Revelli: così sbaglia, ha ignorato le ingiustizie
Alessandro Trocino
- Marco Revelli, bolognese, è condirettore della «Rivista Italiana di Scienza Politica», e professore di Scienza politica nell’Università di Bologna. Il suo libro più recente è «Il sistema politico italiano»
«Credo che a Bologna si scarichi lo stato di tensione che attraversa il centrosinistra. Ma ho anche l’impressione che molte cose non abbiano funzionato».
Quali?
«La candidatura, per esempio. Cofferati è arrivato a Bologna da paracadutista, in modo repentino, mentre seguiva tutt’altra parabola. Il suo atterraggio è parso casuale e sbagliato nei confronti del territorio».
Un vizio di origine, dunque?
«Sì, credo che questo pesi nel disagio attuale. Cofferati ha portato in una società aperta, capace di metabolizzare la trasgressione, uno stile di governo che sa d’importazione asburgica, da lombardo-veneto, con una logica a tratti molto sgradevole».
Per esempio?
«Penso alle ruspe nel campo Rom. Le cattive amministrazioni sono brave a mostrare i muscoli con i più deboli. E’ una spia della sordità burocratica alle emergenze umane. E poi gli arresti, anche se non sono di diretta responsabilità del sindaco».
Arresti illegittimi?
«Sono un eccesso repressivo, di fronte a un’esplicita pratica non violenta. Quei ragazzini hanno occupato un locale solo per fare fotocopie senza pagare: si mettono le manette a loro mentre in Italia dilagano pescecani e palesi forme di illegalità dei colletti bianchi».
La legalità, per il sindaco, è un valore di sinistra. Cremaschi (Cgil) parla invece di «legalità democratica».
«E’ un falso problema, tutti sono contro il disordine, forse persino i disobbedienti. Ma a sinistra la legalità non può essere separata da un’idea di giustizia sostanziale. Non si può parlare di legalità senza parlare di ingiustizie».
Bertinotti difende le occupazioni e le altre «pratiche sociali» illegali. Non è un ritorno al passato?
«No, non violenza non significa affatto conciliazione. Anche Capitini sosteneva le azioni illegali non violente: a condizione che chi le compie, se ne assuma poi tutta la responsabilità».
È giusto occupare dunque?
«Se sono edifici vuoti e in sfacelo, ci penserei dieci volte prima di mandare la forza pubblica. Piuttosto aprirei un dialogo. Cofferati non ha mantenuto le promesse elettorali di democrazia partecipativa. Stupisce come questo strumento di inclusione sia restato lettera morta. E’ un limite culturale grave. Cofferati rischia di amministrare dall’alto, con stile centralistico, come nella sua Cgil».
Dunque se l’aspettava?
«Sì. Come chiunque conosca il caso di Mario Agostinelli, il segretario lombardo rimosso con autoritarismo perché non in linea con lui».
Piazza Verdi, dicono in molti, è diventato luogo di spaccio e criminalità.
«Ma non si risolve niente con quella sorta di proibizionismo di quartiere che proibisce il consumo della birra in strada».
E il problema in giunta con Rifondazione?
«Non credo che la questione politica sia centrale. E’ piuttosto la crisi di un modo di amministrare. Certo, se questo è il modello per un futuro governo di centrosinistra, allora è davvero preoccupante».
ed ecco cosa ne dice Cofferati:
La Stampa 23 Maggio 2005
Cofferati: io sto dalla parte dei poliziotti
«I ragazzi arrestati dopo un'occupazione? La loro azione non era legittima. E poi sono stati commessi altri reati che vanno perseguiti. Mi schiero con i proprietari maltrattati e con gli agenti malmenati»
NON sappiamo se esiste un caso Bologna. Se non c'è, però, ci sarà. C'è un sindaco che va diritto per la sua strada, come un tedesco, altro che cinese: «C'è un programma. L'abbiamo fatto tutti insieme. Bisogna attenersi a quel programma». E basta. Il giorno dopo, Cofferati raddoppia. L'eco dei no global s'è stemperato. Quello delle polemiche no. Il sindaco dice che lui starà «sempre dalla parte dei poliziotti malmenati», che «i reati vanno puniti», che «a chi non vuole sentire parlare di legalità continuerò a ripeterlo fino alla noia», e soprattutto dice che «su questi temi nelle prossime settimane presenterò un ordine del giorno da discutere, valutare e votare. La giunta sarà quella che uscirà da quella discussione, da quella valutazione e da quel voto. Io non cambio programma, temo sia necessario stabilire un punto fermo sui punti controversi». E a chi non gli basta e gli chiede se questo significa che quelli che non saranno d'accordo dovranno uscire dalla maggioranza, risponde senza tentennamenti, un sorriso nella barba e gli occhi diritti: «Sì». Pausa, altro sorriso: «Vuole altre parole?». No, non ce n'è bisogno. Verdi e Rifondazione sono avvisati.
Fuori, nella piazza grande piena di sole, ci sono rimasti gli ultimi segni del corteo che doveva far tremare Cofferati e la sua giunta, e che invece si è consumato «nel rispetto della legalità», come chiedeva lui, il sindaco che doveva venire dal movimento e dai girotondi e che invece chissà dove va. Ci lascia pure un commento su Prodi e Rutelli, sull'Unione divisa, a noi che lo asfissiamo: «Credo che ci sia bisogno di una discussione esplicita e molto aperta, nel vasto schieramento del centrosinistra. Ritorno a una delle mie vecchie convinzioni. Prima, è necessario fare un programma, e poi concordare le forme e le modalità nella gestione, perché altrimenti rischiamo di non essere capiti. Se mi chiedi se è meglio stare insieme o separati, la risposta è persino ovvia. Però l'unità è fatta di aggregazione di cose. Per questo penso soprattutto che una discussione sul merito e sul programma da presentare, possa aiutare una discussione sul resto, sulle forme e gli schieramenti. Poi penso anche altro, ma non lo dico. Almeno oggi». E' solo una mezza risposta. Ma oggi si parla d'altro, e anche se non lo dice e non lo ammette, il cinese - o il tedesco? - si gode la sua vittoria.
