sabato 16 ottobre 2004

la Cina secondo Repubblica

Repubblica 16.10.04
PAUL THEROUX

Mi mostrò, a Shenyang, la gigantesca statua di Mao in resina epossidica. E´ l´apoteosi di Mao, padre fondatore, circondato da cinquantotto figure che rappresentano tutte le fasi della Rivoluzione cinese. Non occorreva mi dicesse che era stata eretta durante la Rivoluzione Culturale. Come la statua di Mao a Chengdu, mostrava il vecchio impartire sorridendo la sua benedizione al proletariato.
Statue così erano molto costose. Il denaro per quella di Chengdu, era stato stanziato per uno stadio, mentre quella di Shenyang era stata costruita con fondi municipali?
Che Mao fosse stato un uomo fuori dal comune, non c´era dubbio. Aveva detto d´avere meditato per anni un modo col quale scuotere il popolo cinese, dopo di che gli era venuta l´idea shock della Rivoluzione Culturale. Ma aveva strafatto: nessuno aveva capito quando fermarsi.

Repubblica 16.10.04
Quando un mito finisce nel terrore
Settant'anni fa iniziò la lunga marcia che avrebbe portato al trionfo del comunismo
Lo scrittore cinese Dai Sijie ricorda gli anni terribili della rivoluzione culturale e i crimini politici
LEONETTA BENTIVOGLIO

Il regime maoista fu una tragedia? «Piuttosto una catastrofe oggettiva. La privazione della libertà, la mortificazione del pensiero, la demonizzazione dell´Occidente. Sul piano economico e politico ebbe effetti disastrosi. Eppure quelli della rivoluzione culturale furono gli anni più intensi della mia vita. Non avevo soldi, mi avevano tolto i genitori, dovevo arrangiarmi da solo nel mondo. Il regime era duro, nero, crudele. Ma i sentimenti avevano una forza oggi scomparsa dal paesaggio. Non si può immaginare cosa significasse, per un giovane di allora, scoprire in clandestinità Balzac e Dostoevskij, o ascoltare di nascosto un´opera di Mozart. Era come toccare l´assoluto, dopo esperienze del genere sentivi che c´era solo la morte».
L´estro di Dai Sijie, scrittore e regista cinese di grande successo in Occidente, sta nel guardare la Cina in prospettive sempre spiazzanti, filtrando con la sua passione, o con la sua umana tenerezza, anche le colpe e i drammi del maoismo. Il suo primo romanzo, Balzac e la piccola sarta cinese, tradotto in cinquanta paesi (Adelphi lo pubblicò in Italia nel 2001, e l´anno scorso lo stesso autore ne trasse un film), evocava il calvario dei campi maoisti di rieducazione dei giovani intellettuali, esperienza vissuta davvero da Sijie, con un sarcasmo e un candore che la censura cinese reputò più iniqui di una solenne denuncia: «E infatti il film in Cina è stato proibito», riferisce Sijie, «mentre il libro è uscito solo di recente, ma corredato da un postfazione del traduttore che si dichiara in disaccordo politico col racconto, pur confessando di aver rubato e letto di nascosto anch´egli, come tanti giovani durante la rivoluzione culturale, i capolavori occidentali. All´epoca procurarsi un libro proibito era più eccitante o sconvolgente che drogarsi». Nel frattempo sta uscendo in Italia, sempre per Adelphi, il secondo romanzo di Sijie, Muo e la vergine cinese, che egli non esita a definire «ancora più divertente del primo»: una storia sulla Cina odierna, futuribile e arcaica, efficiente e corrotta, sospinta dalle contraddizioni.
