giovedì 18 settembre 2003

Kezich: questo non è cinema politico

(ricevuto da Daniela Venanzi)

Sette, inserto del Corriere della Sera 18.9.03

SARÒ UN PASSATISTA MA PER ME IL CINEMA POLITICO BISOGNA FARLO ANCORA COME LO FACEVA ROSI
di Tullio Kezich


Ammetto che non se ne può più di interviste e commenti sulla Mostra di Venezia (vi raccomando quelli che cominciano: "Non ho visto i film, ma...") e tuttavia mi azzardo ad aggiungere una breve constatazione. Al Lido il cinema politico italiano ha fatto passi da gigante. Indietro.
A parte l'appassionante fuori concorso di Bernardo Bertolucci, The Dreamers, che di "italiano" ha ben poco (romanzo e lingua inglese, ambientazione Parigi '68), i due concorrenti nostrati a sfondo storico-politico lasciano interdetti per ragioni opposte. Mentre Segreti di Stato soffre di un parossismo di dietrologia, Buongiorno, notte ne è del tutto esente. Parlo di contenuti e messaggi, non di arte. I film si assomigliano perché entrambi affrontano tragici capitoli nella vicenda delle "trame nere".
Paolo Benvenuti ha il merito di proporre una retrodatazione di tale storia, che di solito si fa iniziare con la bomba di Piazza Fontana (1969), al 1° maggio 1947, ovvero alla strage di Portella della Ginestra; Marco Bellocchio rievoca i 55 giorni della tragedia di Aldo Moro nel 1978. Vale la pena di sottolineare che nell'uno e nell'altro caso inchieste e processi non sono mai pervenuti a nessuna certezza. Segreti di Stato fa un uso fuorviante delle ipotesi dello storico Giuseppe Casarrubea, che da anni porta avanti una rigorosa ricerca su eventuali responsabilità "altre" (la Cia, i servizi segreti) operanti sopra la testa del bandito Giuliano. Sullo schermo, fra i deliranti sospetti di connivenza riguardanti tutto il potentato civile e religioso dell'epoca, spicca una panzana macroscopica quando il bandito Pisciotta afferma di aver accolto all'aeroporto di Palermo una sporca dozzina di mercenari e di averli accompagnati a sparare a Portella.
Nell'onirico Buongiorno, notte Moro è rapito da un gruppo spontaneistico e infine se ne scappa libero per Roma. "Ma allora non è morto?", mi ha chiesto sbalordito un critico straniero. Accolto da quasi tutti come un capolavoro, il film ha riscosso il plauso degli ex brigatisti e di molti interessati ad accantonare ogni interrogativo su motivi e mandanti mettendoci una pietra sopra. O magari (ma gli è andata male) un Leone d'Oro. Un consiglio ai registi di film politici? Torniamo all'antico, a Francesco Rosi, e sarà un progresso.