martedì 27 maggio 2003

il manifesto sulla riforma della 180

il manifesto 27.5.03
Ma la 180 è davvero già finita?
RIFORMA DELLA PSICHIATRIA - INCHIESTA Il progetto di controriforma che avrebbe dovuto smantellare la 180 è fermo e trova sempre meno sostenitori, anche dentro la maggioranza di governo. Il suo obiettivo, garantire ai privati una fonte di profitto con soldi pubblici a spese dei malati, è impresentabile
M. Grazia Giannichedda

Dati i dissensi interni, l'impopolarità e le disavventure parlamentari di questi due anni di vita, si potrebbe credere destinato all'oblio il disegno di legge n.174 del 30 maggio 2001, di cui la deputata di Forza Italia Maria Burani Procaccini è sola firmataria, nato con l'intento di smantellare l'impianto della legge 180 come neppure i progetti degli anni `80 avevano pensato di fare. «La legge che nessuno vuole», la definisce Ernesto Muggia, presidente della Unasam, la più grossa rete di associazioni di familiari che fin dall'inizio si è mobilitata per contrastarla. E in effetti questo sembra essere vero, se mettiamo una dietro l'altra le ripetute opposizioni della Società italiana di psichiatria, che raccoglie la gran maggioranza degli psichiatri, della Caritas e persino della Conferenza episcopale italiana, oltre che di Psichiatria democratica, della Cgil, di Cittadinanzattiva, dell'Arci e di numerose realtà della cooperazione sociale e del privato non profit. Gli operatori, gli utenti e la società civile impegnata nella salute mentale dunque non vogliono la riforma dei principi che da venticinque anni hanno riformulato il rapporto tra il cittadino e lo stato in tema di trattamenti psichiatrici. Vogliono altre cose, e se non è detto che siano le stesse è però vero che tutti sono convinti di poterle e doverle conseguire reiterando o modificando il Progetto obiettivo, che è lo strumento con cui il governo orienta le scelte delle regioni.
Questa generale accettazione del quadro di principi in vigore è forse il dato più importante del cambiamento avvenuto in Italia, davvero vasto e trasversale rispetto agli schieramenti politici.
Così anche dalla maggioranza parlamentare e dal governo vengono ostacoli espliciti alla controriforma. Nella Commissione affari sociali della camera, oltre ai parlamentari del centrosinistra anche quelli di Alleanza nazionale hanno fatto un'opposizione forte, che il 18 dicembre dello scorso anno è sfociata in un convegno che ha ribadito le ragioni del dissenso e ha annunciato la presentazione di un progetto proprio, ancora non depositato. Del resto già durante la scorsa legislatura An aveva sostenuto la politica di chiusura dei manicomi, e il deputato Carlesi era stato un attivo presidente della commissione bicamerale che la seguiva. Nel governo della sanità l'opposizione più netta è quella di Antonio Guidi, sottosegretario con delega alla psichiatria, mentre il ministro Sirchia ha piuttosto mostrato perplessità e insofferenza, nei dibattiti e nelle interviste, all'idea di un progetto che si propone di far crescere ulteriormente i letti psichiatrici, con quali risorse non si sa. Radicale infine l'opposizione delle regioni, che in un documento del 28 febbraio 2002 hanno ribadito la «validità del Progetto obiettivo» e la «esclusiva competenza regionale in tema di salute e di salute mentale in particolare».
Così la prima sconfitta parlamentare di questo disegno di legge è venuta indirettamente dalle regioni, le cui obiezioni hanno di fatto fermato, lo scorso 22 novembre, i lavori del comitato ristretto di parlamentari che doveva istruire il testo base per la discussione in Commissione affari sociali.