Sijie, che vive da vent´anni a Parigi, e che è appena tornato dal Vietnam dove ha fatto i sopralluoghi del suo nuovo film (di cui la censura cinese gli ha proibito le riprese in Cina), ha una storia segnata dal maoismo: «I miei, che facevano i medici, erano cristiani, quindi borghesi e nemici del popolo. Quando avevo dodici anni vennero reclusi nell´ospedale in cui lavoravano, al cui interno c´era un edificio dov´erano costretti ad abitare e in cui dovevano fare ammenda per i loro crimini, non si capiva quali. Crebbi con mio nonno che era un pastore protestante, e fu il più perseguitato della mia famiglia. Morì durante la rivoluzione culturale. Venni mandato in un campo di rieducazione a 17 anni e ne uscii a 21. Una generazione intera di cinesi finì in quei campi: il 5 per cento della popolazione, una cifra enorme, superiore a quella degli abitanti dell´Italia. Le scuole rimasero chiuse per qualche anno, perché i bambini dovevano fare la rivoluzione, cioè partecipare alle marce, imparare gli slogan e gridarli per la strada. Per fortuna io avevo già imparato a leggere, cosa che in Cina richiede cinque anni di studio nelle scuole primarie».
In che cosa consisteva la rieducazione nei campi?
«Si lavorava in risaie o in miniere di carbone, sotto la guida di contadini analfabeti, in nome di un lavaggio del cervello, ci dicevano, che andava compiuto col nostro sudore. Si era esclusi dalla società, ma l´umiliazione era meno violenta di quella subita da famiglie come la mia all´inizio della rivoluzione, quando la persecuzione era generalizzata. Per strada la gente ti sputava addosso, se eri un bambino i compagni ti picchiavano e quando tornavi a casa c´era sempre un parente o un amico che era stato denunciato e arrestato».
Come uscì dalla segregazione?
«Mi lasciarono andare perché stavo diventando cieco. Ero molto miope e i miei occhiali si erano rotti lavorando nei campi. Così la vista peggiorò moltissimo. Nessuno, in quel contesto, portava occhiali. Voleva dire collocarsi dalla parte sbagliata. La parte giusta erano i contadini analfabeti. Mao aveva una fissazione per questa categoria. Non era marxista, non amava il proletariato industriale. E odiava gli intellettuali, che colpì con pubbliche umiliazioni. Li detestava tutti, anche quelli che cercarono di collaborare col regime. Nessuno di loro riuscì a entrare nel partito. Era un privilegio riservato ai contadini, ai soldati e agli operai».
Eppure lei ha definito Mao un tiranno geniale.
«Geniale e anche idiota. Come si fa a proibire l´arte e i libri? Cancellare il pensiero umano è un´utopia demenziale. D´altra parte, come tutti i cinesi, riconosco il suo genio. Mao dominò con un senso esatto dell´anima del suo popolo. Due cinesi hanno capito meglio di chiunque la mia gente: lo scrittore Lu Xun e appunto Mao, sebbene con obiettivi diversi. Lu Xun colse i difetti dei cinesi per criticarli, mentre Mao li utilizzò per governare: un tiranno di astuzia incomparabile».
Qual è l´atteggiamento dell´attuale governo cinese nei confronti del maoismo?
«Oggi la Cina è governata da comunisti capitalisti che giudicano il maoismo un´esperienza fallimentare dal punto di vista economico e politico. Come nei paesi occidentali e cosiddetti democratici, in Cina vige la legge del profitto. Gorbaciov non riuscì a trasformare la Russia in un paese capitalista, al contrario di quanto ha fatto il partito comunista cinese, che ha realizzato il miracolo storico più sensazionale del mondo».

