mercoledì 15 giugno 2005

Carlo Flamigni

L'Unità 15 Giugno 2005
L’amarezza di Flamigni: «Non ci siamo fatti capire»
Il padre della fecondazione: «Ma sul fallimento del quorum clima da caccia alle streghe e ingerenza del Vaticano»
di Maria Zegarelli

«UNA SCIENZA COSÌ FA PAURA anche a me». Post-accademica, non disinteressata, «l’unica che sta avendo spazio in questo paese». Carlo Flamigni, «padre» storico dei primi bambini in provetta è amareggiato per l’esito dei referendum. Triste perché guarda con preoccupazione alla poca trasparenza e alla lontananza dalla società della scienza. Né ci sta all’idea di un pericolo che arriva dalla ricerca come hanno fatto credere gli astensionisti. E poi quel risultato...
Professore, se lo immaginava un esito così disastroso?
«La domanda è complicata. Un anno fa ho pubblicato un articolo sulla rivista di Magistratura democratica con il quale dicevo “per carità, non andiamo al referendum”, perché avevo in mente la disaffezione fondamentale dei cittadini per questo istituto. Poi, il partito, i Ds, ha detto sì a questa battaglia, mi sono appassionato e ho ragionato poco sui risultati. Mi aspettavo, però, che il risultato reale fosse almeno coincidente con quello che veniva pronosticato dalle indagini, che indicavano il quorum tra il 40 e il 38%. Sono molto stupito di questo errore grossolano. Non è mai successo prima: la differenza tra le previsioni e i risultati stavolta è del 15%, roba da matti».
Sia i partiti sia i sondaggisti hanno perso ogni contatto con il Paese. Che cosa è successo?
«È vero, non si è capito cosa stava realmente accadendo nel paese. Intanto il referendum che non piace a nessuno e poi non siamo riusciti a far passare l’idea fondamentale: la compassione nei confronti della sofferenza, non se due cellule sono una persona. La compassione nei confronti della sofferenza è l’unica cosa importante, che fa di noi degli esseri civili e della nostra società una società umanamente accettabile. Siamo stati, invece, martorizzati dal clima che si è creato: fandonie, aggressioni, ingiurie. L’altro giorno hanno scritto fuori dal mio studio “stregone”».
«Soltanto» questa scritta?
«No, ci sono state anche telefonate minatorie e cariche di insulti, da parte di gente che si è eccitata con il clima che c’era».
Anche Giuliano Ferrara l’ha più volte chiamata in causa...
«Ferrara mi dà sempre la sensazione di un uomo che vive nella sofferenza. Non me la prendo con lui, soltanto vorrei che chi fa le marce della maledizione sapesse che la gente che si mette in colonna dietro non si scioglie più e poi finisce come negli Usa dove si sparava sugli abortisti».
Non crede che ci sia stato anche un difetto di comunicazione con la gente comune?
«Intanto c’è stato il ritardo notevole da parte dei partiti, anche se i Ds negli ultimi tempi hanno combattuto con grande passione. Poi, c’è stata certamente una comunicazione collettivamente esecrabile. Porta a Porta ne è un esempio: il conduttore si divertiva a vedere il casino che si creava da solo. Non l’ha mai fatto, Vespa quando vuole rendere le cose chiare ci riesce. È triste dover immaginare che la tv, che incontra dieci milioni di persone con una buona trasmissione, non sia riuscita a fare informazione. Alla fine, se la gente non capisce prevale questa sensazione di egoismo. Se non hai tua sorella sterile, tuo padre malato di Alzheimer, non ti senti coinvolto».
Ha fatto autocritica?
«Su un problema come questo si doveva mobilitare la società. Questo mi fa pensare che io e le persone come me abbiamo sbagliato nell’appello, non abbiamo saputo usare i toni giusti. Credo che ne esce sconfitta soprattutto la scienza, rappresentata come inaffidabile, da tenere sotto controllo».
E invece?
«Credo che la scienza sia un grande investimento sociale e che lo scienziato debba alla società una serie di attenzioni - dal comunitarismo allo scienticismo organizzato, la trasparenza e la sincerità - che fanno di lui una persona affidabile».
La Chiesa ne esce fortissima.
«Credo che il Vaticano e il Magistero abbiano fatto politica. E questo mi dispiace. Un conto è dare indicazioni ai fedeli, un conto è intervenire con pesantezza su problemi che riguardano lo Stato. La Chiesa dovrebbe riprendersi l’antica libertà. Laicità non vuol dire più spazio per le religioni, come sostiene Ruini, ma spazio per tutti, dove nessuno può prevaricare sugli altri. E io mi sento prevaricato».