lunedì 23 maggio 2005

Biennale di Venezia
da "Avvenimenti" in edicola: Biennale zapatera

Avvenimenti n 20 dal 20 al 26 maggio
BIENNALE ZAPATERA
La rassegna femminile, ma non femminista, delle due spagnole
di Simona Maggiorelli

Ormai ci siamo, l’annunciata “biennale Zapatera” apre le porte il 12 giugno. Alla guida della cinquantunesima rassegna veneziana, per la prima volta, due signore di primo piano dell’arte contemporanea, curatrici di mostre e rassegne internazionali, e ben radicate fra Madrid e Barcellona. Matrice culturale comune, lo stesso impegno civile, ma temperamenti molto diversi: di una eleganza apparentemente più raggelata l’una, Marìa De Corral, più passionale l’altra, Rosa Martìnez. Per entrambe sguardo attento a ciò che sul piano dell’arte si muove non solo nel vecchio continente ma anche negli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Ha fiuto per l’epos, per i grandi racconti collettivi, Maria De Corral, a lungo direttrice del Museo Reina Sofia di Madrid, a cui oggi suggerisce mostre, (l’ultimissima dedicata a Julian Schnabel). Qualunque sia il mezzo - tela, scultura, video - qualunque sia la tecnica, le sue scelte si orientano verso opere dall’ habitus elegante, dal forte appeal estetico, benché spesso ispirate alla vita comune, anche la più dura. Più carnale, più in medias res con la vita, la scelta di Rosa Martìnez. Con il gusto delle immagini dirompenti che parlano per se stesse, senza retrotesti, senza il bisogno di alludere a altro da sé. Difficile scegliere fra le due. Si direbbe che si completino, nella scelta di un’arte che, anche quando è astratta, non è mai scissa dalla vita. Semmai la trasforma e la traduce in forme nuove. Senza contese - anche in questo, con eleganza -De Corral e Martìnez hanno accettato di dividersi una carica che ai colleghi uomini è sempre toccata intonsa nel corso di più di cento anni di storia della Biennale. Senza contare poi il fiatone di dover mettere in piedi l’edizione 2005 a tempo di record, avendo appena sei mesi a disposizione. E dovendo fare i conti con le riduzioni di budget, causate dalle previsioni sbagliate dell’ex ministro della Cultura Giuliano Urbani, convinto che la trasformazione della Biennale in Fondazione, avrebbe portato con sé nuovi investitori.(“Ad ora nessun privato ha bussato alla porta- scriveva poche settimane fa il Sole 24 Ore - Anche perché le soglie minime d'ingresso sono piuttosto alte. Per avere voce in capitolo sulle strategie dell'ente veneziano occorre mettere sul tavolo almeno il 7 per cento del budget annuale, quasi due milioni di euro). In barba a conti e restrizioni, comunque sia, le due curatrici spagnole della Biennale si presentano alla meta con due proposte dirimpettaie, diverse e – sulla carta – altrettanto forti. A Maria De Corral è toccata la gatta da pelare del padiglione Italia, la supercollettiva allestita ai Giardini, con preventiva coda di critiche per la quasi totale assenza di artisti italiani (eccezion fatta che per Monica Bonvicini e Francesco Vezzoli). Un titolo importante: “L’esperienza dell’arte” e, a dare corpo al tema, quarantadue artisti internazionali, esordienti e non, chiamati a declinare, spesso con opere originali create apposta per la Biennale, le tendenze dell’arte che - fra pittura, scultura e molto video - si sono giocate dagli anni ’70 a oggi. Con molto spazio dedicato ai già classici Francis Bacon, Dan Graham, Donald Judd a William Kentridge, fino a Antoni Tàpies e Bruce Nauman. Per Rosa Martìnez, gli sterminati spazi delle Corderie e delle Artiglierie dell’Arsenale. In omaggio al disegnatore veneziano Hugo Pratt e al suo Corto Maltese, la scelta di un titolo romantico: “Sempre un po’ più lontano”, a ricordare attraverso le opere di 49 artisti le frontiere mobili di un’arte che non conosce più la codificazione dei generi, né la provenienza geografica stretta dalla vecchia Europa. Un panorama variegato, segnato dalle tendenze più attuali, frammentario e convulso,dove ogni artista esprime se stesso e basta, piccoli grandi assoli, da Olafur Eliasson a Mona Hatoum, da Mariko Mori a Pascale Marthine Tayou. Anche in questo caso, tre sole le presenze italiane – quella delle romane Micol Assael e Bruna Esposito, a cui si aggiunge quella di Gianni Motti che lavora in coppia con lo svizzero Cristoph Buchel. Così se non saremo del tutto catapultati in una Biennale labirinto per un deragliamento dei sensi e dei confini, come fu due anni fa per l’edizione di Francesco Bonami, per certo le due signore spagnole dell’arte promettono un’esperienza debitamente spaesante, in cui a farla da padrone potrebbero essere proprio i padiglioni di paesi lontani, meno noti, come l’Iran, il Libano, L’Indonesia. Asia, Oriente, paesi arabi, in un vorticoso procedere di proposte.In tutto settanta paesi rappresentati, con trentuno allestimenti nei padiglioni dei Giardini, e quarantadue interventi a tappeto sulla città. E alcune importanti new entries come Afghanistan, Albania, Marocco. Inoltre, extra moenia, una decina di installazioni in roccaforti espositive disseminate nella laguna. Sulla riva antistante l’ingresso dei Giardini, la gigantesca opera di Fabrizio Plessi “Mare verticale”, sorta di totem high tech alto 44 metri di acciaio e alluminio, tenuto a battesimo nel 2000 ad Hannover.” Installazione che- così ha annunciato Croff - volerà in Cina nel 2006, in occasione dell’anno dell’Italia”. Nel frattempo, con piccola anticipazione quest’anno, la Cina comincia a allestire un padiglione all’Arsenale per gli anni a venire. Ed è questo un altro importante passaggio verso il futuro di una Biennale di Venezia sempre più allargata e internazionale. Sempre che nel prossimo futuro, invece, non prenda agio la contromanovra, del resto già annunciata: affidare la direzione unica per il 2007 a un critico poco sensibile ai nuovi linguaggi come l’americano Robert Storr e tornare nei confini di una Biennale super nostrana, quasi una monografica sull’Italia. “Abbiamo già individuato l’area all’Arsenale – ha detto Croff in conferenza stampa – lo spazio già esiste, ma deve essere allestito da un architetto che dobbiamo ancora designato”. Così in attesa di quella che potrebbe anche essere la Biennale del ritorno all’ordine, non resta che godersi la creatività imprevista di questa Biennale firmata da due ottime curatrici. “Una Biennale non femminista – promette Marìa de Corral – ma femminile, che lascia emergere le caratteristiche proprie delle donne. Che racconta territori dell’intimo, esperienze emozionali, espressioni di desideri, di fragilità e di tutto ciò che è pienamente emotivo”. Da spettatori speriamo che non restino solo promesse.