Repubblica 16.10.04
Le vittime del comunismo cinese oscillano fra i 23 e i 35 milioni di morti
DIETRO LE MURA ROSSE L'ALTRA FACCIA DEL '900
BERNARDO VALLI

Scelta da Mao, certamente anche per la sua intelligenza, Zhang era in grado di tradurre in discorsi coerenti i suoi affannati suoni, simili a rantoli singhiozzanti. Nell´attesa della morte, egli comunicava attraverso di lei con i pochi eletti ammessi nella residenza di Zhongnanhai, nell´angolo sud-ovest della Città Proibita.
Quel giorno, il 15 giugno, neppure tre mesi prima della fine, rivolgendosi ai membri dell´Ufficio Politico, egli riassunse, attraverso Zhang, quel che riteneva di avere fatto di importante nella vita. Fece un rapido bilancio. Cercò di anticipare il verdetto che avrebbe affrontato una volta saldata la bara. Citò due grandi avvenimenti. Aveva combattutto per anni, ricordò, contro Chang Kai-shek. Ed evocando il decisivo confronto con il capo nazionalista, nella sua memoria, non del tutto tarmata, si devono esssere accese alcune immagini della Lunga Marcia, impresa epica, e tra le più sanguinose di quella guerra civile. E infine, disse Mao, concludendo questo primo capitolo, Chang Kai-shek fu relegato «nella piccola isola» di Taiwan.
Il secondo merito che il leader morente si attribuì fu la resistenza contro gli invasori giapponesi. Stando agli atti di quella riunione dell´Ufficio Politico, avvenuta nella residenza di Zhongnanhai, (atti citati dal sinologo Jonathan Spence, in Mao Zedong, Penguin Group, 1999, USA), Mao disse di avere chiesto e ottenuto che quegli stranieri «ritonassero nella loro casa ancestrale». Le altre imprese, continuò, le aveva promosse e guidate non stando sul campo, ma dalla Città Proibita, dal rostro imperiale. E la rivoluzione culturale? Essa non aveva ottenuto il sostegno di molti e aveva suscitato l´opposizione di pochi. Era rimasta soprattutto incompiuta. Lui non poteva che assegnare il compito di condurla a termine alla nuova generazione. «Cosa accadrà - si chiese - se essa fallisce nella missione?» La risposta che si dette non conteneva nulla di messianico, c´era più rassegnazione che fiducia: «Si potrebbe alzare un vento contrario, potrebbe esserci una pioggia di sangue. Come sarà affrontata la prova? Solo il cielo lo sa».
C´è poco da obiettare sulla validità dei due principali meriti che Mao si attribuì, nel rapido bilancio della sua vita fatto in punto di morte: la sconfitta di Chang Kai-shek e la cacciata dei giapponesi. Egli ha lasciato in eredità una Cina riunificata e indipendente. Ha realizzato quello che l´imperatore Qin, il solo personaggio del profondo passato nazionale esaltato da Mao, aveva fatto ventidue secoli prima. Gli storici, anche se non tutti, presentano Qin come un sovrano crudele, uno sfrenato promotore del culto della propria persona (si identificò con la Stella polare e si fece una necropoli sul monte Li, alla cui costruzione contribuirono 70 mila operai); ma fu anche, per giudizio unanime, il primo imperatore di tutto il mondo civile, cioé della Cina unificata. Il resto del bilancio fatto da Mao, tramite la voce della giovane Zhang, nella dimora di Zhongnanhai, rivela l´assoluta incapacità di vedere il futuro da parte di chi ha un´alta considerazione di sé e dei propri atti, e dunque ritiene che l´avvenire seguirà il loro tracciato oppure sarà tragico, senza speranza.
Il vento contrario c´è stato, ma non ha provocato una pioggia di sangue. E´ accaduto l´opposto. E´ spuntata una foresta di grattacieli, di industrie sempre più avanzate, di teatri, di cinematografi, di antenne televisive; e sono state disegnate decine di migliaia di chilometri di autostrade, sempre più animate da macchine che via via soppiantano tricicli e veicoli a traino umano o animale; come gli apparecchi elettronici sostituiscono i pallottolieri e i registri traboccanti ideogrammi. Non è il benessere di tutti, ancora lontano, ma non è più la miseria, né la totale povertà. Le città trionfano e le campagne restano nell´ombra. Il corso maoista si è capovolto. Quel che Mao non poteva prevedere, nei suoi ultimi giorni dietro le mura rosse