L'Unità 19 Maggio 2005
Astensione non fa rima con Costituzione
Anticipazione da Critica liberale n.114
Silvio Basile
Per essermi occupato per più di cinquant'anni di diritto pubblico, con particolare interesse per il diritto costituzionale comparato, credo di poter esprimere un'opinione non improvvisata sull'astensionismo organizzato allo scopo di far fallire un referendum.
Prima di tutto, non è una sottigliezza da giurista porsi la questione in questi termini: astenersi nel referendum, come del resto nelle elezioni, di sicuro è “lecito”, perché oggi come oggi non comporta nessun tipo di sanzione; ma con ciò è pienamente “legittimo” sul piano costituzionale? “Liceità”, cioè assenza di sanzione, è una cosa, “legittimità”, cioè presenza di esplicita tutela giuridica, è un'altra. In senso proprio, astenersi, sul piano costituzionale, non è pienamente “legittimo”, quanto meno perché, nella Costituzione, non solo nulla vieta, ma qualcosa implica che sia introdotta una qualche conseguenza giuridica (sia pure sicuramente non una sanzione penale) nei confronti di chi di proposito e ingiustificatamente non si reca alle urne. La Costituzione, infatti, non solo considera il voto un diritto, ma ne qualifica anche l'esercizio come un “dovere civico” (art. 48, 2° comma) e non distingue, sotto questo profilo, voto nelle elezioni da voto nel referendum. Nulla esclude sul piano costituzionale, faccio per dire, che la legge indichi nell'astensione ingiustificata un caso di “indegnità morale” (con gli effetti di cui all'art. 48, 3° comma).
D'altra parte, non andare a votare per ignavia o per disinteresse non è sicuramente la stessa cosa che organizzare la diserzione dalle urne al preciso scopo di mandare a vuoto una consultazione popolare. In quest'ultimo caso, si delegittima la partecipazione democratica, si “invita” sostanzialmente a votare “no” al quesito in modo palese (che nel paese delle mafie di cosca e di sottogoverno non è poi tanto poco) e si vanifica il funzionamento di un istituto che, fra l'altro, è anche costoso per l'erario. E, oggi come oggi, lo si fa senza assumersi nessuna responsabilità. Lo si faccia almeno, come sembra più che giusto, pagandone integralmente le spese, che gravano altrimenti sulle tasche di tutti i cittadini, ivi compresi quelli che compiono il loro “dovere civico”. Che senso ha altrimenti il considerare l'esercizio del voto come “dovere civico”?
E non basta: altro è organizzare da privato cittadino l'astensionismo, altro è organizzarlo da una carica pubblica. Questo è, per lo meno, scorretto. E se la carica pubblica è una di quelle che dovrebbero garantire soltanto il regolare funzionamento delle istituzioni, la scorrettezza è semplicemente scandalosa. Il riferimento a Pier Ferdinando Casini è, ovviamente, intenzionale.
Con riguardo poi agli argomenti usati dai fautori dell'astensionismo, è di sicuro una madornale sciocchezza asserire che siccome ha previsto il quorum, la Costituzione considera pienamente legittimo l'astensionismo nel referendum abrogativo. Ne deriverebbe, ragionando in coerenza con queste premesse, che, siccome non l'ha previsto anche per altri tipi di referendum, la Costituzione lo considera pienamente illegittimo e magari che autorizza la legge a considerarlo anche penalmente illecito nel referendum costituzionale. Che dicano certe cose le stesse persone che nel caso dell'ultimo referendum costituzionale fecero di tutto per non far sapere neppure che ci sarebbe stato, fa semplicemente ridere.
È vero che il sistema del quorum rende in concreto praticabile l'organizzazione dell'astensionismo nei referendum da parte di chi, altrimenti, ha fondato motivo di perdere. Ma questo significa solo che il sistema del quorum, introdotto dichiaratamente per altri motivi, è inopportuno, perché rischia di funzionare precisamente contro i motivi dichiarati in assemblea. I nostri costituenti, notoriamente, lo copiarono dalla Costituzione di Weimar, dove funzionò in modo pessimo, contribuendo non poco a favorire la delegittimazione di tutti gli istituti democratici fino alla “resistibile ascesa” di Hitler. È questo l'ideale di chi organizza l'astensionismo?
Con riguardo ai motivi che alla Costituente furono dichiarati (messi bene in rilievo da Michele Ainis in un articolo che gli ha procurato attacchi ingiustificati e volgari), il diritto costituzionale comparato offre modelli ben più adeguati. In particolare, il modello danese potrebbe essere utilmente imitato: quella Costituzione, con un sistema che, fra l'altro, invoglia tutti alla partecipazione piuttosto che all'astensione, esige che la maggioranza dei voti nel referendum sia almeno pari a un terzo del corpo elettorale. Probabilmente i nostri costituenti, attraverso il sistema infelice del quorum, pensavano in realtà ad almeno un voto in più di un quarto. Ebbene, lo si potrebbe utilmente stabilire in una revisione costituzionale, di sicuro molto più opportuna di quella, pessima, che si vuole ora introdurre a colpi di maggioranza blindata.
Il sistema del quorum, sarà bene notarlo come non mi risulta sia stato mai fatto, non lo garantisce per niente. A seconda di quanti non si recano neppure alle urne e di quanti vi si recano per lasciarvi scheda bianca o voto nullo, con il sistema dell'art. 75, può andare a vuoto un referendum con una proposta approvata, al limite, dal 100% dei voti validamente espressi ma “solo” dal 50% dell'intero corpo elettorale (la cui maggioranza è costituita dal 50% più uno!), mentre, fra un gran numero di schede nulle o bianche, potrebbe essere validamente abrogata una legge con una esigua maggioranza di voti validamente espressi anche molto inferiore al 25% del corpo elettorale.
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