lunedì 9 maggio 2005

via dall'Iraq

L'Unità 8 Maggio 2005
«La posizione del ritiro non è stata inventata da Bertinotti o Diliberto, i membri della Coalizione stanno cercando una via d’uscita»
«Tutti fuggono dall’Iraq, l’Italia non può restare»
Toni Fontana, colloquio con Claudio Rinaldi

ROMA «La situazione in Iraq sta tragicamente peggiorando, le forze della Coalizione si sono infilate in un vicolo cieco, quella del ritiro non è una posizione propria solo della sinistra radicale italiana, ma di molti paesi alleati di Bush, che stanno richiamando i loro soldati». È l’opinione di Claudio Rinaldi, editorialista, già direttore dell’Espresso e di Panorama.
Dall’Iraq arrivano notizie di spaventose stragi...
«La situazione è disastrosa, l’assenza di sicurezza totale, le uccisioni si susseguono. La vita quotidiana di tutti gli iracheni, non solo quelli minacciati dagli attentati, è peggiorata rispetto al passato: la produzione di petrolio è si è ridotta, l’erogazione dell’energia elettrica è frammentaria e manca anche l’acqua. Secondo un sondaggio pubblicato dall’Economist il 38% degli iracheni ritiene che la situazione è peggiorata rispetto ai tre anni fa quando Saddam era ancora al potere. Il processo politico che è stato avviato è molto lento e dagli esiti dubbi. Vedendo gli iracheni in fila per votare ci siamo commossi e abbiamo pensato che fosse iniziata una svolta epocale, ma la situazione appare in realtà molto più complicata».
Il processo di transizione è incerto ed il voto ha tracciato i confini tra le comunità irachene, ma, tra enormi difficoltà, sono stati indicati presidente e premier ed è stato formato un governo...
«Ciò è vero, ma non si può dimenticare che le autorità religiose sciite, avevano emesso precise direttive per spingere la popolazione a votare, mentre le autorità sunnite hanno invitato gli elettori a disertare i seggi e ciò è accaduto in alcune zone. La prospettiva dell’inserimento dei sunniti nel processo politico, anche dopo l’assegnazione di alcuni ministeri, ancora non si intravede. Vi è il rischio che l’incomunicabilità tra queste due confessioni diventi “cronica”. Per giungere alla democrazia, o perlomeno a qualcosa che assomigli alla democrazia, occorre ancora fare enormi passa in avanti».
Non appare tuttavia assolutamente realistico prevedere che, nel breve periodo, l’Onu assuma maggiori responsabilità...
«Ciò è vero, chi dice questo si affida ad una vaga speranza. L’Onu non può essere un embrione di governo mondiale, per i limiti che le Nazioni Unite scontano nella gestione politica. Pensare che l’Onu possa riuscire dove ha fallito la Coalizione è irrealistico».
E quindi su quali ipotesi è invece realistico discutere?
«Alla sinistra radicale viene attribuita una posizione che si può riassumere così: “ritiriamoci subito dall’Iraq” come se solo Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio la pensassero in questo modo. Non è così: il ritiro strisciante è in corso da tempo, molti paesi hanno richiamato o deciso di richiamare le loro truppe, mi riferisco al Giappone e alla Bulgaria, e prima ancora alla Polonia, all’Olanda, alla Danimarca, al Portogallo. Questi paesi, alleati degli Usa, hanno ritenuto inutile, sotto il profilo del rapporto costi-benefici, rimanere li. Il ritiro, in realtà, è in atto da tempo. Washington non è in grado di aumentare il corpo di spedizione per imporre “manu militari” l’ordine a Baghdad anche perché negli Stati Uniti cresce la difficoltà di reclutamento. Il prossimo anno, con l’avvicinarsi delle elezioni di medio termine, Bush inizierà a suonare la ritirata, pur affermando il contrario, s’inventerà che il governo iracheno ha ripreso in mano la situazione. Alcuni esponenti del governo di Baghdad ipotizzano il ritiro delle forze internazionali entro il prossimo anno e tutti i gruppi politici e religiosi, pur esprimendo posizioni diverse, vogliono il progressivo ritiro degli stranieri».
Quindi secondo lei la scelta giusta è quella di andar via dall’Iraq?
«Restando li ora e in questo modo non si “guadagna” nulla. Quale senso ha restare ad oltranza? È poco dignitoso, da parte di Berlusconi, sostenere che resteremo fino a quando ce lo chiederà Baghdad; la presenza del nostro contingente non può essere assoggettata alla volontà di un governo esterno, anche se a Baghdad si è insediato un governo “amico”. Si va insomma avanti alla cieca».
Abbandonare il paese potrebbe aprire la strada alla guerra civile?
«Nessuno può escludere che la situazione irachena degeneri e scoppi la guerra civile, però è difficile dimostrare che, adesso, la presenza della Coalizione aiuti invece a mantenere l’ordine. Fino a pochi mesi le fonti militari a Nassiriya emanavano bollettini nei quali si parlava di ritrovamenti di armi, arresti di sospetti terroristi, ora non c’è più nulla di nulla. I militari stranieri, anche quelli americani passano gran parte del loro tempo consegnati negli accampamenti. Si tratta dunque realisticamente di salvare la faccia, la situazione potrebbe degenerare in un “nuovo Vietnam”. Anche Bush e Berlusconi stanno in realtà cercando una via d’uscita.
A fine anno scade il mandato concesso dall’Onu alla forza multinazionale, non a caso paesi come la Polonia hanno annunciato il ritiro per quella data. Al tempo stesso occorre fare ogni sforzo per valorizzare le istituzioni sorte in Iraq e per addestrare le forze di sicurezza locali. A chi teme che, se gli stranieri partiranno, scoppierà la guerra civile vorrei ricordare che vi sono stati due anni di occupazione ed ora si constata che la situazione si sta drammaticamente aggravando; la Coalizione si è cacciata in un vicolo cieco e quindi è opportuno chiudere questa pagina il prima possibile».