Liberazione 16.10.04
Caro Ferrara, c'è un "dio" che serve al liberismo
di Ritanna Armeni
S'avanza uno strano guerriero. Ha la spada fiammeggiante e il cuore gonfio di fede. Crede in Dio, patria e famiglia. E porta guerra a chi nel mondo a quel Dio non crede perché ne ha un altro. Vuole un cattolicesimo combattente, integralista che metta ordine nei costumi sessuali, che subordini la ricerca scientifica ai dettami della dottrina, che lotti contro il nemico. Odia le parola dialogo, pace, perché dice siamo in tempo di guerra e in guerra si combatte senza tante fisime e ripensamenti. E' un guerriero che può essere cattolico, ma non necessariamente. Può anche essere laico, anzi spesso lo è, ma di quel cattolicesimo preconciliare e forse ancora più antico ha bisogno, vuole introdurlo prepotentemente nella politica. Perché? Perché c'è una guerra, una guerra di religione e di civiltà. Perché c'è un Islam fondamentalista e terrorista contro il quale si può vincere solo se si è altrettanto fondamentalisti e si fa la guerra senza esclusione di colpi.
E' vero, in Italia di guerrieri così non ce ne sono molti. La maggioranza della nostra destra è mediatrice, fa i conti con la realtà, ha un retaggio democristiano, si è ripulita dagli estremismi fascisti, ha trovato il suo dio unificante nella moneta e nel libero mercato. Ma quella minoranza, che ha al suo interno uomini come il presidente del Senato Marcello Pera e giornalisti importanti come Giuliano Ferrara e Carlo Rossella, che ha il suo antesignano in Gianni Baget Bozzo, che ha agganci stretti con Comunione e Liberazione, che lambisce gli editorialisti del Corriere della sera e che in questi giorni ha trovato il suo eroe-vittima in Rocco Buttiglione, non è da sottovalutare. E' un fenomeno culturale da indagare nelle sue radici, nelle sue necessità e nei suoi obiettivi.
Le radici non sono italiane e neppure europee. Vengono dall'altra sponda dell'Atlantico, da quel George W. Bush che non avrebbe potuto vincere, e non vincerà, senza il fondamentalismo cristiano, senza l'apporto di quella Chiesa evangelica che crede nell'insegnamento letterale della Bibbia, che sostiene una fede estrema e incondizionata e che è la base sociale più vasta e più agguerrita dei neoconservatori.
Gli Stati Uniti - la potenza economica, militare e tecnologica più forte del mondo - sono oggi dominati dal "sacro", la loro politica avrebbe una forza (e una violenza) inferiore se non fosse intimamente intrecciata con una fede, con la sicurezza di rappresentare il "bene" e di doverlo portare in altre parti del mondo dove quel bene non c'è o ce ne è troppo poco. E' quella fede incondizionata che permette la "solitudine", che consente di andare avanti nella guerra con la sicurezza di essere dalla parte del giusto.
I neoconservatori nostrani vorrebbero quella fede, quella sacralità anche qui: nel vecchio e pensoso continente europeo che non dimentica il secolo dei lumi e manifesta ancora qualche rispetto per la dea ragione; e, come spesso accade ai gruppi minoritari, dal loro punto di vista i neoconservatori hanno qualche ragione perché - e veniamo alla questione della necessità - la politica neoliberista ha assoluto bisogno del "sacro". Il sacro è un collante straordinario quando gli altri elementi unificanti e di attrazione perdono peso e valore, quando le magnifiche sorti e progressive della globalizzazione mostrano la corda, quando il pianeta presenta contraddizioni insanabili, quando le promesse di benessere diventano poco credibili e si ha l'impressione che si corra verso l'abisso. Massimo Fini, scrittore non certo di sinistra, ma anticonformista e audace, nel suo ultimo libro sulla democrazia ("Sudditi") paragona il mondo ad un treno, un treno nel quale ci sono alcuni viaggiatori seduti comodamente in prima classe, altri in seconda, altri nei corridoi, altri nei cessi, altri si reggono agli sportelli e possono da un momento all'altro cadere e perdersi. Il treno è in corsa, una corsa folle, una velocità eccessiva, che la sua struttura non può sopportare e, in questa corsa, i più disgraziati - quelli che stanno attaccati agli sportelli - cadono e si perdono, quelli che stanno nei corridoi stanno molto male e sbattono da una parte all'altra, ma anche quelli che stanno in prima classe, comodamente seduti, sentono un malessere, capiscono che la situazione non è sicura, perché il treno è veloce, troppo veloce e tutti si possono perdere. Se quel treno rappresenta la maledetta corsa dell'occidente verso i profitti, i consumi, e verso la guerra, c'è una sola cosa che può impedire a quegli uomini e a quelle donne di attaccarsi al freno e di bloccare la corsa: una fede, la convinzione che comunque Dio lo vuole e ti salverà. Paradossalmente la ricerca del sacro dimostra la crisi e il limite di una politica liberista, guerrafondaia e globalizzatrice. Da sola non ce la fa più. Per andare avanti deve ricorrere ad altro.
E allora l'obiettivo è per i neoconservatori nostrani riportare il sacro anche nella politica italiana, dargli forza, incalzare i cattolici troppo moderati, criticare la chiesa progressista, assumere tutti i valori anche i più retrivi, essere contro l'aborto e contro la fecondazione assistita, difendere l'embrione, difendere la famiglia, attaccare il matrimonio fra omosessuali e così via. E farsi avanguardia agguerrita di una guerra di religione e di civiltà che ci si illude di vincere diventando uguali al nemico: fondamentalisti e violenti.
I neoconservatori italiani non sono molti e rappresentano una tendenza più che una forza. Ma non sono da sottovalutare perché influenzano, provocano reazioni, riempiono vuoti. Comunque hanno iniziato una lunga marcia dello stesso tipo che portò il senatore Goldwater sconfitto nelle presidenziali negli anni '60 a creare quel movimento di destra che ha prodotto i neoconservatori. Non è detto che a loro riesca, ma è meglio affrontarli subito.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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