giovedì 18 settembre 2003

***sul Corsera del 18 settembre: Marco Bellocchio discute con Macaluso, Follini, Franchi

Corriere della Sera 18.9.03

Moro, simbolo di una tragedia irrisolta «Ma perché la sinistra ora lo ammira?»
(a cura di Paolo Franchi)

Incontro al «Corriere» dopo il film di Bellocchio tra il regista, un ex comunista e un ex democristiano Macaluso: in quelle sue lettere non c’era viltà. Follini: nessuna differenza tra il politico e il prigioniero
LA DISCUSSIONE
Moro, la Dc e il Pci Dubbi e tormenti di un caso mai chiuso
Emanuele Macaluso, all’epoca del sequestro Moro dirigente del Pci, e Marco Follini, allora leader dei giovani dc, discutono - in un incontro al Corriere - con il regista Bellocchio e con Paolo Franchi di Buongiorno, notte , il film che ha riaperto le polemiche. Bellocchio: «Non voglio fare un’obiezione politica alla fermezza. Ma qualcuno, non solo Craxi, quella logica non la condivise. E questo è stato cancellato per anni». Macaluso: «No, quelle divisioni hanno pesato». Follini: «C’era timore per l’incognita che Moro libero avrebbe rappresentato per i rapporti politici».