In queste settimane l'on. Burani Procaccini ha preparato un testo nuovo che tuttora non ha ricevuto il parere della Conferenza stato-regioni, a cui è stato previamente inviato, né è stato ufficialmente depositato in Commissione, dove attualmente figurano numerosi testi (vedi scheda) ma la salute mentale non è iscritta nel calendario dei lavori. Questo nuovo testo, che circola informalmente, è più snello del precedente ma non dissimile, per quanto riguarda i principi. Ripropone infatti l'accertamento sanitario obbligatorio, il trattamento sanitario obbligatorio (tso) di urgenza, che è una sorta di «fermo psichiatrico» di 72 ore richiesto da un medico, convalidato dallo psichiatra pubblico ed eventualmente eseguito con la polizia. Resta infine quella che è la vera e propria riedizione del manicomio, il tso «della durata massima di due mesi rinnovabile senza limiti», che «può essere svolto in strutture residenziali assistenziali (sra) private accreditate».
Intendiamoci: anche oggi è possibile fare tso di lunga durata, dato che la legge non fissa un tempo massimo. Tuttavia, dice la legge 180, o meglio l'articolo 35 comma 4 della legge 833/78, «nei casi in cui il tso debba protrarsi oltre il settimo giorno, e in quelli di ulteriore prolungamento, il sanitario responsabile del servizio psichiatrico è tenuto a formulare in tempo utile una proposta motivata al sindaco e al giudice tutelare, indicando la ulteriore durata presumibile del trattamento obbligatorio». Insomma, oggi la struttura pubblica, sola competente sul tso, deve dare spiegazioni se pensa di dover obbligare a lungo un cittadino a un trattamento sanitario che non vuole, o in altre parole, il medico deve spiegare in non molte righe come mai non è riuscito a ottenere il consenso al trattamento da parte di una persona seriamente ammalata. La quale per via della sua malattia può certamente avere una visione discutibile delle cose, ma si può anche pensare che ci sia anche qualcosa che non va, qualcosa da tenere sotto controllo se uno specialista, con le tecniche di cui dispone, non riesce a far accettare la cura a qualcuno che ne ha «urgente bisogno».
Così la legge oggi tiene sotto osservazione, per così dire, la struttura sanitaria a cui ha dato un potere che ha a che fare con la libertà delle persone, valore che invece non sembra interessare una parte almeno di quella che si chiama «Casa delle libertà». Che per di più vuole consegnare i tso rinnovabili a un privato che vive sui posti letto, e che potrebbe avere perciò un qualche interesse a mantenerli occupati. Con questi elementi, è più facile capire chi vuole questa controriforma, e capire anche la vastità dei dissensi. «Oggi non servono altri posti letto, bisogna invece spendere nella ricerca», diceva qualche settimana fa, nel salotto televisivo di Bruno Vespa, Giovanni Battista Cassano, cattedratico di Pisa, uomo di punta della psichiatria biologica, di certo non «basagliano» come non lo sono la gran maggioranza degli psichiatri italiani. Che però non sono interessati a riprendere il ruolo di custodi della cronicità, consapevoli del fatto che spendere in contenitori assistenziali significa dire addio a qualunque genere di innovazione.
Questa controriforma, come giustamente notava in dicembre il responsabile sanità di An, l'on. Conti, «lascerebbe spazi non definiti all'imprenditoria privata» e quindi a trattative, fuori da ogni quadro e regola, tra i privati e le amministrazioni locali. La situazione della Calabria dove, come la nostra inchiesta ha documentato, i posti letto privati hanno fagocitato la quasi totalità delle risorse pubbliche per la salute mentale, potrebbe così diventare regola, nelle regioni in cui, come è il caso della Sicilia e della Puglia, i servizi territoriali sono stati tenuti in condizioni di debolezza a fronte di un privato mantenuto dalla spesa pubblica. Mentre nelle regioni in cui i servizi territoriali hanno segnato punti a proprio favore, come nel Lazio, che abbiamo documentato nella prima puntata, e nelle regioni in cui è ancora aperta la lotta tra pubblico e privato, come in Lombardia e Piemonte ma anche Emilia e Toscana, il cambio di legge in progetto potrebbe regalare ai privati una forza che sul campo non sono stati capaci di conquistare. Il privato vecchio e nuovo che abbiamo visto in psichiatria vive infatti non di successi terapeutici sulla disperazione dei familiari senza alternative.
