martedì 13 luglio 2004

freudiani

L'Arena di Verona 13.7.04
A Lavarone si è svolto l’annuale convegno, dedicato a Sigmund Freud, sulle frontiere della psicoanalisi
Il paesaggio e la personalità
Una stretta relazione accertata tra i due elementi


Fra i paesaggi in cui viviamo e la nostra psiche c'è una relazione stretta: la nostra personalità si forma infatti nei paesaggi naturali e urbani, e d'altra parte la psiche usa la dimensione dello spazio per rappresentare l'incontro-scontro con la realtà, a cominciare dal sogno. Ad affermarlo è Paolo Aite, psichiatra e analista junghiano, che ha aperto, sabato, a Lavarone, il convegno annuale di psicoanalisi organizzato dal Centro Studi Gradiva, che quest'anno era dedicato al tema Paesaggi. Della realtà, dell'immaginazione. Da anni, Aite induce i pazienti ad esprimere le proprie emozioni mediante un gioco che consiste nel manipolare la sabbia contenuta in una vaschetta: in quella presa di contatto con la materia, è possibile rappresentare ciò che sfugge, ma è pur sempre presente in profondità. I "paesaggi" così affiorati diventano parola che dice. Il paesaggio è anche una disciplina dell'architettura. Paola Coppola Pignatelli, docente di architettura a Roma, si è soffermata sul paesaggio urbano, spesso portatore di malessere. Ha portato l'esempio di alcune costruzioni contemporanee, come il nuovo auditorium di Los Angeles progettate da Gehry, vera e propria "musica solidificata", un'opera dirompente e coraggiosa che è diventata un'attrazione. L'architettura anticipa i tempi: vi leggiamo chi siamo e dove vogliamo andare. Non c'è più spazio per le utopie: l'architetto lavora nella corrente che porta al futuro, e il computer consente morfologie che in passato non erano immaginabili. Talvolta i paesaggi sono non-luoghi, dove la gente non prova senso di appartenenza, perché la crescita è disordinata e il caos urbano fa paura per la sua alterità, come la pazzia.
Lungo queste frontiere di ricerca multidisciplinare si muove il "Premio Gradiva", che quest'anno è stato assegnato, ex-aequo al libro Ululare con i lupi (Bollati Boringhieri editore) di Eugenio Gaburri e Laura Ambrosiano, e al libro Il counselling psicodinamico (Borla) di Andrea Giannakoulas e Santa Fizzarotti Selvaggi. Menzione speciale per Le psicastrocche di Geni Valle (edizioni Magi), che ha saputo trasporre in rima la parte giocosa della psicoanalisi.
Il paesaggio è una parte di noi che ci portiamo dentro e che rappresentiamo, consciamente o inconsciamente, anche nei nostri sogni per comunicare qualcosa agli altri. Caterina Virdis Limentani, docente di storia dell'arte a Padova, ha preso spunto dalla recente mostra sulla montagna organizzata dal Mart di Rovereto per parlare "di vette e di abissi del paesaggio montano che evocano incanti e turbamenti dell'anima". Attraverso dipinti poco noti, la relatrice ha mostrato come i pittori rappresentino, attraverso simbolismi, i loro pensieri e sentimenti. Dalla paura all'esaltazione, la montagna significa sempre elevazione morale. Diverso è il discorso per la realtà ricreata in televisione o al computer, dove il paesaggio viene falsato, spesso confondendo i confini fra reale e virtuale. Secondo lo psicoanalista Antonio Di Benedetto "la nostra mente si arricchisce se l'area dei sogni , la fantasia va a fertilizzare l'area del pensiero", invece "se quest'area viene invasa dalle immagini che ci piombano addosso, dalle fantasie costruite da qualcun altro, questa nostra area elaborativa di fantasia diventa come colonizzata".
Molto interesse ha suscitato Darko Pandakovic del Politecnico di Milano con la sua denuncia del trauma profondo subito dal paesaggio italiano. Quel paesaggio, che per secoli è stato molteplicità, ricchezza, patrimonio culturale e storico, negli ultimi cinquant'anni poco a poco è scomparso. Il disagio attuale, diffusissimo, si radica proprio in quella perdita, nell'afasia del paesaggio attuale, del quale non comprendiamo i significati. E' necessario ricostruire i luoghi, le certezze, a cominciare dalla campagna, il cui linguaggio è più ricco di quello metropolitano. .

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