martedì 16 novembre 2004

a Roma
Picasso a Palazzo Ruspoli

Europa
Una mostra a Palazzo Ruspoli a Roma
Così Picasso influenzò gli artisti della sua epoca
di Simona Maggiorelli

Picasso segreto come recita la presentazione della mostra in palazzo Ruspoli a Roma? Forse non è proprio così, ma di certo quelle raccolte e esposte dalla Fondazione Memmo sono perlopiù opere poco note del maestro spagnolo. Rarissime da vedere perché, presto acquistate da collezionisti americani, hanno fatto da sempre parte di collezioni private d’Oltreoceano. Così, fino all’8 gennaio a Roma, una manciata di piccole perle per chi già conosce il resto. O, se si preferisce, piccoli assaggi propedeutici a una conoscenza più ampia dell’opera di Picasso. Dall’affascinate “Nudo di donna” del 1910, quadro simbolo della fase più innovativa del Cubismo, in cui la traccia del ricordo è intimamente scomposta in cubi e linee, centrando la forza di una visione interiore che trasforma il vissuto senza annullarlo. Al solare ritratto di donna del ‘34, sorprendentemente vivo e intenso, malgrado la scelta di gialli pallidi, rosa, sbiaditi ciclamino, nonostante il ricorso a una tavolozza composta di soli freddi colori pastello. E ancora, saltando da una fase all’altra della lunga e prolifica vita artistica di Picasso, che di tanto in tanto si divertiva a tornare indietro, a giocare con le autocitazioni, il vivace acquerello dell’”Uomo seduto con pipa” del 1916 che riprende le invenzioni dei primi colorati collage e delle gouache su carta sperimentate in compagnia di Georges Bracque. Ma anche preziosi quadretti preparatori come l’ariosa “Natura morta davanti a una finestra aperta” del 1919 che, con il motivo della chitarra su una terrazza che dà sul mare, anticipa, (anche nella scelta dei colori marroni e carta zucchero), la vitalità dirompente dei “Tre musicisti” del MoMa di New York. O la drammatica natura morta con candela che richiama l’opera testamento di Van Gogh, la sedia vuota di Gauguin. Opere picassiane incastonate ad effetto in un percorso di sale scure. Appartenenti a periodi differenti, dal primo decennio del Novecento per fermarsi poi agli anni Cinquanta, perché da quella data in poi Picasso, pur continuando ancora per un ventennio a produrre opere interessanti, smise di essere un forte punto di riferimento per le nuove generazioni di artisti. E proprio questo provare a documentare l’influenza che le invenzioni di Picasso ebbero sui contemporanei costituisce l’apporto originale della mostra romana curata da Pepe Karmel. Così le tele di Picasso vengono messe a serrato confronto con quelle di artisti, qui soprattutto americani, che ne rimasero suggestionati o che ne trassero ispirazione. A cominciare da Stuart Davis, il pittore dell’accesso colorismo, delle composizioni sincopate ispirate all’improvvisazione Jazz, che affascinato dalla civiltà industriale e dalle sue macchinerie, mutuò dal cubismo la capacità di trasformare valvole, tubi e frullini in composizioni astratte ad effetto. Per arrivare ad artisti come l’olandese Willem De Kooning, che nel lungo periodo in cui visse negli Usa, mise a punto drammatiche rappresentazioni di figure scomposte e continue che - è il caso soprattutto dell’ampio “Attico” del 1949 – si ispiravano esplicitamente a Guernica. Ma anche il suo maestro Gorky finì per risentire nelle sue malinconiche composizione astratte della lezione picassiana e perfino Pollock, secondo l’ardita tesi dei curatori della mostra avrebbe in alcuni quadri mutato i gesti automatici del suo dripping di colore su testa in movimenti più circolari ispirati alle morbide rotondità di certi nudi femminili di Picasso.