domenica 16 gennaio 2005

Carlo Alberto Redi, genetista ed embriologo

Corriere della Sera 15.1.04
«Sbagliato frenare la scienza Ecco cosa potremmo curare»
Redi
All’estero si stanno ottenendo risultati importanti
F. P.


Carlo Alberto Redi, genetista ed embriologo, dirige il laboratorio di Biologia dello sviluppo dell’università di Pavia. Nell’ambito del progetto nazionale staminali ha ricevuto un finanziamento per le sue ricerche sulle cellule staminali embrionali di topo. Solo animali, perciò. A Redi, ricercatore dichiaratamente laico, chiediamo se condivide il divieto del fronte cattolico alla manipolazione dell’embrione.
«Io credo che qualsiasi argomentazione religiosa sia rispettabile. Sia quella cattolica che considera l’embrione in ogni suo stadio, anche quello primordiale, già una vita compiuta, sia quella ebraica che ritiene le prime fasi della vita embrionale prive ancora di un’identità, di un’anima. Ma queste problematiche attengono più alla filosofia che alla scienza. Per noi ricercatori la vita è, piuttosto, una materia, una realtà biologica. Però, nel caso italiano, bisogna stare attenti a non confondere le acque. Qui non si sta discutendo dell’ipotesi di autorizzare la creazione di embrioni a scopo di ricerca, come è avvenuto nel Regno Unito, ma di utilizzare gli embrioni "scartati" e dimenticati da anni in frigorifero nei centri di fecondazione assistita. Sotto il profilo etico, è più accettabile buttarli via o far sì che queste cellule continuino a vivere in un altro modo e per scopi utili alla scienza? In altri termini, bisogna porsi il problema del destino di queste vite non vite, senza ipocrisie».
Ma vale veramente la pena di «sacrificarli» alla ricerca? Queste potenzialità terapeutiche delle staminali embrionali esistono o sono ancora da dimostrare?
«Esistono, eccome. Ci sono ormai prove scientifiche certe che le staminali embrionali hanno una straordinaria capacità di moltiplicarsi e di differenziarsi in cellule mature di vari tessuti. Basta ricordare un solo esperimento, quello di Tiziano Barbieri al Memorial Sloan-Kettering Center di New York che ha dimostrato (e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences ) come da una sola staminale embrionale si possa ricavare un milione di neuroni specializzati, che producono dopamina, un mediatore cerebrale. Il problema oggi è, piuttosto, quello di governare la crescita di queste cellule, evitando che producano tumori. Ma d’altra parte il loro studio ci darà anche informazioni importanti su come si sviluppa una malattia come il cancro. Intanto in Inghilterra si sta già lavorando, a Newcastle, a una possibile terapia sperimentale per il diabete. E molto altro è in gestazione in tutto il mondo».
Da noi, come è stato detto, il via libera è stato dato solo alle staminali adulte. Che cosa ne pensa?
«Non si tratta certo di risorse sprecate. Noi ricercatori siamo solo felici quando lo Stato finanzia studi. Non succede spesso. Ci sono cervelli brillanti impegnati sul fronte delle staminali adulte e i risultati sono lusinghieri. Ma non condivido la pregiudiziale ideologica: non si può privilegiare un ambito di ricerca e metterne in cantina un altro. È una scelta antiscientifica: la ricerca ha una sua circolarità, ogni scoperta è il tassello di un puzzle che si va via via componendo fino a chiarire alcuni punti chiave. Per questo deve poter spaziare, non avere steccati, né essere oggetto di proibizionismo».
I referendum potranno mettere un correttivo allo stato di cose che lei denuncia? Crede che serviranno a rendere più libera la ricerca?
«Mi scusi, ma io sono pessimista. Questa legge sulla fecondazione assistita non è emendabile perché il suo impianto di base è sbagliato. Lo Stato non può dettare regole eugenetiche, in questo caso poi rigidissime, su scelte individuali che attengono a una questione così personale come avere un figlio. Ha il dovere, piuttosto, di mettere a punto un regolamento che definisca i requisiti che qualificano la "bontà" dei centri a cui rivolgersi e di garantire un controllo sul loro operato. Il cittadino ha diritto a non trovarsi in un giungla. È un terreno di garanzie che è mancato in tutti questi anni. Poi alcune norme del vivere civile vanno rispettate: l’utero in affitto non è ammesso a pagamento nemmeno in Inghilterra».