domenica 8 febbraio 2004

Galileo dichiarato innocente ieri a Torino

Repubblica Edizione di Torino 8.2.04
IL CASO
Si è concluso con l'assoluzione il processo simulato al grande uomo di scienza
"Galileo non era un eretico" Anche il pm vota l'innocenza
Odifreddi nel ruolo di Galilei Rossomando difensore
Il dibattito si è svolto in un'aula di giustizia affollata
di MASSIMO NOVELLI


Poteva la civilissima Torino, capitale del positivismo italiano, città di laiche tradizioni e di risorgimentali battaglie contro il potere della Chiesa (ricordate la colonna Siccardi e ciò che vi è custodito dentro?) non assolvere Galileo Galilei, figlio del fu Vincenzo, nato a Pisa il 15 febbraio 1564, Accademico dei Lincei, detenuto agli arresti domiciliari per le note vicende di stampo copernicano? Risposta: no, non poteva non proscioglierlo. Come è accaduto puntualmente ieri mattina, nell´aula magna affollatissima del Palazzo di giustizia subalpino, nel rifacimento suggestivo del processo all´autore del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, organizzato dalla Camera penale «Vittorio Chiusano» e dal Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Assolto dunque, dalle imputazioni di eresia e di violazione dei principi che regolano la scienza e del metodo scientifico, perché in entrambi i casi «il fatto non sussiste» secondo la sentenza emessa dal collegio giudicante composto da Romano Pettenati, Paola Perrone e Fernando Bello, due giudici autentici e un avvocato. Un pronunciamento, nel segno dell´indipendenza dei poteri più che mai attuale di questi tempi, accolto con sommo gaudio da messer Galileo, impersonato con brillantezza ed efficacia polemica dal matematico Piergiorgio Odifreddi, e dal suo difensore, l´avvocato Antonio Rossomando, appassionato evocatore delle nefande persecuzioni del libero pensiero da parte dell´Inquisizione e affini, valga per tutti il povero, grande Giordano Bruno e quell´«odore acre» del suo corpo bruciato. Anche se in verità lo stesso pubblico ministero, all´uopo monsignor Renzo Savarino, pur cercando dottamente di far quadrare il cerchio e di salvare il salvabile, aveva dovuto chiedere la nullità della sentenza di condanna del 1633 per difetto di giurisdizione.
E difetto c´era, eccome. Non tanto nella forma, bensì nella sostanza, cioè nella natura specifica dell´accusa, in primis quella, «particolarmente infamante» per uno scienziato quale Galileo, di avere leso i principi che regolano la scienza e il metodo scientifico. Come individuato dal tribunale torinese. Fu infatti la «diffida stessa» promossa dal cardinale Bellarmino, peraltro già istruttore del processo a Giordano Bruno, «a violare i principi della corretta metodologia scientifica e non Galileo, il quale era giunto a dimostrazioni parziali della teoria copernicana». Non in modo dogmatico, pertanto. Proprio perché, sperimentando anche «strade sbagliate», il Nostro «aveva potuto confrontare e approfondire la sua speculazione». Metodologicamente più che corretto.

La Stampa 8.2.04
GRANDE FOLLA DI PUBBLICO IERI AL PALAGIUSTIZIA PER LA RIVISITAZIONE DEL PROCESSO PER ERESIA ALLO SCIENZIATO
Galileo torna alla sbarra: assolto
di Alberto Gaino


TRECENTOSETTANTUNO anni dopo quello vero, si rifà il processo a Galileo Galilei. In un palazzo di giustizia vero, con una corte per due terzi composta da giudici veri, un vero avvocato per difensore e lo scienziato interpretato da un noto professore di logica matematica: si fa in fretta a parlare di evento. L’aula magna (700 posti a sedere) è gremita: l’avvocato Cosimo Palumbo, presidente della Camera penale, e il collega Mauro Anetrini, l’ideatore, gongolano. «Facciamo cultura». E Anetrini si lancia: «Per il processo a Luigi XVI ho contattato Cossiga». Evento mediatico a parte, tutti si sono calati molto seriamente nella parte. Il marito del giudice a latere Paola Perrone: «Mia moglie si è letta almeno 10 libri sul processo a Galileo».
L’abiura con cui il Galileo doc salvò la pelle nel 1633 risparmiando al Sant’Uffizio un rogo-bis, dopo quello di Giordano Bruno, è rivisitata completamente da Piergiorgio Odifreddi, l’imputato di ieri, che, a domanda suggestiva del presidente Romano Pettenati (”Quali danni ritiene di aver subito dal suo processo?”), non si fa pregare e trasforma il processo a Galileo in quello alla Chiesa: «Forse non è un caso che in giro per il mondo gli scienziati non siano credenti e quando lo sono sono ebrei o protestanti, religioni critiche. Nei paesi latini e cattolici, con una chiesa dogmatica, vivono popoli di marinai e di eroi, ma non di scienziati». Poi l’affondo: «Se posso aggiungere, nell’Ottocento i testi copernicani non erano più all’indice, ma l’evoluzionismo sì. L’atteggiamento conservatore della Chiesa si rinnova rispetto alle biotecnologie. La recente legge sulla procreazione assistita ne ha risentito».
Si respira aria laica e al pm, un vero monsignore e professore di storia della Chiesa, non resta che cambiare ruolo. Parla per un’ora monsignor Renzo Savarino e con quella sua aria dimessa, da studioso che ricorda un po’ i modi intellettuali di padre Pellegrino, ricostruisce i rapporti di Galilei con la Roma dei gesuiti, dei cardinali e dei papi: una realtà variegata, in cui il conflitto fra scienza e religione appare più piegato all’ordine politico piuttosto che a quello teologico. Ragiona abilmente Savarino: il contesto era quello della guerra dei Trent’anni e dell’avanzare delle chiese riformate; lo stesso papa Urbano VIII fu duramente criticato in Concistoro dai cardinali. La condanna di Galileo ne sarebbe stata una conseguenza. Cita il cardinal Roberto Bellarmino: «Sarebbe bastato che Galileo presentasse le teorie copernicane come ipotesi».
Ma il laicissimo Antonio Rossomando non fa sconti e la sua arringa difensiva diventa a sua volta requisitoria, da vero pm e non è male per il vero presidente dell’Ordine degli avvocati torinesi: «Lei parla di Bellarmino, Urbano VIII, dello stesso Galileo come di compagni toscani di merende. La Chiesa cattolica apostolica romana era anche tortura, roghi, carcere per il trionfo della teologia come regina delle scienze». Più pacatamente i giudici attualizzano i conflitti fra Chiesa e scienza: «C’è da chiedersi se vi sia ancora spazio per fenomeni di eresia surrettizia. Se cioè vi sia ancora rischio che pratiche scientifiche trovino i limiti nelle norme statuali per l’esistenza di istanze etiche» poste in posizione «di indiscussa supremazia rispetto alla scienza». Citano il Concilio di Trento, evocano il caso bollente dei «diritti fondamentali della persona sulle questioni della salute e in particolare della procreazione». Nell’assolvere Galileo «perché il fatto non sussiste» (al pari del pubblico), lo avvisano che «ha diritto ad un equo indennizzo per i danni subiti». La scienza è salva, il personaggio Galileo un po’ meno: descritto come cortigiano, rovinafiglie, amorale.