domenica 18 aprile 2004

sfide tra giganti:
Emanuele Severino vs. Massimo Cacciari...

Corriere della Sera 18.4.04
ELZEVIRO Una risposta a Cacciari
Interrogativi aperti sull’orizzonte ultimo
di EMANUELE SEVERINO


Solo un pensatore di primo piano nella filosofia contemporanea, qual è Massimo Cacciari, può scrivere Della cosa ultima (pp. 554, 45), appena pubblicato da Adelphi. Un potente itinerarium mentis : non «soltanto» in Deum, ma anche e soprattutto ultra Deum - al di là di Dio, secondo la grande tradizione neoplatonica. Cacciari la mobilita e la rinnova con una lettura dove anche Anassimandro, Aristotele, Tommaso, Dante, Leopardi, Gentile si trovano uniti a Platone, Plotino, Proclo, Agostino, Eckhart, Cusano, Bruno, Schelling, Barth, Heidegger. Quasi seicento pagine di scrittura tersa e intensa, anche per l’andamento dialogico-epistolare, dove Cacciari riprende e approfondisce i temi del suo precedente saggio Dell’inizio e dove alla filosofia vien dato ciò che le spetta. Per me questo libro è mirabile indipendentemente dall’accordo-disaccordo col mio discorso filosofico. Nell’ultima frase dell’ultima pagina Cacciari scrive, riferendosi a me: «Il confronto ultimo di questo libro è con lui». Lo ringrazio veramente, sapendo che cosa stia dietro questa affermazione; ma insieme al piacere, quasi mi spiace che l’abbia scritta, perché qualcuno potrebbe pensare che la mia ammirazione per questo libro sia interessata. Per spingere ancora più lontano il sospetto, qui di seguito accennerò soltanto - inevitabilmente semplificando - ad alcuni degli interrogativi che queste pagine lasciano aperti rispetto al mio discorso filosofico e dei quali lo stesso Cacciari è peraltro ben consapevole.
Il gran principio del neoplatonismo dice che al di là della totalità degli enti, dunque al di là di Dio e della sua potenza creatrice, c’è l’Uno, il Semplice, l’In-finito, l’Inizio, la «cosa ultima». In questa direzione Heidegger afferma la «differenza ontologica» tra l’«Essere» (il Semplice) e l’«Ente». Ma, con il neoplatonismo, Cacciari continua a ribadire che l’Inizio non è il nihil absolutum , non è l’assolutamente nullo. E anche Heidegger nega decisamente che l’«Essere» sia il puro nulla.
Anni fa, discutendo con Gadamer a tavola, davanti a quello splendore di ente che è il Duomo Vecchio di Brescia, gli obiettai quanto segue. Lei, con il suo maestro Heidegger, esclude che l’«Essere» sia il puro nulla. D’altra parte lei esclude anche (con Heidegger e tutti gli altri) che un ente sia un puro nulla. Ma, allora, sia l’«Essere» sia l’«Ente» hanno questo in comune: di non essere un nulla assoluto. Il che vuol dire che l’«Ente» al di là del quale c’è l’«Essere», è Ente in senso ridotto, limitato: giacché Ente in senso pieno e autentico è tutto ciò che non è un nulla assoluto e che pertanto è l’orizzonte che include sia l’«Essere», sia l’«Ente».
Questa stessa obiezione ora rivolgo a Cacciari, a proposito dell’Inizio di cui egli parla, e a sua volta pretende stare al di là della totalità dell’Ente, escludendo nel contempo di essere un niente assoluto. L’orizzonte ultimo, dico, non è l’Inizio, ma è la dimensione che include sia quei non-niente che sono gli enti visibili e invisibili, sia quel non-niente che è l’«Inizio» - qualora lo si debba affermare.
Si tratta di vedere che cosa spinge ad affermarlo. E qui il discorso è arduo, perché, mi sembra, per Cacciari la verità contiene in sé l’innegabile, ma anche ciò che non è l’innegabile e che peraltro mostra qualcosa di più profondo. Ciò che nella verità eccede l’innegabile ed è il più profondo, cioè l’Inizio, è dunque negabile. Cacciari scrive che «si rivela, si palesa» «con necessità» e tuttavia «non è ulteriormente fondabile», «rimane "oscuro"». Egli intende dire che è il «Possibile», «ciò che in Dio non è Dio stesso», secondo l’espressione eckhartiana di Cusano.
Mi sembra (può darsi che m’inganni) che in questo libro ci sia la «volontà » di tener fermo il centro del mio discorso, cioè l’eternità di ogni ente, tuttavia oltrepassandola proprio per salvarla. Se così fosse, l’approdo al «Possibile» sarebbe la fine di ogni eternità - e Cacciari finirebbe forse, contro le proprie intenzioni, col ricondurre il neoplatonismo al tema centrale della filosofia contemporanea, cioè alla precarietà e contingenza di ogni cosa.
Se infatti l’Inizio non è un nulla assoluto, tuttavia per Cacciari, al seguito di Schelling, l’Inizio è il puro Possibile, perché innanzitutto sarebbe potuto rimanere un assoluto nulla. In questo modo - rilevo - ogni «eternità» garantita dal Possibile sarebbe sospesa sul baratro del nulla, sulla possibilità di essere rimasta un nulla. Ma che gli essenti siano nulla o possano esser nulla o sarebbero potuti rimanere nulla, questo è ciò che chiamo «essenza del nichilismo», «follia essenziale», «fede nella morte». Quest’ombra minaccia le splendide pagine di Cacciari sulla libertà, sul male, e quelle, ancora più ruggenti, sul «Paradiso».
Mi sembra che egli sia d’accordo con me quando parla della «morte della morte». Ma la «morte» che fa morire la morte non può essere l’annientamento di qualcosa, nemmeno della fede nella morte - della fede soltanto al cui interno vive la morte. Nemmeno «i cieli nuovi e la terra nuova» dell’Apocalisse possono essere la morte di quelli vecchi, cioè dei nostri, in cui noi qui ora viviamo.