mercoledì 22 giugno 2005

Poincaré e Einstein

La Stampa TuttoScienze 22.6.05
LA STORIA DI DUE GENI CHE SI IGNORARONO A VICENDA
Francesco De Pretis

IL giugno 1905 probabilmente dal punto di vista scientifico è stato il mese più fecondo: il matematico francese Jules Henri Poincaré presentava il 5 giugno all'Accademia delle Scienze di Parigi una nota di quattro pagine, intitolata "Sur la dynamique de l'électron"; il 30 giugno un allora sconosciuto impiegato dell'ufficio brevetti di Berna di nome Albert Einstein, vedeva pubblicato sui prestigiosi "Annalen der Physiks" un articolo dal nome "Zur Elektrodynamik bewegter Körper". Con questi due scritti ebbero finalmente risposta gli interrogativi sorti più di trent'anni prima, all'indomani dell'apparizione dell'opera di Maxwell, che avevano tolto il sonno a molti uomini di scienza. Nel 1873 il fisico scozzese James Clerk Maxwell, riassumendo gli studi compiuti durante tutto l'arco del XIX secolo, aveva esposto un modello matematico - quattro celebri equazioni - che forniva una corretta spiegazione delle interazioni elettromagnetiche fra corpi. Contrariamente alla concezione della meccanica newtoniana, queste equazioni però introducevano il concetto di invarianza rispetto al sistema di riferimento scelto, dal quale discendeva la costanza della velocità della luce per ogni possibile osservatore: un'affermazione non di poco conto, che faceva andare letteralmente in frantumi le fondamenta concettuali della fisica classica, destando sgomento nel mondo scientifico del tempo. Maxwell stesso, conscio dello sconvolgimento epocale sollevato dal proprio lavoro, cercò subito una soluzione, rifacendosi al concetto di etere, un ipotetico mezzo imponderabile, elastico e trasparente che si supponeva riempire l'universo per poter così spiegare le modalità di trasmissione delle onde elettro-magnetiche e l'interazione di forze a distanza. Conferme sperimentali sull'esistenza dell'etere però non arrivarono, anzi un famoso esperimento (1881-1887) dovuto ai fisici Michelson e Morley riconobbe valida l'assunzione di costanza della velocità della luce, che risultò non essere influenzata dal «vento dell'etere»: le conclusioni a cui erano pervenuti i due scienziati statunitensi scatenarono nuovi dibattiti e congetture. Per rendere ragione all'esperimento di Michelson-Morley, il fisico irlandese George Fitzgerald ipotizzò nel 1889 che le lunghezze di corpi che si muovessero a velocità prossima a quella della luce, si dovessero accorciare. Hendrik Lorentz, geniale fisico olandese, arrivò nel 1892 allo stesso risultato, che prese il nome di contrazione di Fitzgerald-Lorentz. Continuando su questo filone di ricerca, un altro fisico irlandese, Joseph Larmor, e poi lo stesso Lorentz (1899), scrissero una serie di equazioni, oggi note come trasformazioni di Lorentz, che sostituivano le trasformazioni galileiane della fisica classica: da esse risultava l'invarianza della velocità della luce per ogni sistema di riferimento possibile, ma anche - fatto del tutto rivoluzionario - uno sfasamento temporale fra due sistemi di riferimento in moto uno rispetto all'altro. Proprio partendo dal carattere non più assoluto del tempo, ecco inserirsi sulla scena la riflessione di Poincaré: un anno prima, veniva pubblicato "La mésure du temps" (1898), uno scritto nel quale lo scienziato francese meditava sull'impossibilità della simultaneità temporale di due eventi. Nel 1900, al Congresso di Parigi, Poincaré tenne la celebre "Conférence sur l'existence de l'éther", nella quale pose una sistematica e decisa critica al concetto di etere di Maxwell e nel 1904, alla conferenza di Saint-Luis (USA), propose un problema relativistico nuovamente legato al tempo, oggi conosciuto come paradosso degli orologi. Profondo conoscitore della fisica classica, Poincaré era convinto della sostanziale veridicità del principio di relatività galileiana, cioè dell'impossibilità di dimostrare il moto assoluto. Così, nello scritto del 5 giugno 1905, partendo dall’impossibilità di dimostrare il moto assoluto, riprese le riflessioni di Lorentz e mostrò che le sue trasformazioni formavano un gruppo assieme con le rotazioni, da esse dedusse la contrazione delle lunghezze e osservò acutamente che anche la legge di gravitazione universale doveva essere ripensata se le onde gravitazionali si propagavano alla velocità della luce. Questo testo fu poi ampliato da Poincaré e inviato ai "Rendiconti del circolo matematico di Palermo" (23 luglio), un periodico siciliano di scienza, il cui direttore, amico di Poincaré, pubblicò lo scritto nel gennaio del 1906. Il 30 giugno 1905 apparve il testo di Einstein, il quale, partendo da due postulati iniziali (principio di relatività galileiana e invarianza della velocità della luce in ogni sistema di riferimento), desumeva le trasformazioni di Lorentz e perveniva ai medesimi risultati ottenuti da Poincaré: questo scritto ha l'indubbio pregio di grande una chiarezza e semplicità, e di completare coerentemente il quadro di fondazione della nuova meccanica relativistica. Così pochi giorni fra due pubblicazioni di tale portata storica potrebbero stupire ma la simultaneità nella storia della scienza non è poi tanto rara: Newton e Leibniz elaborarono indipendentemente il calcolo infinitesimale verso la fine del XVII secolo, Bolyai, Gauss e Lobatchevsky contribuirono alla nascita delle geometrie non euclidee negli stessi anni del XIX secolo, ciascuno - almeno inizialmente - all'insaputa degli altri. Al di là di sterili polemiche sulla paternità della Relatività ristretta (fu un mutuo concorso fra Lorentz, Poincaré ed Einstein), il nome di Einstein fu legato indissolubilmente alla teoria della Relatività piuttosto per i lavori che il fisico tedesco produsse dopo (per essi fu decisivo l'incontro con Minkowski e l'italiano Ricci Curbastro); a lui va il merito - nel 1916 - di aver esteso la meccanica relativistica anche ai sistemi non inerziali e di aver compreso che sotto di essa vi è qualcosa di molto più complesso, un impianto teorico che si basa sulla geometria dello spazio e del tempo, una geometria dell'universo che Einstein individuò nel modello di spazio curvo di Riemann. Nonostante sia Poincaré che Einstein fossero giunti ai medesimi risultati, la reazione di entrambi sfociò in una sorta di dignitosa indifferenza: il nome di Poincaré appare solo una volta negli scritti di Einstein, quello di Einstein mai nelle carte di Poincaré, che nel 1912 morì improvvisamente. Questa freddezza fra i padri della Relatività ristretta ebbe però una infelice conclusione: Lorentz, amico di vecchia data di Poincaré, nella commissione scientifica per il Nobel del 1921, fece assegnare il prestigioso premio ad Einstein ma solo per lo scritto del 1905 legato allo studio sull’effetto foto-elettrico: un lavoro sì di grande importanza ma non rivoluzionario come la Relatività.