martedì 27 maggio 2003

Jack Nicholson

L'Espresso
CINEMA: Jack il gigione: "E ora divento psichiatra"
"Nel prossimo film sarò uno strizzacervelli. Improbabile e un po' cialtrone..." . L'ultima commedia di Nicholson. Raccontata dal protagonista
Silvia Bizio

Dopo la rabbia contenuta nel crepuscolare "A proposito di Schmidt", con cui si è conquistato la sua dodicesima candidatura all'Oscar (oltre alle tre statuette già avute), Jack Nicholson gigioneggia alla grande, giocando sulla rabbia come caso clinico nella commedia "Terapia d'urto" firmata dal regista Peter Segal. Da spalla gli fa un grande Adam Sandler.
A 66 anni, Nicholson si conferma non solo il grande vecchio, ma pure il grande originale del cinema americano. Nel film interpreta lo psichiatra dai metodi eterodossi, un caso clinico di par suo, cui viene dato in cura il personaggio di Sandler. Gli somministra dosi massicce di "gestione della rabbia" ("Anger management", il titolo originale), usando tecniche invereconde per «tirar fuori l'arrabbiato che è in te».
Un film fatto di gag, scene assurde ed esagerazioni, e che gioca sulle personalità sopra le righe di entrambi, Nicholson e Sandler (il cui stereotipo del represso passivo-aggressivo è stato ben usato dal regista Paul Thomas Anderson nel recente "Punch-Drunk Love").
Con 60 film alle spalle, Nicholson ha recitato una vasta gamma di archetipi del maschio americano, dall'avvocato che sogna la fuga in "Easy Rider" al paziente rinchiuso in manicomio in "Qualcuno volò sul nido del cuculo" al marito che dà fuori di testa in "Shining" al folle Joker del primo "Batman". "Terapia d'urto" è invece la sua prima commedia "demenziale", recitata, dice, per «puro spirito di sfida». Aggiunge di aver accettato di farla, tra la perplessità dei suoi più cari amici, anche per lavorare con Sandler, di cui si sostiene un ammiratore («Mi piacciono i suoi film», confida).
Abbiamo incontrato Nicholson a Los Angeles. È un uomo di modi gentili, riflessivo, riservato: «Tutti pensano che sia sfrenato: invece sono un gattone», dice alzando le sopracciglia.
"Terapia d'urto" sembra prendere in giro i gruppi terapeutici. Chi può credere che vengano condotti in maniera così stravagante?
«Esistono terapisti come quelli del film. Ho fatto una ricerca, ne ho incontrati. Per prepararmi ho seguito gruppi di "anger management", cioè, mi ci hanno buttato dentro».
Aveva mai provato la terapia, prima?
«Certo, soprattutto al tempo del "Nido del cuculo", che venne girato dentro un manicomio. Fui uno dei primi a sperimentare l'Lsd negli anni '60: mi usavano all'Università, alla Ucla in California, come cavia. Nel corso degli anni ho fatto terapia tradizionale: ho un'amica psichiatra a New York, e un altro amico qui a Los Angeles che si divertono a vedermi. Fare terapia è come prendere lezione di recitazione».
Le serve?
«Eccome. Un terapista una volta mi ha detto: "Jack, sei il migliore paziente che uno si possa augurare: ti dico qual è il tuo problema e cosa devi fare; poi tu torni dopo una settimana e hai fatto esattamente quello che ti ho detto". Anche ai terapisti piace vedere i risultati. Io dò loro grandi soddisfazioni».
Crede che l'America faccia troppo affidamento sulla terapia?
«No. Oddio, ci sono tanti disonesti in giro, ed è vero che spesso l'accozzaglia di teorie oscura la materia. Ma la terapia onesta è come una medicina onesta: se sei malato, ti può curare».
Considera l'America un paese arrabbiato?
«Non conosco le statistiche, ma credo che vi sia una componente passivo-aggressiva nel nostro genoma. Io ho avuto i miei scatti di rabbia: mi sono analizzato e, spero, curato».
Non aveva problemi con lo humor particolare di Adam Sandler?
«No, perché lui è un originale. Ed essere originali non significa essere diverso dagli altri, significa essere te stesso e basta. Lui è così. Unico. Ha un modo di essere e una sensibilità molto particolari, che trascina gli altri. Mi ricorda James Dean».
Ma non temeva quel suo umore spesso giovanilistico, goliardico?
«Cerco di cancellare quel tipo di censura dalla mia mentalità. Bisogna rimanere aperti, anche in tarda età. È vero, ho avuto attacchi di panico pensando a questa parte. Dicevo: ecco mi sputtano. Ma ho trovato l'aggancio: il mio personaggio mi ricordava un po' Orson Welles nel "Terzo uomo". È così che lo avrei recitato: meno Jack, più Orson. All'inizio tutti pensano che questo terapista sia un ciarlatano, no? Beh, risulta che non lo è affatto. Questa è la base drammatica che mi ha consentito di non ritrovarmi col culo per terra».
Lei lavora moltissimo: dove trova l'energia?
«L'energia la trovo non uscendo più come prima. Faccio film e basta, il resto del tempo mi riposo».
Perfino Stanley Kubrick rimase sbalordito dal suo dinamismo e dalla voglia di divertirsi quando avete girato insieme "Shining", nel 1980.
«Chi lo nega? Andai a Londra per le riprese dicendo: adesso gliela faccio vedere io a questa gente. Ero così, un vero scatenato. Finì che dopo otto settimane caddi da un muro e rimasi fuori gioco per varie settimane. Capii che dovevo stare più attento al mio lavoro e non cadere dai muri. Fu allora che cominciai a calmarmi. È stato un processo lento: solo ora posso dire di essere entrato nella fase di appagato rincoglionimento. Non ho più la forza di fare troppa festa».
Cosa fa nel tempo libero?
«In verità ho una vita molto attiva che si svolge intorno alla mia casa, ho molti amici. Il lato divertimento è attentamente pianificato nella nostra società: il tennis quando hai 30 anni; lo sci a 40; il golf a 50. E a 60? Gli scacchi, naturalmente. E passo molto tempo con i miei figli. Dipingiamo insieme, e loro si divertono tanto».
Lei pianifica?
«Ho sempre un piano, ma niente va in accordo. Quel che conta è che sono una fonte inesauribile di energia e felicità, a volte, totalmente inaspettata».