della Città Proibita, era che a poco distanza, sulla Tiananmen, dominata dal suo ritratto, e nel Palazzo del Popolo, in cui lui officiava, il suo partito, il partito comunista, avrebbe decretato, promosso e sostenuto la svolta verso il capitalismo. L´incompiuta rivoluzione culturale è stata rovesciata, condannata, cancellata. E tuttavia sulla Tiananmen, protetta da un mausoleo, resta la sua salma imbalsamata. E davanti al Mao per sempre immobile sfilano reverenti i cinesi non più dediti allo studio le Libretto Rosso, ma del mercato immobiliare o automobilistico, o dei programmi televisivi in cui abbondano le telenovela. La Cina è un paese comunista avviato al capitalismo. Era troppo da immaginare, poco più di un quarto secolo fa, per l´imperatore comunista assediato dagli infarti.
L´Asia ricopre la storia di leggende. La Cina ama i miti, forse per provare un giorno i brividi della dissacrazione. La quale potrebbe arrivare anche per Mao Zedong. Ma non sembra ancora giunto il momento. Se si visita Shaoshan, sulle colline dello Hunan, dove Mao venne al mondo nel tardo 1893, e dove sorge un grande mausoleo, ci si accorge di come egli occupi ancora un posto centrale nel pantheon del regime, anche se lo stesso regime va nell´opposta direzione ai suoi insegnamenti. In quanto immagine Mao sopravvive al maoismo. Nell´iconografia ufficiale domina tutti gli altri, lo stesso Deng Xiapoing viene raffigurato in una posizione inferiore, pur esendo lui l´artefice della nuova Cina. Il fatto è che il 9 settembre 1976, dietro le mura della Città proibita, non è morto il capo di un partito, ma il fondatore di una dinastia. E un sovrano può avere conseguito successi o insuccessi, può avere contribuito in alcune fasi del suo regno al benessere e alla grandezza dell´impero, e in altri può avere subito disfatte o commesse crudeltà; ma nell´albero genealogico le priorità vanno rispettate.
L´imperatore Qin, amato da Mao, non fu rimosso dalla posizione storica di capostipite, più di duemila anni fa, finché la sua dinastia sopravvisse, benché i successori adottassero altri principi per regnare sull´Impero di Mezzo. Il vertice del partito è come una famiglia imperiale. Se condanni il fondatore, se annulli le motivazioni iniziali della dinastia, rischi di distruggerla. I principi continuano ad essere celebrati nei riti ufficiali, ma la realtà cambia e comanda.
A Shaoshan ho chiesto a pellegrini venuti dalla Manciuria, e in contemplazione davanti alla modesta casa natale di Mao, come davanti a un presepio, cosa pensassero di lui. Riconosco che era il luogo meno adatto per ottenere risposte autentiche. Il giudizio unanime fu «Era un genio». Perché? «Ha fatto della Cina una grande potenza indipendente». Intellettuali di Pechino, di Shanghai, anche dell´attigua città di Changsa, non soltanto in privato, mi avrebbero risposto altrimenti. Molti di loro avrebbero denunciato il culto di Mao, sia perché contraddittorio rispetto al corso degli avvenimenti, sia perché responsabile, in larga parte, della mancanza di democrazia in Cina. Il culto di Mao è il culto del partito. Quindi del monopolio del potere.
Nessun altro uomo ha mai esercitato il potere assoluto su un popolo tanto numeroso: e forse nessun altro uomo ha mai provocato tante vittime. I maggiori biografi di Mao avanzano delle cifre. L´inglese Short parla di un minimo di 23 milioni a un massimo di 35 milioni di morti, durante le crisi politiche ed economiche. L´americano Spence dice 700 mila morti durante la collettivizzazione, tra il ´50 e il ´52; 20 milioni per il Grande Balzo in Avanti alla fine degli anni Cinquanta, e la successiva carestia del ?60 e ? 61; e un numero incalcolabile durante la rivoluzione culturale, anzitutto nella seconda metà dei Sessanta. Ma nulla traspariva delle passate tragedie sulle colline verde smalto dello Hunan, gremite di pellegrini venuti a visitare i luoghi che videro i natali del primo imperatore comunista.
Pellegrini che passavano senza problemi dalla contemplazione della gigantesca statua di Mao ai McDonald´s per divorare hamburger, concreti simboli della nuova realtà.

