giovedì 19 maggio 2005

libri

repubblica.it 19 maggio 2005
Bush, neocon e politica di dominio nel saggio dell'intellettuale del dissenso
Escono anche due saggi sul secolo cinese e la fuga in avanti del dragone
Libri, il nuovo j'accuse di Chomsky
"L'America imperiale e bugiarda"
Tra le novità l'Afghanistan del Grande gioco
di DARIO OLIVERO

Noam Chomsky
L'IMPERO AMERICANO
I libri di Chomsky sono una continua ricapitolazione. Ogni nuova uscita è un "dove eravamo rimasti?" Non fa eccezione questo Egemonia o sopravvivenza. Sottotitolo: I rischi del dominio globale americano (tr. it. B. Tortorella, Tropea, 18 euro). La tesi: l'inquilino della Casa Bianca e la sua amministrazione nascondono dietro la campagna per la libertà, la lotta al terrorismo e l'esportazione della democrazia un disegno di dominio imperiale globale seguito naturale della dottrina Usa da Wilson a Reagan. Per fare questo il governo ha bisogno di costruire una macchina di propaganda che convinca l'opinione pubblica e la tenga sotto controllo. Così come ha bisogno di nemici deboli e stremati ai quali dichiarare guerra e vincerla. Obiettivi arbitrari scelti con menzogne storiche come la falsa connection tra Bin Laden e Saddam o i mai trovati laboratori segreti delle armi di distruzione di massa irachene. In questo modo la dottrina americana obbliga il resto del mondo a difendersi dall'ingerenza Usa con una continua corsa agli armamenti nucleari. L'ordine mondiale si fonda sul terrore, la sopravvivenza del pianeta è oggettivamente a rischio a causa del vero e grande fattore destabilizzante che è quello che molti considerano ancora il garante della libertà.

L'IMPERO CINESE
I cinesi sanno bene che il cielo tratta gli uomini come cani di paglia. Prima venerati per la grande festa sacrificale, poi bruciati e calpestati. E sanno che il punto di vista che devono avere gli uomini e in particolare gli imperatori è la calma indifferenza del cielo. In due libri si possono cogliere questi lanci in avanti di un colosso che non è solo economico ma che scandisce la sua storia in ere incompatibili con i nostri anni.
Il primo è Il secolo cinese di Federico Rampini, corrispondente di Repubblica (Mondadori, 15). E' una raccolta di storie che portano tutte verso un'unica direzione, la fuga in avanti appunto. Emblematica quella di Hu Jintao, l'ultimo grande timoniere in ordine di tempo. Hu non può dimenticare quanto subì il padre piccolo commerciante condannato dal furore della Rivoluzione culturale. Non può dimenticare il dolore né l'umiliazione di non averne potuto riscattare il ricordo. Emblematiche quelle dei cineasti che combattono la censura, degli studiosi che riscrivono la storia del mondo a cominciare dal primo vero scopritore dell'America, un cinese, dei contadini di villaggi sperduti ancora manodopera solo potenziale della locomotiva, delle lingue perdute, delle comunità isolate, della bellezza di Hong Kong e della sua dolorosa metamorfosi da locomotiva del capitalismo a laboratorio del modello cinese. Storie da basso impero, da cani di paglia che attendono il passare del tempo.
Il secondo è La sfida cinese a cura di Claudio Dematté e Fabrizio Perretti (Laterza,19). Il discorso qui è più diacronico: è un'analisi dell'impatto dell'economia cinese sul mercato internazionale ma soprattutto il contraccolpo su quello italiano e sul suo sistema d'impresa. La sfida ha dimensioni da allarme rosso: salario tredici volte inferiore rispetto a quello tedesco, dodici volte rispetto a quello statunitense e nove volte rispetto a quello italiano. Questo porta contrazione e migrazione di attività produttive dai paesi sviluppati in Cina, con evidenti effetti a breve termine sulla manodopera del paese d'origine e nel peggiore dei casi la scomparsa di interi settori produttivi. La fuga in avanti è il sistema di crescita adottato dal dragone e ci vorrà tempo per cogliere segnali di frenata.

AFGHANISTAN
Tornato drammaticamente nel cono di luce dell'opinione pubblica italiana, l'Afghanistan è e sarà anche nel prossimo secolo uno degli scacchieri strategici più importanti di quello che Kipling chiamò il Grande gioco. Due libri per non dimenticarlo.
Un giorno William Trevor Vollmann comprò una macchina fotografica, tre obiettivi e 40 rullini e partì per l'Afghanistan invaso dall'Unione Sovietica. Continuo a non capire perché vuoi andare in Afghanistan - chiese suo padre - Immagino che non lo capirò mai. "In verità era molto semplice. Volevo solo comprendere cosa era successo lì. Poi mi sarei messo al servizio di qualcuno. Intendevo essere buono, ed ero pronto a fare del bene". Voleva dare una mano. Finì che tra Pakistan, Afghanistan e le distese del Grande gioco passò anni interi riempiendo taccuini di impressioni, incontri, disegni, nomadi, cinesi, prostitute orientali, mendicanti, guerriglieri islamici. Gli appunti incominciano con un ragazzo americano disorientato, con la paura per un mondo sconosciuto e finiscono con un guscio che si scioglie nella grande impresa. Non salvare il mondo come il ragazzo si proponeva, ma, cosa ancora più difficile, guardarlo, raccontarlo, soffrire e e gioire della sua imperfezione. Il ibro si intitola Afghanistan Picture Show (tr. it. M. Birattari, Alet, 18).
Mentre Vollmann attraversava la frontiera di Peshawar, dall'altra parte del mondo e al riparo delle spesse mura delle commissioni parlamentari, il deputato texano Charlie Wilson coltivava la stessa ossessione per l'Afghanistan. Solo che Wilson sapeva bene come rendersi utile e cosa fare per contrastare l'invasione sovietica del 1979. Così avvenne quello che molti non sanno. L'oscuro deputato lavorò per tessere le fila attraverso gli schieramenti politici, creò un ponte di alleanze solidissimo che permise il travaso di finanziamenti occulti ai mujahiddin, mise le tende alla Cia e le sue arti diplomatiche persuasero una volta per tutte l'agenzia a puntare su quella partita, convinse il Pakistan a chiudere un occhio sui passaggi di armi che transitavano verso la guerriglia. Finì come sappiamo. Mentre Vollmann falliva e non riusciva a cambiare il mondo, Wilson portava a casa il più grande successo della Guerra fredda. Mentre Vollmann scriveva pagine memorabili che già indicavano quello che sarebbe accaduto, Wilson poneva le basi della tragedia afgana quando, estromessa l'ingerenza russa, il paese diventò prima teatro di una guerra civile poi dittatura della sharìa e arena di addestramento dei terroristi. Infine, zona strategica bombardata per importare democrazia ed esportare petrolio. Il libro si intitola Il nemico del mio nemico. La guerra segreta del deputato Wilson (tr. it. A. Magagnino, il Saggiatore, 22).