Franchi: partiamo dalle sequenze finali del film. Da una parte la Basilica di San Giovanni, quel funerale di Stato senza salma, quella classe dirigente muta, quasi spettrale, che dà quasi fisicamente il senso della fine della Prima Repubblica. Dall'altra, quel Moro «sognato», che se ne va libero per le vie di Roma e dà l'impressione di fuggire certo dalle Brigate Rosse, ma anche da quella classe dirigente.
Bellocchio: la convinzione che ci fossero le condizioni per fare questo film non è stata dettata dalla volontà di affermare una tesi politica, ma dalla riflessione e dalla lettura di molti libri. Anche all’epoca, io ero fuori dalla politica attiva. Ma il sequestro prima e poi l'uccisione di Moro mi lasciarono sbigottito. Già allora mi chiesi, e poi ho continuato a chiedermi, se, proprio quando tutto sembrava già scritto secondo regole ferree, non si potesse trovare invece la forza di romperle, queste regole. Di cedere, apparentemente, ma in nome di un principio di libertà. Io non so e non voglio fare un'obiezione politica a tutte le ragioni, concrete e di principio, invocate per resistere, per non trattare, per rifiutarsi a gesti, anche unilaterali, che avrebbero potuto, forse, salvare la vita di Moro. Però so bene che qualcuno, non credo soltanto Craxi, anche altri, anche molti intellettuali, questa logica non la condivisero. Tutto ciò è stato quasi cancellato, quasi nascosto per anni.
Macaluso : Bellocchio dice una cosa giusta: il suo è un film che vuole raccogliere nel pubblico un consenso fondato sulle emozioni che provoca. Lo dico perché, di questi tempi, in Italia, si discute anche di film che pretendono di offrirci «la vera storia» di questo o quel momento delle nostre vicende nazionali. Bellocchio, fortunatamente, fa una cosa diversa, ci racconta, da artista, i comportamenti, le sensazioni, i tormenti, le arroganze e, come lui stesso ha detto, le stupidità di quei 55 giorni nell’appartamento dove fu tenuto prigioniero Moro.
Franchi: Ma questo film ha suscitato anche polemiche aspre.
Macaluso: Certo, e non possono essere ignorate. Io non sono d'accordo con Bellocchio: le divisioni non sono state nascoste, né allora né negli anni successivi, hanno attraversato la storia italiana, non foss'altro perché l'esecuzione di Moro significò anche la fine politica delle Brigate Rosse, e perché è da quel momento, non dal '92 e nemmeno dall'89, che inizia la crisi del sistema politico. Il Pci fu, come il gruppo dirigente della Dc, sulla linea della fermezza. E le ragioni per cui la scelse furono più d'una. Certo, era appena entrato nella maggioranza, doveva dimostrare con i fatti la sua fedeltà allo Stato e la sua intransigenza verso l'eversione di sinistra. Ma la generazione che entrava nella maggioranza aveva succhiato il latte dalla generazione precedente, quella del ferro e del fuoco, gente che aveva fatto anni e anni di carcere. La loro idea era: chi assume una responsabilità politica, deve sapere che c'è un rischio, e deve correrlo fino in fondo. A pensarla così, badate, non erano solo i comunisti. Così la vedevano anche Pertini, Valiani, La Malfa: comunisti, socialisti, azionisti convinti che la grazia non andasse chiesta né a Mussolini né alle Brigate Rosse. Per una parte della Dc e del mondo cattolico, per Moro, e anche per una parte della sinistra, la storia era diversa, perché diversa era la concezione della politica e del rapporto con lo Stato. Qui nasce la contraddizione, qui nasce la difficoltà, per i comunisti ma, più in generale, per tutti i laici del cosiddetto partito della fermezza, e anche per alcuni amici personali di Moro, di prendere atto che le sue lettere dal carcere brigatista non solo non erano un atto di viltà, ma esprimevano il suo modo di vedere il rapporto tra l'uomo, la famiglia, la politica e lo Stato. Penso che in questa contraddizione Moro sia rimasto stritolato, e che questa contraddizione, questo travaglio, dal film di Bellocchio, che ci mostra i personaggi «folli e stupidi», così li definisce lui, dell'appartamento, e la classe politica marmificata del funerale, non emergano appieno.
Franchi: ma lei esclude che le Brigate Rosse fossero eterodirette?
Macaluso: no, non lo ho mai creduto. Però fatico anche a credere, perché conosco il loro mondo, il mondo della politica e il mondo che sta attorno alla politica, che non ci siano state, delle intersezioni, degli intrecci, diciamo così, tra le Br e alcuni poteri visibili e soprattutto invisibili. Non dimentichiamo che Moro era anche un personaggio odiatissimo.