Repubblica 16.10.04
COSA PENSA L´INTELLIGHENZIA DI PECHINO DEL "GRANDE TIMONIERE"

MA ORA LA CINA HA CAMBIATO MARCIA
FEDERICO RAMPINI

PECHINO. Lunga Marcia 6, si chiama il missile che quest´anno ha lanciato il primo astronauta cinese in orbita. Il Giornale dei Giovani, una testata di moda fra i teen-agers di Pechino, pubblica pagine di interviste ai reduci della Lunga Marcia. A settant´anni dall´epopea fondatrice della Cina comunista ? la disperata impresa dei centomila partigiani che Mao guidò per le montagne verso Yanan, dove arrivarono solo in ottomila ? il suo mito resiste e si intreccia con quello del Grande Timoniere. «C´è un ritorno di maoismo tra i giovani ? osserva l´intellettuale dissidente Zhang Lun ? . Mao viene rivalutato dalla nostra New Left anti-global che lo usa per criticare gli eccessi del capitalismo cinese attuale. E viene mitizzato dai contadini frustrati per essere rimasti ai margini del boom economico».
L´osservatore distratto vede fiumane di automobili sfrecciare sulla Piazza Tienanmen affumicando di smog il faccione placido della gigantografia di Mao; l´osservatore straniero cerca invano in altri luoghi di Pechino e della Cina i resti ormai introvabili del culto della personalità. L´apparenza suggerisce che Mao stia ormai sbiadendo nel Pantheon dei padri della patria, che la sua presa sui cinesi di oggi sia eguale a quella di Garibaldi o Cavour in Italia: nomi di piazze e di strade, qualche data da imparare a scuola. Invece non è così. Certo il culto della personalità non esiste più. Ma a cominciare dai banchi di scuola, ciò che i bambini cinesi studiano di Mao modella la loro identità nazionale e definisce le regole del discorso politico ufficiale. Prima di tutto i manuali scolastici mentono - dipingono la Lunga Marcia come una offensiva deliberata verso il Nord contro le truppe giapponesi d´occupazione mentre fu una ritirata sotto la pressione incalzante dell´esercito nazionalista del Kuomintang - e solo i più istruiti scoprono la verità da adulti. Il messaggio più chiaro che rimane dagli anni di scuola è che senza la Lunga Marcia la Cina sarebbe ancora una colonia nell´impero nipponico: anche questa è una forzatura visto che il Giappone fu sconfitto dagli americani, ma serve a fare di Mao il padre della resistenza allo straniero, una figura centrale nel vigoroso nazionalismo dei cinesi di oggi.
Dopo la sua morte nel 1976 la memoria ufficiale di Mao ha attraversato varie fasi. All´inizio il suo successore Deng Xiaoping lo seppellisce con il celebre giudizio «70% giusto, 30% sbagliato». Con quella formula sbrigativa viene santificato il leader della Lunga Marcia, l´artefice dell´indipendenza e della nuova unità nazionale, nonché lo stratega politico della rivoluzione. Deng condanna invece il demiurgo irrazionale del Grande Balzo in avanti (l´industrializzazione forzata che provocò le carestie del 1957-59) e soprattutto il regista delle purghe sanguinose della Rivoluzione culturale (1966-75). Negli anni ´80 l´interesse per Mao sembra estinguersi del tutto: al potere c´è proprio la generazione più traumatizzata dalle Rivoluzione culturale, che si lancia alla conquista dell´economia di mercato; è una generazione che rompe lo specchietto retrovisore, non ha voglia di riaprire le ferite del passato; i suoi figli all´università studiano informatica o economia, non storia. La terza fase, dagli anni ´90 a oggi, vede fiorire una letteratura popolare di divulgazione storica fatta di memorie personali, biografie e autobiografie. Nelle edicole delle stazioni vanno a ruba libri piccanti su Jiang Qing, l´ex attricetta di Shanghai e vedova di Mao, o sullo stesso Mao dipinto come un uomo solo, manipolato dalle donne. Nel 1996 sfonda sul mercato la rivista Lao Zhaopian cioè Vecchie foto: inaugura un nuovo filone di rotocalchi popolari che svuotano gli album di famiglia, spesso archivi di tragedie private. In assenza di un vero dibattito storico sul maoismo, le memorie individuali diventano una sorta di psicanalisi collettiva. Affiorano sofferenze enormi ma anche la sorprendente nostalgia di tanti cinquantenni che ricordano la Rivoluzione culturale (quando da studenti furono mandati a coltivare i campi) come un periodo di «dura miseria e fratellanza».
Che cosa pensa oggi di Mao l´intellighenzia più libera? Un giudizio lucido è quello del grande letterato Qian Liqun: «Dalla Lunga Marcia in poi, sono inestricabilmente legati a Mao i due grandi capitoli della Cina moderna: prima la conquista dell´indipendenza, poi l´esperimento di una forma cinese di socialismo. Anche i critici più severi devono riconoscere che la Lunga Marcia diede un contributo essenziale alla battaglia contro l´invasione imperialista, contro i residui feudali, per la costruzione di uno Stato moderno nella più grande nazione del pianeta. Ebbe una grande influenza su tutti i popoli del Terzo mondo nella decolonizzazione. Il fascino di Mao è legato poi all´utopia di eliminare le differenze tra città e campagna, tra lavoro manuale e intellettuale, tra Nord e Sud. Ma in certe rivalutazioni odierne di Mao vedo una triste ironia. I giovani oggi sono vittime di un´amnesia programmata, sanno poco perfino del massacro di Tienanmen dell´89, figuriamoci cosa sanno delle crudeltà della Rivoluzione culturale o del tragico Grande Balzo in avanti che fece milioni di morti. E´ sconcertante che il mito di Mao abbia un revival fra certi contadini poveri: la fine della sua Rivoluzione culturale nel 1976 fu salutata con gli urrà nelle campagne, perché finalmente i contadini tornarono in possesso di piccoli appezzamenti dopo decenni in cui avevano perso ogni diritto sulla terra. Alla fine l´ombra di Mao si staglia ancora sulla società cinese soprattutto attraverso il partito unico, i suoi modi pensare, il linguaggio e i tic dei suoi successori. Anche se oggi proprio quello che lui temeva di più - il capitalismo, i valori borghesi - hanno conquistato la Cina e ci trasformano in una società utilitaristica».

Repubblica 16.10.04
La Cina e la sinistra europea
Nonostante la diversità delle problematiche, l'analogia delle sfide da affrontare è sorprendente
MARC LAZAR

