo ci sono sicuramente punti su cui non siamo d’accordo, come sull’organizzazione del fisco e sulla legge 30 (la legge Biagi, ndr) che per me è da abrogare. In questi casi si fa una consultazione che decide: siccome il popolo dell'Unione è sovrano, si accetta il suo verdetto».