Follini: questo film ha due grandi meriti. Il primo è che sono più le domande che pone che le risposte che cerca di dare: riapre una ferita e molti dilemmi, togliendo di mezzo l'idea che quei 55 giorni siano stati, se così posso dire, una tragedia a lieto fine, nella quale abbiamo pagato prima con la vita di 5 uomini massacrati, poi con quella di Moro, la liberazione del Paese dall'incubo delle Br. Il secondo è che ci restituisce Moro per quello che era. Io l’ho conosciuto e lo ricordo così, anche in certi dettagli. Il Moro che dà del lei ai carcerieri può anche suonare ottocentesco, ma esprime un rispetto e anche un distacco un po' cattedratico che erano davvero suoi, così come l'attenzione e la curiosità per l'altro: ogni individuo rappresentava per lui un mondo irripetibile, anche la persona più lontana portava in dote qualche argomento. Il Moro prigioniero non era diverso dal Moro che ho conosciuto, quelle lettere esprimono il suo pensiero, il film aiuta a spazzare via la paccottiglia di quei giorni, spesso non proprio disinteressata, diffusa per sostenere che non erano moralmente ascrivibili a lui. La mancanza di senso dello Stato non c'entra niente. C'era forse un istinto di difesa personale, ma soprattutto un estremo tentativo di governare politicamente anche il più drammatico dei passaggi. Questo il film lo coglie. Mi convince meno la rappresentazione dei brigatisti. Troppo rispettosi, troppo ossequiosi, troppo attenti ad evitare che il gatto mangi il canarino. E fatico a capire quel segno della croce.
Bellocchio: vuole esprimere la dimensione religiosa, in senso fondamentalista, dei brigatisti...
Follini: capisco. Ma alla fine viene fuori un'idea un po' troppo edulcorata dei terroristi. Sono perplesso, poi, su come nel film viene rappresentato il mondo delle istituzioni e del potere, che doveva decidere cosa fare in termini di gestione quotidiana di un Paese che aveva un apparato di sicurezza sotto scacco, e doveva reagire ad un colpo durissimo. Quanto a Moro: è stato nello stesso tempo il campione della democrazia consociativa e il campione dell'alternanza prossima ventura, a lui guardavano tanto i sostenitori di una grande coalizione destinata a guidare per un lungo periodo il Paese quanto quelli che invece pensavano che la naturale conclusione di quella stagione dovesse essere esattamente opposta. Questo problema Moro stesso non ebbe il tempo di risolverlo. Ma è stato l'uomo che si è avvicinato di più all'idea che il conflitto tra forze diverse potesse essere tenuto entro confini di civiltà, direi anche di umanità: lo conferma paradossalmente il fatto che applica questo canone perfino a coloro che lo hanno rapito e lo uccideranno. Detto questo, attenzione. Moro era certamente rispettoso e votato al confronto, ma sapeva essere durissimo nella contrapposizione, anche con i comunisti: non era un uomo dello scirocco.
Macaluso: Bellocchio, ma lei che idea si è fatto dei brigatisti? Dal film non l’ho capito bene...
Bellocchio: io cerco di raccontare la loro quotidianità mentre di là c'è un signore chiuso a chiave che interrogano e con cui in un certo modo dialogano e trattano. A sinistra qualcuno mi accusa per averli rappresentati all’acqua di rose, altri perché il Moro del film è troppo umano. Io non dico che fossero geni del male, queste categorie non mi appartengono. Ho detto, e confermo, che erano folli e stupidi. Moro in qualcosa mi fa venire in mente mio padre, ma nel rappresentarlo mi sono mosso in maniera assolutamente libera. Era molto più intelligente dei brigatisti perché aveva un rapporto con la realtà umana assai più sicuro, più profondo e più complesso. Loro, dietro l’ideologia, erano disumani.
Follini: mi piacerebbe capire meglio la ragione che porta un regista di sinistra a fare un film come questo. Io all’epoca ero un giovane moroteo, ma l'opinione dominante vedeva in Moro il bastione del potere democristiano che doveva essere abbattuto. Perché questa ammirazione postuma? Lo stesso gruppo dirigente comunista guardava a lui come all’interlocutore naturale, ma temeva che fosse l’avversario più insidioso.
Macaluso: se è per questo, oggi c’è una sinistra radicale che, probabilmente in omaggio alla questione morale, ha assunto per paradosso come riferimenti Moro e Berlinguer, due grandi mediatori, due teorici del compromesso, considerati gli unici leader salvabili della Prima Repubblica.
Franchi: il Moro che se ne va libero alla fine del film mi ha rievocato una sensazione che provai anche in quei giorni, e cioè che molti, all’interno del partito della fermezza, temessero che Moro tornato in libertà sarebbe stato molto diverso dal Moro rapito il 16 marzo.
Follini: Moro aveva capito già nel ’68 che il rapporto con il mondo giovanile era molto segnato. Era al vertice del sistema politico, ma intuiva che quella piramide aveva basi fragili, e quindi richiedeva alla politica una grande capacità di inclusione di tutto quello che ne era fuori. Questo è certo. Non sappiamo, invece, quale Moro sarebbe tornato, e quale peso avrebbe avuto, e se lo avrebbe utilizzato per puntellare quel sistema, o per aprirlo, o forse, chissà, per scardinarlo. Ricordo bene molti degli stati d'animo che lei descrive, non voglio aggiungere malizia, penso che tutti lo volessero sano e salvo. Ma certo c’era anche timore per un’incognita che non riguardava solo i rapporti politici, ma l’idea di rapporto tra potere e società che Moro si sarebbe potuto portare in spalla.