Che idea hanno i cinesi delle sinistre europee? Strana domanda, penserà di primo acchito il lettore, chiedendosi se l´immensa popolazione di quel gigantesco paese non abbia ben altre preoccupazioni. Ma mi si concederà tuttavia di riferire una mia piccola esperienza personale.
Nella tarda primavera di quest´anno, l´Accademia delle Scienze di Shanghai ha contattato le autorità consolari francesi: storici, sociologi e politologi cinesi erano interessati alle massicce manifestazioni del movimento antiglobalista, e desideravano comprendere meglio il significato di quel 14% ottenuto dai candidati comunisti, e soprattutto trotzkisti (il peggio dell´abominio agli occhi degli eredi di Mao Tse Tung) alle elezioni presidenziali francesi del 2002. Per soddisfare la loro curiosità, e grazie ai responsabili dell´Antenne française di scienze umane e sociali, ho trascorso alcuni giorni a Shanghai e a Pechino, dove ho parlato delle mie ricerche. In quell´occasione sono stato coinvolto in discussioni approfondite con vari docenti, ricercatori e giornalisti sul tema delle sinistre europee. Ovviamente, non ho la pretesa di fornire un quadro esauriente delle analisi cinesi in proposito. Mi limiterò, più modestamente, a riportare alcune riflessioni ascoltate qua e là, in occasione dei miei incontri.
Inizierò dalla galassia della sinistra radicale, che ovviamente suscita valutazioni ambivalenti. Da un lato, i miei interlocutori hanno manifestato la loro simpatia ideologica per gli antiglobalisti. La loro critica del capitalismo ravviva i ricordi dei più anziani; ma anche i membri più giovani del Partito comunista cinese vi trovano conforto per quanto ancora conservano di marxista, in un paese che ha in parte abbandonato l´economia amministrata. Vedono di buon occhio l´ostilità verso gli Stati Uniti, che a loro avviso, se ben canalizzata, potrebbe contribuire ad orientare l´opinione pubblica a opporsi alla politica estera della prima potenza mondiale. Alcuni dei colleghi con i quali ho parlato hanno persino espresso ammirazione per il coraggio dei manifestanti, che non esitano ad affrontare la polizia durante gli scontri di piazza. D´altra parte, c´è chi li vede come sognatori illusi, o anche come pericolosi nemici, dal momento che l´eventuale successo delle loro proposte impedirebbe alla Cina di approfittare dei vantaggi materiali della globalizzazione.
Quanto ai partiti comunisti dell´Europa occidentale, per i cinesi che ho incontrato rappresentano un argomento quanto mai divertente. Sebbene trovino generalmente comprensibile, o anche normale, che la Cina continui a richiamarsi al comunismo, sia pure in termini vaghi, non riescono a capire come nel cuore di una regione prospera e democratica qualcuno possa ancora definirsi comunista e credere in quell´ideale? Una volta riconosciuta, in omaggio alle formule diplomatiche, l´antica potenza di quei partiti - una chicca, se si ricorda la violenza con cui un tempo Pechino ne fustigava il «revisionismo» - si passa ai commenti ironici sulle loro attuali difficoltà. Certo, a Pechino e a Shanghai, nelle accademie, nei circoli intellettuali o tra gli esperti del Partito al potere si seguono i tentativi intrapresi dai partiti comunisti - Rifondazione in testa - per coordinarsi a livello europeo; ma in genere il loro esito è dato per scontato. A questo riguardo, vale la pena di porre in rilievo come il Pcf, da sempre detestato dal Partito comunista cinese, venga citato come spauracchio o come esempio di tutto ciò che va evitato. Più volte i miei interlocutori hanno spiegato il rapido declino dei comunisti francesi con il loro immobilismo, a riprova del fatto che chi rifiuta di cambiare si condanna a una necrosi inesorabile. Evidentemente, vedono in quest´esempio una lezione valida anche per loro?
Resta la socialdemocrazia. I reiterati elogi di questa «grande e nobile esperienza» cercano di occultare le terribili critiche maoiste degli anni ?60 e ?70. Quelle irrevocabili condanne ideologiche sono state abbandonate da tempo. I socialdemocratici contribuiscono, insieme ad altri attori, alla costruzione europea. L´Ue non ha la potenza evocativa del sogno americano, che seduce irresistibilmente i cinesi; non scatena le stesse passioni, ma suscita la loro curiosità intellettuale, per almeno due ragioni. Innanzitutto come esperienza di integrazione di un mercato economico e come impresa di ingegneria politica, cui la Cina potrebbe ispirarsi in futuro per una parte dell´Asia. E inoltre come modello sociale, soprattutto da quando Hu Jintao, il nuovo uomo forte, si propone di dare maggior peso alla politica sociale, dopo che per anni la Cina ha privilegiato la crescita economica senza tener conto dei suoi costi umani. Ma il welfare - come subito mi veniva spiegato - non potrà comunque essere importato meccanicamente. A parte i suoi costi troppo elevati, i cinesi ne aborriscono gli effetti perversi, e in particolare - come mi hanno detto e ripetuto su tutti i toni - quello di favorire la pigrizia. Non c´è dunque da sorprendersi se l´esponente di sinistra che più piace ai miei colleghi cinesi è Tony Blair. Ne parlano spesso come di un leader coraggioso, con una strategia chiara e aderente alla realtà di oggi. I cinesi sono diventati molto pragmatici, e quindi apprezzano le sue scelte, pur condannando fermamente l´allineamento del Regno Unito con Washington in materia di politica estera.
Logicamente, i cinesi si rappresentano le sinistre europee alla luce dei problemi del loro paese. Ad esempio, la posizione adottata sulla questione di Taiwan è vista come una pietra di paragone; e non si perdona al Partito socialista francese di aver venduto armi a quest´isola, quand´era al potere. Per Pechino, Taiwan deve ricongiungersi con la madre patria. Il nazionalismo cinese è a fior di pelle, e annulla le distanze tra destra e sinistra. Qui conta soltanto il sostegno alla politica della Repubblica popolare, da qualunque parte provenga.
Le differenze tra la nostra Europa occidentale e una Cina in piena crescita, ove il pluralismo sociale si afferma nonostante il divieto d´espressione e i limiti posti dal partito unico alle libertà pubbliche, sono enormi. Ma ciò nondimeno, e pur nella diversità delle problematiche, si scopre una sorprendente analogia tra le sfide affrontate dal Pc cinese e quelle che si presentano alla sinistra dell´Europa occidentale. Ad esempio, l´impossibilità per i cinesi, e la difficoltà per noi, di stabilire un vero bilancio del comunismo. O l´esigenza di trovare un equilibrio tra accettazione dell´economia di mercato e ridefinizione della solidarietà sociale, o tra organizzazione dei settori pubblici ed espansione del privato, o ancora tra la ricerca dell´uguaglianza e la necessità di tener conto delle aspirazioni dell´individualismo democratico. Così, dopo quest´ampia deviazione attraverso la Cina, ci ritroviamo confrontati con le tematiche essenziali che la sinistra europea si trova a dover risolvere.

