martedì 27 maggio 2003

istinto materno?

Il Mattino di Padova 27.5.03
L'istinto materno non è innato e neppure scontato
di Adina Agugiaro

La nuda realtà dei fatti: una giovane donna di 32 anni, da tre mesi madre del suo primo figlio, con una vita in apparenza normale a livello affettivo, economico e lavorativo, si chiude nel garage di casa, si cosparge di benzina, si dà fuoco e muore carbonizzata. La diagnosi psichiatrica, già elaborata e per la quale la ragazza era in cura: depressione puerperale; meglio, data la gravità della risposta emotiva: psicosi puerperale.
Tentiamo una riflessione più articolata sull'evento-vita per eccellenza, la nascita, cui la madre risponde con l'evento morte per eccellenza: il suicidio (anche se non è affatto rara l'alternativa dell'infanticidio). In passato l'interpretazione predominante di queste patologìe era di tipo «biologico», legata cioè allo stress endocrino-vegetativo che la gravidanza procura al corpo femminile. Oggi, pur con attenzione massima verso questi aspetti, che risente in modo spesso spettacolare dell'intervento farmacologico, si preferisce guardare più globalmente alla situazione della donna nei suoi rapporti con «l'evento materno». Per chiederci: quando comincia realmente la maternità in lei? Al momento della fecondazione? Al momento del parto? O non piuttosto nella prima infanzia quando la bambina, nel rapporto con la propria madre e nelle fantasie di essere madre a sua volta dà forma al primo nucleo psicologico della maternità?
Nel processo di somiglianza e differenziazione con la propria madre, che dura tutta la vita, la prima gravidanza è un evento sconvolgente, chiamiamolo pure «una crisi» che rimette in gioco tutto il lavorio psicologico compiuto sino a quel momento; dando origine o a un nuovo, più maturo equilibrio o a un trauma anche definitivo, qual è la distruzione della madre o del figlio. Nei nove mesi di coabitazione si realizza tra i due una serie di scambi, che fa rivivere alla donna la fusione psicologica con la propria madre; in un rapporto intricato di vecchie e nuove identificazioni, che mettono in gioco ben tre generazioni: la nonna, la figlia, il neonato. Subito dopo il parto, la neo-mamma deve realizzare il salto dalla gravidanza alla maternità, tollerando lo scarto inevitabile tra bambino immaginato e neonato reale, tra fantasia e realtà, ed accettando inoltre l'avvenuta separazione fisica dal figlio. La madre sana tollera questo spazio vuoto fisico-psicologico e, ponendosi in sintonia coi bisogni del bambino, realizza con lui la necessaria simbiosi dei primi mesi.
La psicosi puerperale è invece un tentativo - in alcuni casi riuscito - di sfuggire al contatto profondo col neonato. Troppo complesso spiegare qui perché una madre si sottragga - anche a prezzo della propria vita - a un compito che la società considera innato in lei, sacrale. Di certo uno degli elementi determinanti per il fallimento relazionale mamma-bambino è l'identificazione negativa che la puerpera ha realizzato in passato con la propria madre, vissuta come minacciante. Una latente aggressività, mai prima da lei percepita, irrompe all'interno del rapporto col figlio, facendo prevalere terribili fantasie di vicendevole distruzione su quelle di amore e di riparazione.
Bisognosi come siamo di sentirci rassicurati tutti, in quanto genitori e in quanto figli, di fronte a questi tragici fatti di cronaca, preferiamo nasconderci dietro l'alibi della follia. Troppo semplice e in fondo vigliacco. L'istinto materno non è in realtà né innato né scontato; solo un'autentica protezione del rapporto madre-bambino, dal primo istante in cui esso si realizza, costituisce garanzia di prevenzione contro una sofferenza mentale che arriva sino alla morte.