martedì 27 maggio 2003

origini del totalitarismo cristiano

La Stampa 27.5.03
La crociata di Innocenzo III contro i Catari mise a punto uno strumento destinato a fare strada: l'accusa di uno storico cattolico
1209, la Chiesa inventa il totalitarismo
di Mario Baudino

E’ il solo caso, nella storia, di un grande movimento religioso e di una sanguinosa sconfitta militare trasformati in industria turistica. Parliamo del «Pays Cathar», il «paese cataro» che si distende in Linguadoca, tra Tolosa e i Pirenei, con i suoi vigneti, le strette valli boscose e i dirupi calcarei, i castelli sui picchi e, ossessivo, il marchio ufficiale che segue ovunque il visitatore, garantendo ristorazione, vino, trekking cataro e persino «pompe funebri catare». Non manca la «bistecca catara», deliziosa contraddizione visto che gli eretici cui si fa riferimento erano rigorosamente vegetariani. Per loro il mondo della materia era il male, creato da un dio malvagio, e il corpo una prigione da cui liberarsi. Tutto ciò che aveva a che fare con la riproduzione era perciò da evitare, anche se poi la vita quotidiana trascorreva tra preghiere, semplicità, molto lavoro manuale, solidarietà, amicizia e nonviolenza. In Linguadoca vennero massacrati e dispersi dalla «crociata» bandita da Innocenzo III nel 1209, che si concluse con la distruzione della fiera aristocrazia locale, filocatara (quando non apertamente catara) per scelta politica o per necessità contingente, e l’integrazione del Midi nel regno di Francia. Nella loro terra, quegli eretici che erano stati difesi anche dai loro concittadini cattolici divennero un mito popolare a partire dall’Ottocento, e infine, dopo la seconda guerra mondiale, un fenomeno turistico di grande successo. La loro epopea, tuttavia, fu anche italiana, ed ebbe a Verona il momento più tragico e sublime: proprio nell’arena fu innalzato il più grande rogo dell’umanità, sul quale vennero dati alle fiamme almeno trecento eretici. Ma, a differenza che nel Midi, noi li abbiamo dimenticati. Ora un’opera affascinante di Michel Roquebert, in libreria per le edizioni San Paolo, ci ripropone un antico passato che in buona parte ci appartiene. I Catari ricostruisce in 500 pagine una delle grandi tragedie d’Europa. È il punto d’arrivo di un lavoro durato trent’anni, sfociato in una ricostruzione storica di 5 mila pagine. Questo libro ne è una versione «compatta», dove lo studioso restituisce i catari al loro dramma storico, quando l’Europa del Medioevo pose alcuni presupposti importanti della sua successiva modernità. Nacque in quegli anni feroci la prima idea di totalitarismo. E c’è una grande verità catara che ancora ci riguarda, al di là del recente mito che ha fatto di Montségur un simbolo esoterico, castello del Graal e tempio solare, ma non ha nulla da spartire con la verità storica. «L’aspetto più importante è che quella catara fu un’epopea di resistenza - ci dice Roquebert -. È la prima volta nella storia che un movimento religioso perseguitato si affida a reti di solidarietà, grazie all’appoggio della popolazione». In molti casi, nemmeno eretica. «È un fatto nuovo. Di lì in poi quel modello si sarebbe replicato fino ai giorni nostri, fino alla resistenza contro i totalitarismi del XX secolo». Ma quell’antica, feroce repressione, ha fatto entrare nella nostra storia un altro elemento importante: il controllo ideologico. «L’Inquisizione fu inventata per debellare l’eresia catara, ed ebbe come obiettivo il controllo ideologico di tutta la popolazione. Un fenomeno nuovo». Un’alba della modernità? «Esatto. Tutti i regimi totalitari si sono basati sullo stesso strumento, che hanno trovato già pronto, perché inventato dalla Chiesa». Detto da uno storico cattolico potrebbe suonare scandaloso... «Io non faccio dell’anticlericalismo. L’Inquisizione è stata sì demonizzata al di là delle efferatezze che ha compiuto, ma il suo scopo non era solo di bruciare gli eretici. Era più sottile: destabilizzare la società, creare un sistema di delazioni, ottenere cioè il controllo ideologico totale». Ci riuscì, e non solo tra Tolosa e Carcassonne, visto che la storia dei catari è anche italiana. Nel nostro paese sono stati trovati alcuni fra i loro testi religiosi più importanti (pubblicati da Francesco Zambon nella Cena segreta, Adelphi ). Tra Cuneo e Mantova fino a Sirmione, la «nuova Montségur», fiorirono le loro chiese e si rifugiarono molti semplici fedeli o ministri del culto occitani (i «perfetti») in fuga dalla Linguadoca, protetti dai liberi Comuni e dal partito ghibellino. L’Italia sembrò per qualche decennio un porto naturale, fino a quando l’argine si ruppe anche da noi e, nella seconda metà del Duecento, suonò per quegli eretici l’ora della fine. Si alzarono i roghi, e scese l’oblio. Perché? «Ci sono molte ragioni - risponde Francesco Zambon -. Ma in generale direi che nel Sud della Francia la vicenda catara è collegata a fatti politici decisivi, come l’unificazione statuale del paese, e a luoghi riconoscibili, mentre da noi non ci sono legami con eventi storici importanti, che siano rimasti nella memoria o nel mito». E poi c’è un problema storiografico. «In Francia e Germania già agli albori della storiografia moderna ci fu un forte interesse da parte dei protestanti. In Italia gli storici che se ne sono occupati sono stati in gran maggioranza di impronta cattolica, portati quindi a sminuire importanza e ruolo storico dei catari». Luigi Pirandello, cercando un argomento che suonasse astruso per una novella dove un vecchio professore si riduce a tener lezione a una fila di cappotti, non ebbe difficoltà a trovarlo: L’eresia catara, si intitolò il racconto. Era il 1905. Sono passati quasi cent’anni, la situazione è cambiata. Ma di quanto?