domenica 8 febbraio 2004

sulla mostra di arte giapponese di Milano

L'ARTE GIAPPONESE A PALAZZO REALE
quotidiano Europa, 7 febbraio 2004
di Simona Maggiorelli


info:www.ukiyoe.it


«Piena attenzione ai piaceri della luna, dei fiori di ciliegio e delle foglie di acero, cantare canzoni, bere vino e provare piacer soltanto nel fluttuare, fluttuare senza curarsi minimamente della povertà che grida in faccia», così Asai Ryoi nel suo "Racconti del mondo fluttuante" raccontava il significato della parola di derivazione buddista “ukiyo”. Parola chiave della imponente mostra di arte giapponese che si apre oggi negli spazi di Palazzo Reale a Milano. Dopo la rassegna dedicata a Hokusai, una nuova iniziativa del critico d’arte e studioso di culture orientali Gian Carlo Calza. Più di cinquecento opere - dipinti, stampe, libri illustrati, scenografie, paraventi dipinti - suddivise in sei sezioni, che raccontano per immagini la trasformazione, tra il XVII e la metà del XIX secolo, della società e della cultura giapponese nella città di Edo, l’antica Tokyo. Opere che parlano della crisi dell’aristocrazia feudale e dei nuovi stimoli della nascente borghesia, mentre luoghi topici dell’arte diventano le feste, il teatro e le sue "città della notte", spazi segreti di incontri clandestini e di amori mercenari. Sono i quartieri di piacere come Yoshiwara, dove si incontrano gli intellettuali e dove le cortigiane, in qualche modo, creavano nuovi gesti e comportamenti. La mostra di Milano racconta questo mondo "fluttante" del piacere, ma anche della riscoperta del corpo e della bellezza femminile, trascurata per secoli. Attraverso le opere dei più importanti artisti giapponesi: dalla donna carnale di Moronobu alla fine del Seicento, alle donne seducenti e flessuose di Masanobu, alle dee terrene ritratte da Harunobu, fino alle immagini femminili di Utamaro, autore di opere raffinatissime dal punto di vista grafico. Importanti anche per la ricaduta che ebbero sull'arte occidentale. La grafica giapponese, val la pena di ricordarlo, ebbe grande influenza anche su Van Gogh che nel 1887 organizzò due mostre di arte giapponese, del tutto fallimentari sul piano commerciale. Ai busti di Utamaro e alle sue figure slanciate con cui la donna riacquista una bellezza reale, non più spiritualizzata, la rassegna milanese dedica una sezione a parte. Un’altra ampia sezione è incentrata sul teatro, proprio per l’importanza che ebbe nell’opera di diffusione della nuova cultura giapponese. Soprattutto i dipinti e stampe prodotti per il nuovo e popolare teatro kabuki, un genere più vicino ai nuovi ceti sociali, perché rifletteva i sentimenti e le passioni del nuovo pubblico, recuperando a un tempo, in chiave di melodrammi e scenografie miti e storie del Giappone antico. Un genere codificato e forte del teatro orientale che colpì parecchi artisti d'avanguardia del Novecento. In primis Ejzenstejn che nel saggio "L'inatteso" diceva di aver scoperto nelle tecniche spettacolari del Kabuki una conferma delle sue idee sul montaggio cinematografico. Ciò che lo colpiva era il metodo compositivo, i nessi che lui chiamava "copulativi" e che lo portarono poi a studiare gli ideogrammi cinesi: due o più immagini "capaci di creare nel loro montaggio un terzo significato diverso. Un interesse per il kabuki mutuato da Mejerchol'd, ma che Ejzenstein sviluppò in proprio come testimonia la sua sterminata biblioteca di testi giapponesi e cinesi. E arrivando a scrivere: «Il convenzionalismo del Kabuki non è affatto il manierismo stilizzato e premeditato che abbiamo nel nostro teatro... ogni singolo elemento, il suono, il movimento, lo spazio , la voce diviene uno stimolo, un insieme di attrazioni che si aggregano in una grandiosa provocazione totale per il cervello umano».