lunedì 18 aprile 2005

un libro

La Stampa 18 Aprile 2005
«QUANDO L’ORRORE È DONNA»:
LIBRO-RIFLESSIONE SUI NUOVI «MODELLI» FEMMINILI

Le storie di Lynndie England, torturatrice di Abu Ghraib, e dell'infermiera Wafa Idris, kamikaze palestinese
Le ragazze della strage accanto
Stefanella Campana Carla Reschia

CHE cos'hanno in comune «private» Lynndie England, la spensierata torturatrice del carcere di Abu Ghraib che amava farsi immortalare con un detenuto iracheno nudo al guinzaglio e l'infermiera Wafa Idris, salutata dai media il 27 gennaio 2002 come la prima donna palestinese «combattente» e shaid dell'Intifada? Apparentemente solo la traccia mediatica lasciata, il «quarto d'ora di celebrità» a cui, secondo Andy Warhol, tutti avrebbero diritto nella società dell'immagine. Ma non è casuale e nemmeno secondario che si tratti, di fatto, delle prime vere protagoniste «globali» dell'appena nato terzo millennio, balzate dal totale anonimato alla dignità di icona, e nemmeno che si tratti di donne, cioè di creature a cui la tradizione occidentale e quella orientale, per una volta concordi, attribuiscono una natura tanto pacifica quanto appartata, lontanissima dai campi di battaglia e dalle dure necessità della lotta.
Come recita la sura XXX ar-Rum del Corano: «Fa parte dei Suoi segni l'aver creato da voi, per voi, delle spose, affinché riposiate presso di loro, e ha stabilito tra voi amore e tenerezza. Ecco davvero dei segni per coloro che riflettono». Che se ne potrebbe fare la povera Wafa della compagnia delle 70 vergini che, secondo i detti attribuiti al Profeta, attendono il martire della fede nel paradiso di Allah? Nulla, nella sua cultura, sembra lasciar presagire che a una donna, a una madre e a una sposa destinata alle stanze nascoste della casa, possa toccare un destino simile. Ma anche nel laico Occidente, dalla donna angelicata del Dolce stil novo, all'angelo del focolare ottocentesco, fino alla procace Velina odierna, femminilità significa vita e non morte, sollievo e non tormento. Materna o libertina, velata o rivelata in tutti i suoi anfratti, in nessuno dei due mondi la donna è mai, per definizione sanguinaria. E, se lo è, è un caso, l'eccezione destinata a confermare e anzi a rendere piú salda, con il fantasma della trasgressione, la regola; la Messalina o la Lucrezia Borgia di turno, o la sciagurata Helga, «belva delle Ss» protagonista di un filmetto anni '70. Personaggi ben caratterizzati, fisicamente e psicologicamente, belle e dannate, vere donne-streghe. O forse, donne riuscite, in qualche modo, a insinuarsi nella logica del potere maschile assumendone tutte le caratteristiche.
A ben pensare la presenza femminile nella storia segue due, al massimo tre, copioni ben precisi, equamente distribuiti fra tutte le culture: c'è la donna cultrice del potere fine a se stesso, non necessariamente ma preferibilmente crudele, da Elisabetta I d'Inghilterra a Caterina di Russia fino alla semi leggendaria imperatrice cinese Wu, che, stanca di governare a nome dei figli incapaci un giorno saltò il fosso e comparve in pubblico indossando il mantello imperiale; c'è quella che il potere se lo conquista con la forza dell'azione, in nome di una causa, anche a costo di diventare assassina, pur non essendo per natura crudele, ed entra cosí a far parte della sparuta ma molto venerata categoria delle eroine. Ce ne sono di occidentali e non, dalla biblica Giuditta alla rivoluzionaria francese Carlotta Corday, fino alle per noi meno note icone orientali. La poetessa araba Al Khansa, assai amata dai fondamentalisti, vissuta nel VII secolo, che esortò i suoi quattro figli a prendere parte al jihad per diffondere l'Islam e, quando morirono, ne celebrò le gesta e rappresenta, nell'immaginario collettivo arabo, il modello di donna ideale: tenace e combattiva, tenera e affettuosa, sempre al servizio del marito o dei maschi del clan. Di lei, si racconta, persino il Profeta elogiò il coraggio e la sensibilità. O le sorelle Trung, due nobili vedove vietnamite che nel 39 d.C. guidarono una rivolta vittoriosa contro i governanti stranieri, additate ad esempio durante la guerra contro gli americani per convincere anche l'altra metà del cielo a prendere parte attiva alla lotta. La maggiore, Trung Trac, per quattro anni, prima che i cinesi si riprendessero tutto, fu a capo di uno Stato indipendente. E poi c'è lo spettro di ogni maschio, la femme fatale, la donna che usa spregiudicatamente la sessualità, da Cleopatra a Mata Hari, e non ha alcuno scrupolo a ingannare, tradire, manipolare, illudere, per ottenere un potere meno diretto ma ben piú efficace.
Sono, a ben guardare, i prototipi ancora oggi «in vigore» quando si discute di natura e ruolo della donna. E sono peraltro, modelli funzionali a una gestione del potere che tollera eccezioni ma non cambia le regole. La novità è che ora non si parla di regine, di eroine, di spie, di personaggi storici o leggendari. Lynndie e le sue colleghe Sabrina Harman e Meghan Ambuhl e perfino il loro capo-donna, generale Karpinsky, ma anche la kamikaze Wafa, e tutte le altre, tante, che l'hanno imitata o preceduta, in Cecenia, in India, in Iraq o in Libano, sono persone reali e ordinarie, per cosí dire «ragazze della porta accanto».
Normali, quasi banali nelle loro storie diverse ma speculari di scuola, vicini di casa, inevitabile amore per animali e bambini, sogni e aspirazioni. E carriere, realizzate o soltanto inseguite. Speculari anche nel loro rompere le regole sí, ma non verso i destini magnifici e progressivi della libertà e della coscienza di sé indicati dal femminismo. Non nel segno della consapevolezza e della «differenza». Piuttosto, ansiose di dimostrarsi «come gli uomini», pari nell'indifferenza e perfino nell'allegria dell'offrirsi all'obiettivo, nella determinazione ad annientare il nemico e nello zelo nell'obbedire agli ordini, da che mondo è mondo becera e triste giustificazione di tutti gli aguzzini in divisa.
Difficile, forse ingiusto, fare paragoni tra un caso e l'altro, ma impossibile anche ignorare una distanza che si accorcia nel comune denominatore della ferocia e dell'aggressività. Il dibattito è aperto, anche se ancora incerto e come stupito dalla portata degli interrogativi, che evocano e rimettono in discussione assetti forse ormai superati dai fatti ma convenzionalmente dati per buoni.
A Occidente come a Oriente ci si interroga su queste «nuove» donne. Delle kamikaze discutono i teologi e gli ideologi, ma anche le donne islamiche, i primi mettendo in discussione il «diritto al martirio» femminile alla luce della Sharia, le seconde interrogandosi sul senso di una tale sanguinosa emancipazione. E se Lynndie, in quest'ottica, è vista inevitabilmente come un esempio della perversione dell'Occidente, nella nostra parte del mondo non le mancano gli apologeti, sia che la compatiscano come capro espiatorio, sia che - succede pure questo - ne esaltino le grazie nel Lynndie England official fansite.