Certo, c'è da capire perché questo privato non abbia mai voluto trasformarsi, seguendo le indicazioni della ricerca internazionale e della Organizzazione mondiale della sanità, che forniscono dati e indicazioni del tutto a favore dei sistemi territoriali, che del resto in Italia mostrano da tempo di saper conseguire successi terapeutici e consenso sociale.
La risposta sta verosimilmente nel fatto che questi nuovi modelli di servizio, i cui costi sono quasi del tutto assorbiti da un personale numeroso e variamente specializzato, non sono interessanti per chi ha l'obiettivo del profitto, che invece il posto letto può assicurare, dato che la custodia è una prestazione «labour saving», come dicono gli studiosi di organizzazione: fa risparmiare sul lavoro umano, e magari anche su altri costi dato che abbiamo a che fare con «clienti» che ben poco possono protestare o «uscire dal sistema», per usare i concetti di un lavoro famoso di Albert O. Hirschmann, Lealtà, defezione, protesta (Bompiani, 1982). E ancora meno potrebbero protestare e uscire se passasse la controriforma prospettata.
Anche in questo angolo della sanità dunque, che tanto piccolo non è se sono oltre 600mila i cittadini italiani che soffrono di disturbi mentali gravi, l'attuale maggioranza parlamentare, con le contraddizioni interne che abbiamo visto, appare mossa da gruppi di privi di ogni capacità innovativa e perciò parassitariamente dipendenti dalle risorse pubbliche, tutto il contrario insomma dell'abito che questa maggioranza cerca di indossare. Per questo non è possibile alcun dialogo sul testo che Burani Procaccini vuole offrire come base di discussione. Anche qui, come per la scuola, l'informazione e la giustizia, le libertà dei cittadini vengono pesantemente offese in nome degli interessi privati di alcuni gruppi di potere, in barba a ogni evidenza scientifica e persino contro la maggioranza degli operatori e degli utenti. Se mai battaglia parlamentare ci sarà, non potrà esserci alcuno spazio di compromesso.
(articoli sullo stesso tema sono apparsi il 3 e il 17 maggio, non più reperibili in rete)

«Psicoriforme» nel cassetto
Alla data di oggi risultano depositati presso la Commissione affari sociali della camera i seguenti disegni di legge. Il progetto n. 152 presentato il 30 maggio 2001 dal capogruppo della Lega Nord, Cè, che riorganizza in senso custodialistico il trattamento obbligatorio, analogamente al più complesso testo Burani Procaccini. Sempre nel 2001, il 14 giugno, è stato presentato il progetto n. 844 del deputato verde Cento, che vuole istituire «comunità socio-terapeutiche per il trattamento volontario e obbligatorio», poste sotto la responsabilità del Dipartimento di salute mentale. Del 9 luglio 2002 il disegno di legge n. 2998 della deputata Moroni, del Nuovo Psi, che riorganizza il tso e vorrebbe istituire un «Sistema informativo nazionale di vigilanza dei pazienti a rischio (Sinvip) costituito da un programma centralizzato di telemedicina psichiatrica, utilizzabile anche per pazienti geriatrici e portatori di handicap, dotato di un sintonizzatore-decodificatore, ( ..) finalizzato all'individuazione dell'identità del paziente e dei suoi parametri sanitari». Ultimo arrivato il disegno di legge n.3547 presentato il 16 gennaio 2003 dai deputati Bertinotti, Valpiana, Giordano e altri di Rifondazione comunista. Questo testo contiene «disposizioni per la determinazione dei Livelli essenziali di assistenza delle prestazioni sanitarie a favore dei soggetti non autosufficienti e dei soggetti affetti da malattia mentale, e per l'incremento delle pensioni in favore dei soggetti svantaggiati».