Sindaco, facciamo un bilancio, tanto per cominciare. Come è andata?
Cofferati dice che è contento «per come si sono svolte le iniziative di ieri, in una città che ha rispettato chi manifestava, senza timori e senza interrompere la vita normale. Manifestare le proprie idee fa parte della democrazia, purché si rispetti gli altri».
E per quello che era successo prima, per i tre ragazzi arrestati dopo un'occupazione?
«Io ho il massimo rispetto dei magistrati e del loro lavoro. L'autonomia dei magistrati è uno dei pilastri della democrazia. Mai mi sono permesso di configurare anche solo uno sconfinamento di campo: e mai lo accetterei in senso inverso. Quindi non giudico. Posso solo commentare. I magistrati ipotizzano come aggravante un ipotetico disegno eversivo. Personalmente non credo che esista un rischio di questa natura, ma è solo una valutazione personale. Vorrei però che non si dimenticasse che questa aggravante si aggiunge a dei reati che nessuno degli arrestati e dei suoi avvocati ha mai smentito. Occupazione, e maltrattamento nei confronti dei proprietari e dei poliziotti. Ecco, vorrei che noi ci soffermassimo su questi reati. Credo che i reati vadano perseguiti. Chiariamo: il sindaco di Bologna sta con i proprietari maltrattati e con i poliziotti malmenati. A chi dice che l'occupazione è legittima dico che non è così. A chi non vuol sentire parlare di legalità continuerò a ripeterlo, perché nella mia città la legalità è coniugata alla solidarietà e alla giustizia, soprattutto nei confronti dei più deboli. Quando ci si trova di fronte a dei reati non è concesso a nessuno girare la testa dall'altra parte».
Gli chiedono un giudizio su Verdi e Rifondazione che avevano partecipato al corteo di sabato. E' l'unica volta che glissa: «Mi è parsa una manifestazione schizofrenica. La prima parte del corteo aveva come obiettivo la giunta e il sindaco. La seconda non era d'accordo». Come dire: non sappiamo dove stavano loro. «Poi non posso dire altro. Ognuno risponde come vuole ai suoi elettori».
Gli riportiamo una tesi di Luca Casarini, leader dei disobbedienti: Bologna è un laboratorio per il governo del futuro, con la Margherita che apre a destra e l'espulsione delle ali estreme di Rifondazione e dei movimenti.
Che ne pensa?
«Che sono fantasie. Penso che non ci sia nessun disegno, niente di tutte queste dietrologie assurde. Invece, la verità è un'altra, e non cerchiamo giustificazioni e spiegazioni che non esistono. Credo che occupare e picchiare proprietari e poliziotti sia considerato inaccettabile da parte di tutto il centro sinistra. Il resto sono solo fantasie».
A Roma un gruppo simile a quello di Bologna, fa iniziative assieme al sindaco Veltroni, che gli ha dato pure dei soldi. Perché questa differenza fra due sindaci di sinistra?
«Guardi, qui parliamo di una cosa ben precisa. Ci sono tre reati, lo ripeto. Non mi pare che a Roma sia capitata la stessa cosa. Se succedesse, non so come si comporterebbe il sindaco. Quindi non sono in grado di rispondere».
Ma se si trattasse solo di occupazione, aprirebbe una discussione con loro?
«No. Considero l'occupazione una cosa sbagliata. Io sono contrario. Sia chiaro che se ci sono persone in lista d'attesa, che aspettano la casa da tantissimo tempo, quelli sono i legittimi assegnatari. Non possiamo imporre di mandare nelle case chi piace a noi, superando i tempi e i diritti».
Ma non ha paura di dare di sé l'immagine di una figura autoritaria?
«Non mi pare che il sindaco abbia promosso azioni antilibertarie. Ho insultato qualcuno? Ho preparato leggi repressive? Ho picchiato qualcuno? Le mie porte sono sempre aperte. Adesso è singolare questa cosa. La destra diventa paladina dell'estrema sinistra e mi accusa di essere autoritario».
Forse è l'immagine che dà. Per esempio, durante la trattativa con i dipendenti...
«Ma quella trattativa si è aperta e chiusa in due giorni. C'era un accordo senza copertura, e io non potevo fare altrimenti. E alla fine tutti hanno capito».
Prendiamola da un altro punto di vista: Bologna è il modello del futuro governo di centrosinistra?
«Sono il sindaco di Bologna. Lontano da me l'idea di fare qualcosa a Bologna per influenzare Roma. Non mi sentirete mai utilizzare la parola laboratorio. Non siamo il luogo di nessuna sperimentazione».
Ma durante tutta questa polemica ha avvertito una scarsa solidarietà da parte del centrosinistra?
«No. Non mi sembra. E' una sua sensazione. Io ce n'ho un'altra. No, non sono mai stato solo».
Chiude così, il giorno dopo. L'ultimo sorriso quando uno gli chiede se non ha mai partecipato come sindacalista a un'azione illegale tipo picchetto. «Guardi che il picchetto non è un reato». Ma come? Mai ricevuta una denuncia? «No. E' grave? Devo tornare indietro? Se la cosa le dispiace, non so che farci. Ho mai fatto galera. Per lei vuol dire che ho fatto male il sindacalista? La verità è che il rispetto degli altri nelle lotte sindacali è sempre stato alla base di qualsiasi rapporto. Cominciamo a sfatare delle leggende». Cominciamo.