martedì 27 maggio 2003

depressione «post partum»

Il Mattino di Padova 27.5.03
Lo psichiatra Luigi Pavan
«Ne soffrono tutte le mamme ma spesso nessuno le capisce»
L'analisi dello specialista
Simonetta Zanetti

PADOVA. Si manifesta con debolezza, insonnia, disinteresse per la realtà, ma soprattutto con quei pianti troppo spesso sottovalutati, se non addirittura derisi. In una puerpera questi sono i segnali inequivocabili della depressione «post partum», un problema clinico reale che troppo spesso le convinzioni popolari relegano tra i capricci delle neomadri, da curare con buone dosi di tolleranza e sorrisi di circostanza. Dietro a questi sintomi c'è invece il malessere reale di una persona soggetta a mutazioni psico-fisiche continue, che causano un vortice di problematiche sia a livello mentale che biologico: «Dal punto di vista prettamente fisico, il corpo di una donna che ha appena partorito si trova coinvolto in una trasformazione in cui gli ormoni sono alla ricerca di un nuovo assetto. Parallelamente inoltre la donna passa da uno stato di pienezza e soddisfazione a una sensazione di separazione e perdita» spiega il professor Luigi Pavan, direttore della Clinica psichiatrica dell'Azienda ospedaliera, nonché presidente dell'Associazione italiana per lo studio e la prevenzione del suicidio, secondo il quale l'80% dei gesti estremi coinvolge persone che soffrono o hanno sofferto di depressione.
Sebbene quindi secondo l'opinione comune per una donna il massimo del benessere si verifichi nell'incontro tra madre e figlio, diversamente a livello psico-fisico il parto per la puerpera segna un momento di distacco, che nelle primipare è ancora più doloroso rispetto alle donne che hanno già avuto un figlio: «La depressione post partum è un problema culturale, poiché sia la gente comune che i medici sono portati a stigmatizzarne i sintomi, sottovalutando disagi reali che richiedono invece una grande sensibilità nell'approccio» prosegue lo specialista. In realtà infatti tutte le neo mamme nei primi sei mesi dopo il parto soffrono di depressione, che può essere più o meno accentuata: «In certe situazioni bisogna prestare grande attenzione alle sfumature, poiché a volte intervenire quando il problema è conclamato può essere troppo tardi - sottolinea il professor Pavan - Quando si assiste a un cambiamento della personalità, è necessario rivolgersi immediatamente al medico di base o, se la situazione appare particolarmente compromessa, direttamente allo psichiatra. A quel punto noi interveniamo con un approccio che è al tempo stesso ambientale, psicologico e medico, che può contemplare anche un trattamento farmacologico. Solitamente il primo passo è quello di sospendere l'allattamento, per deresponsabilizzare la madre». Tuttavia, di fronte a una malattia subdola, anche il tentativo di alleggerire la puerpera dalle proprie responsabilità può rivelarsi un'arma a doppio taglio: «La maggior parte delle donne che non allattano il figlio sono portate a sentirsi in colpa nei confronti del piccolo. Inoltre alcune di loro mascherano consapevolmente il malessere, proprio per non essere considerate persone deboli» commenta il medico, ancora sconcertato per le modalità con cui la giovane madre di Carmignano si è tolta la vita: «Solitamente le donne per suicidarsi prediligono l'overdose di farmaci e l'annegamento, mentre il darsi fuoco è caratteristico del suicidio simbolico tipico della protesta politica - conclude il professor Pavan - Almeno, diversamente da come avviene nella maggior parte delle tragedie di questo tipo, la madre non ha scelto la formula dell'omicidio-suicidio, laddove molte donne uccidono il figlioletto per salvarlo da quella stessa sofferenza che loro provano».