(traduzione di Elisabetta Horvat)

Repubblica 16.10.04
Spettacoli
Hero
Feriti dalla passione che ci rende vivi
Sentimento. Se è ricambiato pacifico ed eterno diventa noiosissimo
Ispirazione. Mi sono ispirato a Norma, Tosca, Madama Butterfly
Girerà "La signora di Shangai" con la prima star occidentale, Nicole Kidman
È l´unico autore capace di trafiggere gli spettatori con una sola lacrima
Il regista Wong Kar-wai parla del nuovo film "2046" che uscirà il 29 in Italia
NATALIA ASPESI

MILANO - È il solo regista ancora capace di trafiggere gli spettatori con una sola lacrima che scende desolata sulle guance di perla di creature bellissime, donne, uomini o androidi, feriti dall´amore infelice. È il solo a emozionare mostrando una mano d´uomo che, tenendo una sigaretta tra le dita, bussa incerta e leggera su un vetro, se dietro quel vetro c´è una donna che si nega.
È il solo che sa raccontare la più intensa passione fisica, quella che lascia graffi e contusioni, che fa gridare, tremare letti e pareti e lasciare sfiniti i due contendenti, senza mostrare nudità, «non perché ci sia una qualche forma di censura, ma perché le attrici cinesi sono molto tradizionaliste e pudiche».
Wong Kar-wai, 46 anni, arrivato quasi infante ad Hong Kong da Shangai, è anche uno di quei registi di massima pericolosità aristocraticamente insensibile alla salute mentale e finanziaria dei produttori. Così è stato anche per 2046, iniziato a girare nel 1999, interrotto per finire il suo celebre provocatore di singhiozzi "In the mood for love", messo in stand by perché il suo protagonista Tony Leung, insostituibile interprete del giornalista-seduttore malinconico Chow, doveva diventare il malinconico seduttore-guerriero Spada Spezzata del magnifico "Hero" (di Zhang Yimou); fermato per colpa della Sars, nervosamente messo insieme per portarlo all´ultimo momento al Festival di Cannes del maggio scorso, dove fu giudicato massimamente confuso e da molti critici maschi spregiatori delle mollezze amorose, una barba alla Matarazzo. Mentre imbiancavano i capelli dei coraggiosi produttori insonni (tra cui gli italiani Amedeo Pagani e Istituto Luce), l´imperturbabile artista si rimetteva al lavoro, tagliava, cuciva, spostava, rammendava le sue due ore di film, contemporaneamente girando uno dei tre episodi di "Eros" (Mostra di Venezia), intitolato "La mano"; che essendo quella esperta di Gong Li tra le gambe di un terrorizzato Chang Chen, fu approvato dalle signore anche pie e sgridato dagli uomini meno disinvolti.
Il nuovo 2046 è uscito alla fine di settembre nella Repubblica Popolare Cinese con un successo di pubblico inaspettato, ha chiuso ieri sera il Tribeca Film Festival portato da New York a Milano dalla Fondazione Prada e sarà nei cinema italiani dal 29 ottobre. Uscito straziato e cinico dalla fine (cinematografica) della disperata relazione con Maggie Cheung (e quindi da "In the mood for love"), il semifallito giornalista Chow-Leung entra in 2046, aggirandosi tra Singapore e Hong Kong e incontrando donne bellissime che non lo consoleranno mai del perduto amore: innamorate di lui se lui non le ama, innamorate di un altro se ad amarle è lui. La misteriosa Gong Li, giocatrice d´azzardo e bara, anelli di diamanti sul lungo guanto nero, mai un sorriso, lacrime di desolazione: l´altera Carina Lau, perle e alta cotonatura, che non ricorda di averlo mai incontrato: la