domenica 16 gennaio 2005

Edoardo Boncinelli
Titano

Corriere della Sera 16.1.05
I NUOVI MARZIANI
di EDOARDO BONCINELLI


Per giungere ai nostri occhi la luce della Luna, «solinga, eterna peregrina», impiega poco più di un secondo; quella del Sole otto minuti circa; quella di Titano un’ora. Questi numeri danno l’idea di quanto lontano è riuscito a spingersi l’uomo, inviando una capsula telecomandata a «ficcare il naso» nelle cose di questo scontroso satellite di Saturno, il pianeta degli anelli. La sonda madre, Cassini, ha dovuto viaggiare per ben più di un miliardo di chilometri per andare a posizionare la capsula Huygens in vista di Titano e Huygens si è andata poi a posare con dolcezza su questo remoto corpo celeste.
«Dal legno storto dell’umanità non si è mai cavata una cosa dritta» dice Kant. Non c’è dubbio; ma ne ha fatte di cose questo legno storto! Ha inviato qualcuno sulla Luna, si è sillabato il proprio genoma, ha mandato un mezzo cingolato su Marte e adesso un ragnetto portante una ricetrasmittente su Titano, oltre a creare cose meravigliose come il quartetto con pianoforte K478 che sto ascoltando. Se l’uomo singolo è nella sua essenza un grumo di contraddizioni, il collettivo umano quando vuole riesce a fare cose da lasciare di sasso.
La superficie di Titano sembra una versione on the rocks, 180 gradi sotto zero, di quella che doveva esserci sulla nostra Terra prima che sbocciassero le prime forme viventi. Qualcuno pensa che queste potrebbero essere le condizioni ideali per l’originarsi di forme di vita. E questa volta ci sarebbero degli spettatori interessati: ci saremmo noi. Non so se sia vero, ma è una prospettiva eccitante.
A renderla ancora più eccitante c’è la registrazione sonora, in diretta, che ci offre un silenzio agghiacciante rotto da qualche tuono. Il famoso esperimento di Miller di cinquant’anni fa mostrò come si potessero generare in laboratorio aminoacidi e anche qualche nucleotide facendo passare una scarica elettrica attraverso una miscela di gas molto simile a quella presente su Titano oggi e forse sulla Terra quattro miliardi di anni fa. Se oltre al tuono ci fosse qualche fulmine, avrà pensato qualcuno, chissà che non si ripeta il miracolo della formazione di molecole organiche. Da qui alla vita, il passaggio potrebbe poi essere breve.
Tutta l’eccitazione dei mesi scorsi per aver individuato tracce di acqua nel passato di Marte, era motivata dalla possibilità che anche sul pianeta rosso ci sia stata un tempo la vita. Certo, per Marte è probabilmente tardi, mentre per Titano è troppo presto, ma l’idea di incontrarsi prima o poi con qualche forma di vita sembra un po’ un’ossessione dei progettisti di imprese spaziali. E chissà che non succeda...
L’incontro con una forma di vita aliena, magari intelligente, è stato un tema obbligato della fantascienza. Non credo però che nessuno ci abbia mai pensato veramente. Sembrava e sembra troppo lontano, ma sarebbe un modo eccezionale di rispecchiarsi e confrontarsi, sarebbe un modo di ottemperare al comandamento «Conosci te stesso!» guardando fuori, invece che guardandoci dentro. Mi vengono i brividi solo a pensarci.
Come mi vengono i brividi a guardare fuori della finestra, in questo uggioso pomeriggio di nebbia. Qui non si vede al di là della strada, mentre ci arrivano da un’ora-luce di distanza le immagini della superficie di Titano. E non c’è contraddizione. Le cose quaggiù sulla Terra sono nebbiose, umidicce, incerte, complesse e contorte, perché queste sono le condizioni per la vita. Lo spazio è puro e adamantino: non ci sono attriti, resistenze viscose e fastidiose mucillagini. Ma se qualche corpo celeste vorrà un giorno ospitare la vita, dovrà anch’esso scendere a compromessi, sporcarsi e problematizzarsi. Per condurre magari alla comparsa di altri giunchi pensanti, che, sono pronto a scommettere, saranno anche altri legni storti. Oppure puri cristalli.