martedì 13 luglio 2004

il convegno
scienza e filosofia a Firenze

Il Mattino Lunedì 12 Luglio 2004
CONVEGNO A FIRENZE
Quel blackout tra la scienza e la filosofia


«Humanitas. Il paradigma di ”natura umana” tra scienza e filosofia» è il tema di un convegno che si terrà oggi e domani a Firenze, a Villa Ruspoli, promosso dal Cnr e dall’Istituto italiano di Scienze umane. Tra i relatori, Edoardo Boncinelli, Giulio Giorello, Roberto Esposito, Carlo Ossola, Giacomo Marramao, Salvatore Veca ed Eugenio Mazzarella, di cui pubblichiamo di seguito un intervento.
Eugenio Mazzarella
La filosofia è un blackout. Accendere la luce, o una stentata candela. Forse perché nella luce una volta siamo stati. Forse perché la luce è alle nostre spalle, nel bagliore - che si spegne - del mito: nel distacco dall’animale-mondo di chi si racconta come è nato, dove la luce cieca, abbagliante, di un’appartenenza s’inabissa nel sorgere della coscienza; luce che ricomincia il suo cammino in ciò che resta del lumen naturale, del venire insieme alla luce di tutto ciò che nasce. L’animale sta nella luce, l’uomo vede la luce - e questo è il suo problema. Ne è ancora traccia il racconto dell’Eden, o il passaggio dal sapere dell’anèr philosophos di Eraclito che Heidegger legge come colui che sta nel sophòn, in armonia nell’Uno, con l’Uno Tutto, alla disarmonia dell’òrexis platonica, che anch’essa a quella luce delle origini deve già tornare mentre comincia ad essere filosofia. Da allora il problema sarà come si appartiene al mondo da cui ci si distacca nel modo di un necessario rimanervi che crede di cadervi perché, alla fine, ci si vede restituito. L’uomo è quell’animale che comincia ad andare a tentoni quando ci vede. Il re Edipo ha sempre un occhio di troppo.
A questa sfida dell’ente, che di questo si tratta, la filosofia come sapere ha sempre organizzato la risposta, sospesa tra l’episteme delle scienze ed un sapere riflessivo di sé; ha da sempre organizzato la risposta all’emergenza del fatto che, per qualcuno, che vuole continuare a starvi di fronte, qualcosa c’è, e questo fatto deve rimanere, perché si tratta di nient’altro che il proprio rimanere. Come sapere che si sa, come sapere che viene al sapere, la filosofia questo lo ha fatto talvolta in eccesso, dandosi per scontata nell’ordine della natura o per voluta (liberamente magari, ma voluta) nel piano della creazione - in sostanza proponendo un principio antropico, debole nel secondo caso, forte nel primo, all’opera nel cosmo. Questo principio potrebbe ben essere, nell’una e nell’altra versione, una pia illusione. E l’ontologia del caso, che non vi crede, è nata molto presto. E tuttavia, posto come sia che sia principiato, questo principio - nel modo in cui è principiato, vale a dire difendendo le condizioni interne ed esterne, a contorno, che lo rendono possibile - va difeso. L’essenza di qualcosa è il dispiegarsi delle possibilità custodite nella sua origine. In effetti è il principio che Vico ha forse individuato meglio di altri (e vale tanto per un’ontologia del caso che per un’ontologia della necessità o di una creazione che lasci le cose alla loro legge) - «natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali, sempre che sono tali, indi tali e non altre nascon cose» -, nella sottolineatura ontologica (natura di cosa come nascimento) dell’essenza di tutto ciò che nasce come funzione evolutiva del suo originario orizzonte «modale», ancorata ad un range non trascendibile di possibilità. E questo vale anche per il modo umano, per quanto aperto e progettuale esso voglia pensarsi.
Se questo è il principio - «dov’è l’inizio per quell’esserci che sa di averlo?: presso se stesso, ma non solo da se stesso, questo è il filo del labirinto» -, un’ontologia della labilità, sia essa per caso o programmata o voluta, allora la filosofia non può sfuggire alla sfida della prescrizione. Anche come fenomenologia, come fenomenologia dell’evento, sapere in ultima istanza solo di ciò che si vede, essa non può limitarsi ad essere descrittiva, ma deve avere il coraggio ermeneutico non solo della «riduzione» eidetica, o della chiarificazione del contesto/destino di una cosa, dell’eidos, dell’idea come svolgimento di una cosa, ma anche della «costituzione» eidetica di una cosa, del suo eidos come programma da assolvere o da mantenere, come qualcosa da tenere in vista - innanzi tutto la propria vita.