giovane cortigiana Zhang Ziyi, ("La tigre e il dragone", "Hero"), stupendi abiti laminati, capace di pagarlo per averlo: la giovane scrittrice dai tacchi a spillo Faye Wong che ha un amore proibito cioè con un giapponese: e a sprazzi, il ricordo incancellabile di Cheung. «Mi sono ispirato a tre opere italiane intrecciandole, Norma, Tosca, Madama Butterfly», dice Wong, «perché parlano di passione, di promesse, di tradimenti, di separazioni, di abbandoni, di morte, di sentimenti fatali ed estremi. L´amore si può raccontare solo se è breve, contrastato e infelice: se è ricambiato, pacifico ed eterno, diventa noiosissimo, anche nella vita».
Wong fa un uso splendente e ricattatorio della musica: basta Casta diva cantata da Angela Gheorgiu per far singhiozzare, Siboney cantata da Connie Francis per illanguidire, per non parlare del tema musicale di Umbayashi, che dispone allo sperdimento amoroso più di un diamante.
Sul titolo, 2046, le migliori menti cinefile si sono arrovellate, per poi venire a sapere che: è il numero della sordida e angusta camera d´albergo dalle pareti piene di fori per guardoni dove alloggia Ziyi, è l´anno pericoloso in cui Hong Kong passerà definitamente alla Cina Popolare, è, nel romanzo di fantascienza che Leung-Chow scrive, la destinazione misteriosa verso cui va eternamente un treno abitato da femmine androidi, un luogo «dove nulla cambia mai, che conserva i ricordi e i sogni perduti, le cose desiderate e non avute, l´ombra degli incontri avvenuti troppo presto o troppo tardi, la nostalgia delle cose non dette, il rimpianto di ciò che poteva succedere e non è stato, le immagini di chi se ne è andato senza neppure voltarsi, tutto ciò che pareva dimenticato». Nel romanzo Chow racconta il suo fallimento in amore, e il suo alter ego che viaggia sul treno senza ritorno, è l´incantevole attore-cantante giapponese Takuya Kimura: mentre la stupenda androide che non ama chi l´ama ha il volto e le lacrime di Ziyi.
Come altri film di Wong, anche questo è ambientato negli anni 60, e si vedono spezzoni dei disordini del 1966-67 ad Hong Kong: «Furono provocati dai sindacati di sinistra in appoggio alla rivoluzione culturale in Cina: gli arrestati furono rinchiusi in una prigione che è diventata l´albergo del mio film. Io arrivai bambino a Hong Kong nel ´63, non posso certo ricordare quegli anni. Ma abbiamo nostalgia di quel periodo, di quella vita che nell´immaginazione appare più sicura, più dolce: dal 1997, da quando siamo passati sotto la gestione di Pechino, apparentemente non è cambiato nulla, in una terra dove però da sempre tutto cambia molto velocemente. C´è incertezza per l´avvenire, la gente teme di perdere il suo status. Nella terra che si chiama 2046 io voglio conservare anche la memoria della Hong Kong destinata a scomparire. Quando gli inglesi se ne andarono, tanti volevano fissare quel momento storico con un film. Adesso vorrei farlo anch´io, ma penso sia ancora troppo presto, bisogna che passi del tempo per capire davvero quale sarà il nostro destino».
Per ora lo aspetta una "Signora di Shangai" con la prima bellissima star occidentale, Nicole Kidman, una storia che non ha nulla a che fare con il film di Orson Welles con Rita Hayworth; con l´amabile Tony Leung girerà poi un kolossal, la cinebiografia del maestro in arti marziali di Bruce Lee, celebre quanto il suo allievo ed eroe dalla vita molto avventurosa.